Nell’attuale quadro normativo, nazionale e regionale nella fattispecie della Regione Abruzzo la DIA oggi SCIA non può certo costituire titolo legittimante all’apertura, all’esercizio e all’accreditamento di tali strutture. E ciò, sopratutto nel momento in cui l’articolo 8 ter d.lgs. numero 502/1992 stabilisce espressamente che «la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio sanitarie sono subordinate ad autorizzazione».
Quindi, di fronte alla chiara previsione legislativa di un provvedimento espresso per le autorizzazioni sanitarie, dovrebbe apparire evidente la radicale incompatibilità della DIA ora SCIA con tale specifico settore dell’ordinamento, soggetto ad un penetrante controllo dell’autorità per la verifica dei requisiti necessari all’esercizio di attività sanitarie in un quadro di più vasta e complessa programmazione. Il caso. La questione ripresa in esame dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato sent. numero 728/2014 in occasione dell'istanza di revocazione presentata con riferimento alla sentenza 734/2013 presenta due rilevanti motivi di interesse. Il primo connesso all'ambito di applicazione della SCIA, il secondo relativamente alla possibile programmazione per l'apertura di strutture sanitarie private. Le problematiche relative alla SCIA ed ai sistemi autorizzatori per l'esercizio di una attività economica, nel cui novero vanno certamente incluse le strutture sanitarie private, sono state prese in considerazione anche recentemente dal legislatore, il quale ha dato mandato al Governo di adottare entro il 31 dicembre 2012 uno o più regolamenti per individuare le attività sottoposte ad autorizzazione, a segnalazione certificata di inizio attività SCIA con asseverazioni, a SCIA senza asseverazioni, a mera comunicazione e quelle del tutto libere. Per tali regolamenti è richiesto, prima della loro emanazione, che le Camere approvino una relazione che specifichi, periodi ed ambiti di intervento. articolo 1, comma 3, d.l. numero 1/2012 e articolo 12, comma 4, d.l. numero 5/2012 . Tale termine è stato di gran lunga superato, ma serve comunque a dimostrare come ci sia consapevolezza circa il confuso quadro di riferimento che si è venuto a determinare dal 1990 in poi, con l'introduzione dei procedimenti semplificati articolo 19 e 20 legge numero 241/1990. L'ambito di applicazione della SCIA. Motivo del contendere posto all'attenzione della Sezione è il rilievo operato dal Centro in ordine alle disposizioni contenute nel regolamento di cui all’articolo 2, comma 11, l. numero 537/1993, in riferimento all’articolo 19 l. numero 241/1990, nel testo novellato dall’articolo 2, comma 10, l. numero 537/1993, regolamento emanato con d.P.R. numero 411/1994, il quale ha disposto che, nell’ambito dei provvedimenti da rilasciarsi dalla p.a. in modo espresso e, dunque, non riconducibili alla previsione del novellato articolo 19 legge numero 241/1990, non risulterebbe in alcun modo contemplato il caso delle autorizzazioni in favore di strutture sanitarie per l’erogazione, in regime di convenzione, di prestazioni sanitarie. La lettura della norma regolamentare, la cui omissione risulterebbe evidente, permetterebbe di apprezzare nella sua portata decisiva l’errore in cui sarebbe incorso il giudice, giacché la disposizione in essa contenuta appare di univoca e agevole interpretazione. In altri termini, secondo la ricorrente per revocazione, se il Consiglio di Stato avesse esaminato con attenzione anche la normativa del d.P.R. numero 411/1994, la cui violazione il Centro aveva pure denunziato nel secondo motivo di appello, esso si sarebbe avveduto che anche nel settore delle autorizzazioni sanitarie la DIA ora SCIA avrebbe potuto trovare il proprio spazio operativo, non essendo ciò espressamente precluso da un complessivo esame delle disposizioni del citato d.P.R. numero 411/1994. SCIA nel settore delle autorizzazioni sanitarie? Nella sentenza numero 734/2013 il Collegio giudicante, ricorda la oggi il Consiglio di Stato, ha ben sottolineato che «la considerazione che l’attività sanitaria da tempo ormai risalente è necessariamente assoggettata ad autorizzazione pubblica, in mancanza della quale l’attività stessa è vietata ed il titolare incorre in sanzioni», sicché esso, ha ritenuto che, sulla base di una ricognizione dell’ordinamento vigente, non si possa in alcun modo affermare che sia consentito ricorrere allo strumento della DIA ora SCIA nel settore delle autorizzazioni sanitarie. Insomma, elementi ostativi e, comunque, decisivi nel contrario senso si potevano trarre dall’invocata normativa secondaria dettata dal d.P.R. numero 411/1994, poiché la circostanza che tale regolamento non escluda espressamente dal regime della SCIA l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di una attività sanitaria non può essere interpretata come una deroga alle ben più severe disposizioni dettate dalle fonti primarie. Ciò che rileva, infatti, - a giudizio del Collegio, è che l’articolo 1 del citato d.P.R. numero 411/1994 esclude dal regime di cui all’articolo 19 l. numero 241/1990 le attività indicate nell’allegata tabella A, ma «fermo restando quanto disposto dall’articolo 19 legge numero 241/1990, quale sostituito dall’articolo 2, comma 10, legge numero 537/1993». La circostanza che le autorizzazioni sanitarie non siano incluse nella tabella A non è dunque decisiva, perché proprio l’articolo 19 l. numero 241/1990, richiamato dall’articolo 1 d.P.R. numero 411/1994, prevede che la DIA, ora SCIA, non operi per gli atti di autorizzazione per i quali «non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi», come accade invece e precipuamente, nella programmazione del Servizio sanitario nazionale, per l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di attività sanitaria e per l’accreditamento delle strutture sanitarie private. E l’articolo 8 ter d.lgs. numero 502/1992 stabilisce espressamente che «la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio sanitarie sono subordinate ad autorizzazione». Appare dunque evidente, afferma il Collegio, di fronte alla chiara previsione legislativa di un provvedimento espresso per le autorizzazioni sanitarie, la radicale incompatibilità della DIA ora SCIA con tale specifico settore dell’ordinamento, soggetto ad un penetrante controllo dell’autorità per la verifica dei requisiti necessari all’esercizio di attività sanitarie in un quadro di più vasta e complessa programmazione. Ma non può sfuggire all'interprete che il d.lgs. numero 502/1992 è antecedente alla massiccia semplificazione che la legge 537/93 avrebbe dovuto introdurre e che, pertanto, la specifica obbligatorietà della autorizzazione potrebbe essere stata superata da quest'ultima. Un avverbio ai più sfuggito. Proprio per il fatto che, come si è visto, al Governo è stato dato mandato di emanare regolamenti per la revisione dei procedimenti autorizzatori, con l'individuazione delle attività soggette ad autorizzazione, SCIA o mera comunicazione, è evidente che il quadro normativo di riferimento in materia di Scia è decisamente complesso. In questo contesto, il d.P.R. numero 411/94 che avrebbe dovuto individuare espressamente le fattispecie che non potevano essere soggette a DIA per la finalità espressamente prevista dall’articolo 2, comma 11, legge numero 537/94 non è un esempio di chiarezza. Il motivo è riconducibile al primo comma dell’articolo 1, il quale dispone che «sono comunque escluse dal regime di cui al predetto articolo 19 le attività indicate nell'allegata tabella A». L'utilizzo dell'avverbio «comunque», secondo la dottrina, sta a significare che l'elenco contenuto nella tabella approvata dal d.P.R. numero 411 non era da considerarsi esaustivo ma anzi da integrare, così come risulta dal comma 2 del medesimo articolo 1 d.P.R. numero 411/1994. Programmazione delle strutture sanitarie e libertà d'iniziativa privata. Degna di nota, a proposito delle questioni trattate dal Consiglio di Stato con le citate decisioni 734/2013 e 728/2014, è la recente sentenza Il Tar Lazio, numero 455 depositata il 14 gennaio 2014, la quale fa il punto sulla tutela della concorrenza e tutela della salute, partendo dalla programmazione che in molte regioni permane. Secondo il Tribunale laziale, in sostanza, la dichiarata sufficienza di strutture in grado di rispondere al fabbisogno sanitario del territorio contrasta con la tassatività delle possibili restrizioni delle attività economiche e non risulta ragionevolmente e proporzionalmente connessa all’esigenza di «evitare possibili danni alla salute», così come previsto dal decreto legge numero 1/2012, considerato che la vigente disciplina articolo 8 ter d.lgs. numero 502/1992, introdotto dall'articolo 8 d.lgs. numero 229/1999 ed ulteriormente modificato dall'articolo 8 d.lgs. numero 254/2000, legge regionale del Lazio numero 4/2003 e regolamento regionale numero 2/2007 stabilisce che la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture. preminente esigenza di tutela della salute può concernere solo la qualità dei servizi sanitari e la loro diffusione mediante una razionale e capillare distribuzione sul territorio, mentre, al contrario, il parere regionale nel caso trattato dal Tar del Lazio , da un lato, si limitava a richiamare l’invarianza del numero delle strutture sanitarie, indipendentemente dalla varietà dei servizi prestati, dalla capacità ricettiva e dall’aggiornamento ed adeguatezza delle strutture diagnostiche in relazione alle mutevoli esigenze sanitarie della popolazione residente e fluttuante. D’altro lato lo stresso parere, attestando la sufficienza dei servizi già presenti sul territorio, dal punto di vista della tutela della salute dei cittadini avrebbe dovuto logicamente concludere, non per l’impossibilità, ma al contrario per la libera facoltà di aprire la nuova struttura, senza neppure attivare particolari indicazioni circa la varietà dei servizi minimi offerti e circa sua collocazione territoriale.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 23 gennaio – 14 febbraio 2014, numero 728 Presidente Cirillo – Estensore Noccelli Fatto e diritto 1. Con ricorso proposto ai sensi dell’articolo 106 c.p.a. e dell’articolo 395, numero 4, c.p.c., il Centro Santa Lucia s.r.l. ha domandato la revocazione della sentenza numero 734 dell’8.2.2013, con la quale questo Consiglio ha rigettato l’appello proposto dal medesimo Centro avverso la sentenza del T.A.R. Abruzzo, sede de L’Aquila, numero 682 del 20.11.2011, la quale aveva a sua volta respinto il ricorso da questo promosso avverso il provvedimento numero 1657 del 30.4.2011, con il quale il Comune di Ortucchio AQ aveva annullato in autotutela l’atto di autorizzazione definitiva all’esercizio di attività di riabilitazione ai sensi dell’articolo 26 della l. 833/1978 precedentemente rilasciato al medesimo Centro. 2. L’atto di annullamento si fondava sul parere reso dalla Regione Abruzzo, secondo cui “la società Centro S. Lucia possedeva autorizzazione regionale solo per attività di fisiokinesiterapia ed invece non possedeva autorizzazione provvisoria per le attività di riabilitazione ex articolo 26 della l. 833/1978”, sicché non avrebbe potuto chiedere l’autorizzazione per la riabilitazione, mentre sotto altro profilo esso si basava anche sull’intervenuta revoca del parere favorevole sul possesso dei requisiti strutturali ed organizzativi espresso dalla A.S.L. Avezzano-Sulmona, prot. numero 0025939/11 del 18.3.2011, poiché riferito ad un “ambulatorio di riabilitazione” e non ad un Centro ambulatoriale di riabilitazione ai sensi dell’articolo 26 della l. 833/1978, per il quale non sarebbero stati invece riscontrati i necessari ulteriori requisiti minimi strutturali e organizzativi. 3. Tale atto di annullamento in autotutela, adottato sulla base di tali atti, veniva ritenuto legittimo dal T.A.R. abruzzese, che rigettava il ricorso proposto avverso di esso dal Centro S. Lucia s.r.l., dichiarando conseguentemente e rispettivamente improcedibile sia il ricorso proposto dal medesimo Centro avverso gli atti recanti autorizzazione in favore di Medisalus s.r.l., all’apertura, all’esercizio, all’accreditamento provvisorio di analogo centro in Lecce dei Marsi, sia il ricorso proposto da Medisalus s.r.l. avverso l’autorizzazione inizialmente rilasciata dal Comune di Ortucchio al Centro S. Lucia all’esercizio dell’attività prevista dall’articolo 26 della l. 833/1978. 4. La sentenza del T.A.R. Abruzzo, come accennato, veniva confermata da questo Consiglio con la citata sentenza numero 734 dell’8.2.2013, che rigettava l’appello proposto da Centro Santa Lucia s.r.l., sul rilievo decisivo che la d.i.a., diversamente da quanto assumeva l’appellante, non può operare nel settore delle autorizzazioni sanitarie. 4. Centro Santa Lucia s.r.l. propone ora ricorso per revocazione, assumendo che la sentenza in oggetto sarebbe incorsa in un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’articolo 106 c.p.a. e dell’articolo 395, comma 1, numero 4, c.p.c., con riferimento alla obliterazione, riscontrabile in tale sentenza, del rilievo operato dal Centro in ordine alle disposizioni contenute nel regolamento di cui all’articolo 2, comma 11, della l. 537/1993, in riferimento all’articolo 19 della l. 241/1990, nel testo novellato dall’articolo 2, comma 10, della l. 537/1993, regolamento emanato con d.P.R. numero 411 del 9.5.1994, il quale ha disposto che, nell’ambito dei provvedimenti da rilasciarsi dalla p.a. in modo espresso e, dunque, non riconducibili alla previsione del novellato articolo 19 della l. 241/1990, non risulterebbe in alcun modo contemplato il caso delle autorizzazioni in favore di strutture sanitarie per l’erogazione, in regime di convenzione, di prestazioni sanitarie. 5. Assume la ricorrente per revocazione che la censura, se effettivamente presa in considerazione dal Collegio giudicante, gli avrebbe sicuramente consentito di operare una differente ricostruzione della vicenda fattuale sottoposta alla sua analisi. 6. La lettura della norma regolamentare, la cui omissione risulterebbe evidente, permetterebbe di apprezzare nella sua portata decisiva l’errore in cui sarebbe incorso il giudice, giacché la disposizione in essa contenuta appare di univoca e agevole interpretazione, sì da escludere che, qualora il Consiglio ne avesse valutato la portata, lo stesso avrebbe potuto in ogni caso respingere il secondo motivo di ricorso. 7. Sarebbe pure frutto di una palese lettura degli atti processuali, implicante una errata valutazione di fatto smentita dalla piana lettura degli atti di causa, l’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui la società appellante avrebbe convenuto con le amministrazioni resistenti in merito alla insufficienza della d.i.a. nel settore delle autorizzazioni alle strutture sanitarie. 7.1. Al contrario, deduce Centro Santa Lucia s.r.l., la lettura del secondo motivo di appello permetterebbe di accertare che essa aveva pacificamente ritenuto che la motivazione del T.A.R. in ordine alla non operatività della d.i.a., con generico riferimento al settore delle autorizzazioni sanitarie, non fosse sostenibile in diritto, in quanto non pertinente al caso in esame, valutazione ben diversa dall’assentire circa la inidoneità della d.i.a. per lo svolgimento dell’attività di riabilitazione da parte del Centro Santa Lucia. 7.2. La ricorrente per revocazione assume che, laddove questo Consiglio dovesse accogliere il motivo rescindente sopra enucleato, sul piano del giudizio rescissorio occorrerebbe, ai fini dell’accoglimento dell’impugnazione posta in essere dal Centro Santa Lucia rispetto al provvedimento assunto in autotutela dal Comune di Ortucchio, esso esamini il terzo motivo di gravame già proposto in sede di appello avverso la sentenza del T.A.R. abruzzese che, siccome mai analizzato, essa ha inteso riproporre nella sua interezza pp. 30-36 . 8. Si sono costituite nel presente giudizio di revocazione l’A.S.L. numero 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila, il Comune di Ortucchio AQ e Medisalus s.r.l., depositando memorie difensive nelle quali hanno sostenuto l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza del ricorso per revocazione, nonché, con mera memoria di stile, anche il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi della Sanità della Regione Abruzzo. 9. Nella pubblica udienza del 23.1.2014 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione. 10. Il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, non ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi contemplata dall’articolo 395, comma 1, numero 4, c.p.comma 11. Pare infatti al Collegio evidente che Centro Santa Lucia s.r.l., con l’articolazione del sopra esposto unico motivo rescindente, abbia in realtà dedotto e fatto valere non un presunto errore di fatto, ma un errore di diritto, nel quale sarebbe incorso il Collegio giudicante per aver omesso di considerare debitamente, sul piano giuridico, anche le disposizioni del d.P.R. numero 411 del 9.5.1994, pur invocate dall’appellante a sostegno del secondo motivo di gravame. 11.1. Alla stregua di tali previsioni, secondo la tesi del Centro ricorrente, nell’ambito dei provvedimenti da rilasciarsi dalla p.a. in modo espresso e, dunque, non riconducibili alla previsione del novellato articolo 19 della l. 241/1990, non risulterebbe in alcun modo contemplato il caso delle autorizzazioni in favore di strutture sanitarie per l’erogazione, in regime di convenzione, di prestazioni sanitarie. 11.2. In altri termini, secondo la ricorrente per revocazione, se il Consiglio di Stato avesse esaminato con attenzione anche la normativa del d.P.R. 411/1994, la cui violazione il Centro aveva pure denunziato nel secondo motivo di appello, esso si sarebbe avveduto che anche nel settore delle autorizzazioni sanitarie la d.i.a. ora s.c.i.a. avrebbe potuto trovare il proprio spazio operativo, non essendo ciò espressamente precluso da un complessivo esame delle disposizioni del citato d.P.R. 411/1994. 12. In senso contrario a tale assunto deve, però, osservarsi che nella sentenza numero 734/2013 il Collegio giudicante ha ben sottolineato che “la considerazione che l’attività sanitaria da tempo ormai risalente è necessariamente assoggettata ad autorizzazione pubblica, in mancanza della quale l’attività stessa è vietata ed il titolare incorre in sanzioni”, sicché esso, esaminando complessivamente il secondo motivo di gravame, ha ritenuto che, sulla base di una ricognizione dell’ordinamento vigente, non si possa in alcun modo affermare che sia consentito ricorrere allo strumento della d.i.a. ora s.c.i.a. nel settore delle autorizzazioni sanitarie. 13. Tale conclusione dell’impugnata sentenza, del tutto legittima ed esaustiva, è stata avvalorata e corroborata anche dall’ulteriore rilievo che gli stessi elementi invocati dall’appellante e, in particolare, la richiesta di prendere atto della d.i.a. e/o dei suoi effetti autorizzatori, in data 4.1.1999, nonché i successivi riscontri della Regione Abruzzo, con le note prot. 757/4 in data 15.1.1999 e prot. 7767 dell’11.4.2001, confermano come sia il Centro S. Lucia s.r.l. e la Regione ritenessero non sufficiente la d.i.a. e non concluso il procedimento, stimando necessario che venisse acquisito il parere della A.S.L. previa positiva verifica dei requisiti. 14. La sentenza impugnata ha dunque approfonditamente e correttamente esaminato i dedotti profili di illegittimità denunciati dall’appellante con il secondo motivo di gravame, giungendo alla condivisibile e legittima conclusione che, nell’attuale quadro normativo, nazionale e regionale, e come del resto confermato dallo stesso comportamento delle parti interessate, la d.i.a. non può certo costituire titolo legittimante all’apertura, all’esercizio e all’accreditamento delle strutture sanitarie. 15. Né elementi ostativi e, comunque, decisivi nel contrario senso stima il Collegio possano trarsi dall’invocata normativa secondaria dettata dal d.P.R. 411/1994, poiché la circostanza che tale regolamento non escluda espressamente dal regime della s.c.i.a. l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di una attività sanitaria non può essere interpretata come una deroga alle ben più severe disposizioni dettate dalle fonti primarie. 15.1. Occorre al riguardo rilevare che l’articolo 1 del citato d.P.R. 411/1994 esclude dal regime di cui all’articolo 19 della l. 241/1990 le attività indicate nell’allegata tabella A, ma “fermo restando quanto disposto dall’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, numero 241, quale sostituito dall’articolo 2, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, numero 537”. 15.2. La circostanza che le autorizzazioni sanitarie di cui si controverte non siano incluse nella tabella A non è dunque decisiva, perché proprio l’articolo 19 della l. 241/1990, richiamato dall’articolo 1 del d.P.R. 411/1994, prevede che la d.i.a., ora s.c.i.a., non operi per gli atti di autorizzazione per i quali “non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi”, come accade invece e precipuamente, nella programmazione del Servizio sanitario nazionale, per l’autorizzazione all’apertura e all’esercizio di attività sanitaria e per l’accreditamento delle strutture sanitarie private. 15.3. Basti qui solo al riguardo rammentare che l’articolo 8ter del d. lgs. 502/1992 stabilisce espressamente che “la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio sanitarie sono subordinate ad autorizzazione”. 15.4. Appare dunque evidente, di fronte alla chiara previsione legislativa di un provvedimento espresso per le autorizzazioni sanitarie, la radicale incompatibilità della d.i.a. ora s.c.i.a. con tale specifico settore dell’ordinamento, soggetto ad un penetrante controllo dell’autorità per la verifica dei requisiti necessari all’esercizio di attività sanitarie in un quadro di più vasta e complessa programmazione. 16. Ne segue che il motivo di revocazione, in quanto diretto a censurare un presunto errore di diritto, errore peraltro del tutto insussistente per l’evidente infondatezza della tesi in diritto sostenuta dalla ricorrente, deve essere dichiarato inammissibile. 17. L’inammissibilità della revocazione esime il Collegio dall’esame del terzo motivo di gravame dal Centro riproposto, a soli fini rescissori, nel proprio atto di impugnazione. 18. Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente per revocazione nei confronti del Comune di Ortucchio, della A.S.L. numero 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila, e di Medisalus s.r.l., uniche parti costituite ad aver svolto sostanziale attività difensiva, essendosi il Commissario ad acta limitato ad una mera costituzione di stile. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Condanna Centro Santa Lucia s.r.l. a rifondere in favore del Comune di Orticchio le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre gli accessori di legge. Condanna Centro Santa Lucia s.r.l. a rifondere in favore dell’A.S.L. numero 1 Avezzano -Sulmona-L’Aquila le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre gli accessori di legge. Condanna Centro Santa Lucia s.r.l. a rifondere in favore di Medisalus s.r.l. le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre gli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.