L'autosilo e il risarcimento danni da atto illegittimo...

L'autosilo è stato costruito sulla base delle distanze che il piano dei parcheggi non aveva derogato, con la conseguenza che i titoli autorizzatori, illegittimi, sono stati annullati dal Giudice. Chi paga i danni?

La questione presa in esame dalla Sezione V, con la sentenza n. 183 depositata il 17 gennaio 2013, ha riguardato la richiesta risarcitoria avanzata in primo grado ed ha ad oggetto la lesione giuridica dell’interesse legittimo in relazione al potere amministrativo illegittimamente esercitato. Si verte, in definitiva, in uno di quei casi di danno da provvedimento illegittimo favorevole. In sostanza, l'appellante invoca il risarcimento dei danni cagionati dall’adozione di un provvedimento satisfattivo della propria istanza procedimentale, ma illegittimo e per questo caducato in sede giurisdizionale. Ma, a tale proposito, la posizione del Collegio è chiara in assenza di accertamento in merito alla spettanza del bene della vita oggetto della concessione non vi è lesione dell’interesse pretensivo fatto valere dalla società. La costruzione dell'autorimessa/silos. Una società chiede ed ottiene nel 1998 dal Comune di Como il rilascio di concessione edilizia per la costruzione di autorimesse su tre piani di cui due fuori terra in area ubicata in zona A1 di piano regolatore centro storico , inclusa nel programma urbano parcheggi PUP . Il provvedimento concessorio, su ricorso di un condominio confinante e di un condòmino venne dapprima sospeso ord. n. 2752/1998, TAR Lombardia, confermata in appello , quindi annullato dal primo Giudice sentenza n. 3415/1999, passata in giudicato . Sta di fatto che il Giudice di primo grado non ha accolto la richiesta di risarcimento avanzata dalla società in questione, in relazione al fatto che Se è innegabile la responsabilità verso i terzi per i danni provocati da un’opera illegittimamente realizzata dall’operatore e illegittimamente assentita dalla P.A., non [ ] possa configurarsi una responsabilità risarcitoria della P.A., per le conseguenze dannose derivanti dall’annullamento di un titolo ad aedificandum , nei confronti di chi ne abbia chiesto il rilascio presentando un progetto non conforme alla normativa edilizia e urbanistica . L'autoresponsabilità del privato. A ciò osta, infatti, afferma la sentenza Tar Lombardia, il principio di autoresponsabilità che informa sia l’art. 1227 c.c., che esclude il risarcimento dei danni riconducibili al concorso del fatto colposo del creditore, sia l’art. 50 del codice penale, il quale, se nel campo penale esclude la punibilità di chi lede un diritto col consenso della persona che può validamente disporne, nella sfera dei diritti privati - ed in materia di responsabilità aquiliana - comporta l’esclusione della antigiuridicità dell'atto lesivo per effetto del consenso del titolare, ove il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile cfr. Cass. n. 1682/1997 . In sostanza, chi presenta un progetto edilizio, avvalendosi per giunta dell’opera di qualificati professionisti, ha per primo l’onere di verificarne la conformità alla normativa vigente, e non può pretendere di addossare all’Amministrazione, che non abbia rilevato profili di contrasto con la normativa di settore, gli effetti dannosi, risentiti in proprio, da lui stesso voluti . I motivi dell'illegittimità. Nel caso di specie la concessione era stata annullata per violazione delle distanze legali dal confine e tra fabbricati distanze che - secondo il giudicato - non erano derogabili in base alle previsioni del programma urbano parcheggi, giacché il PUP, limitandosi a prevedere l’ubicazione, nel viale interessato, di un micro parcheggio diffuso , senza alcuna indicazione ulteriore quanto a tipologia costruttiva, volumetria, superficie, numero di posti auto realizzabili, aveva valore unicamente localizzativo, e pertanto non autorizzava deroghe alle prescrizioni generali in tema di distanze dettate dall’art. 6 NTA , né giustificava la costruzione di un’autorimessa a tre piani in deroga alla disciplina di zona. Nella memoria conclusiva la ricorrente assumeva che la responsabilità risarcitoria del Comune risiederebbe nell’errore inescusabile in cui il Comune sarebbe incorso nella predisposizione del PUP e dei relativi elaborati ciò sul rilievo che la concessione edilizia, stando alla sentenza, risulta illegittima non in quanto tale, ma perché non assistita dall’effetto di variante derivante dal PUP . Tale tesi era destituita di fondamento. In primo luogo perchè la legittimità del PUP non era neppure in discussione, limitandosi a rilevare che, nei termini in cui era formulato, il PUP non autorizzava il progetto assentito. In secondo luogo, eventuali carenze del PUP al riguardo - tanto più se dovute, come dedotto, alla mancanza di una minima diligenza tecnica - erano o dovevano essere ben note anche alla Società, che ben avrebbe potuto tenerne conto in sede progettuale. Di chi la colpa? In sostanza, sotto questo profilo, il Giudice non ha avuto dubbi la colpevolezza, elemento indefettibile della responsabilità risarcitoria della P.A., non risiede nella mera illegittimità dell’atto, ma richiede l’addebitabilità di un errore inescusabile nell’interpretazione della normativa da applicare alla fattispecie. Ora, delle due l’una o un errore di questo tipo non è ravvisabile nel caso in esame, e allora la colpa dell’Amministrazione va esclusa oppure è ravvisabile, ma in tal caso integra un vizio progettuale parimenti addebitabile alla Società ricorrente, la quale deve imputarlo a se stessa, senza la pretesa di riversarne le conseguenze su altri. La tipologia del danno. Nel percorso di valutazione del danno da lesione di interesse legittimo imputato a provvedimento illegittimo in assenza di una disciplina specifica occorre seguire le coordinate tipiche dell’illecito aquiliano. Pertanto, il primo passo da compiere è quello di verificare se si sia in presenza di un danno non jure e contra jus. È noto, infatti, che nel passaggio dall’art. 1151 c.c. del 1865 all’art. 2043 c.c. del 1942 l’ingiustizia non qualifica più il fatto ma il danno, risultando abbandonata un’ottica improntata unicamente sul carattere sanzionatorio della responsabilità extracontrattuale. Ciò nonostante già nell’impero della vecchia disciplina, l’esegesi giurisprudenziale dominante richiedeva che il fatto ingiusto fosse altresì lesivo di una posizione giuridica soggettiva aliunde sancita. Con il passaggio al nuovo paradigma normativo appare chiaro che a si abbandona l’idea della centralità della funzione sanzionatoria dell’illecito aquiliano b si fa strada l’idea dell’atipicità dei fatti illeciti c si inaugura il dibattito verso il riconoscimento di danni non più meramente patrimoniali d si sposta l’attenzione dal danneggiante al danneggiato. Relativamente a tali aspetti, secondo il Collegio, esaminando più da vicino la nozione di danno attualmente vigente si deve rammentare come si contrappongano due impostazioni. Secondo la prima il danno è ingiusto se non è giustificato, ossia se è prodotto in assenza di autorizzazione, quale può essere l’esercizio di un diritto o nel nostro caso l’esercizio legittimo di un potere amministrativo. Secondo quest’impostazione l’art. 2043 c.c., paradigma di riferimento anche nell’odierna controversia, rappresenta un sistema autosufficiente nel quale il danneggiante sopporta qualsiasi conseguenza negativa si verifichi nella sfera patrimoniale del danneggiato. Seguendo questa via interpretativa sono risarcibili anche i danni economici puri. Pertanto, in assenza di una norma autorizzatrice il danno è valutato, calcolando la differenza tra l’ammontare del patrimonio del danneggiato prima e dopo il fatto illecito. Quest’approccio ha avuto certamente il merito di contribuire a risarcire il danno rispetto a fatti illeciti nei quali non appariva come immediatamente definibile la posizione giuridica incisa. Il diritto più recente. Nasce in questo modo l’ambiguo danno all’integrità del patrimonio, utilizzato dalla Suprema Corte di Cassazione nel noto caso De Chirico. Quest’impostazione appare, però, non meritevole di condivisione e già superata in relazione al danno da lesione di interesse legittimo dalla stessa Corte di Cassazione nella celebre sentenza n. 500/1999. A ben vedere, infatti, il danno non può essere sine jure, sembrando più consono utilizzare tale locuzione per il fatto , potendo quest’ultimo risultare o meno autorizzato. Pertanto, per non tradire la chiara indicazione legislativa l’ingiustizia dovrà anche essere riferita al danno , che dovrà presentarsi come contra jus, avendosi in questo modo un doppio giudizio sia sulla condotta del danneggiante che sulla lesione di un bene giuridico del danneggiato. Una simile scelta rassicura, osserva il Collegio, anche in ordine alla limitazione del potere creativo del Giudice, che troverà nel paradigma dell’art. 2043 c.c. non una clausola generale, ma una norma generale, nel senso che a fronte dell’atipicità dei fatti non jure, dovrà rintracciare comunque un danno contra jus, che sarà comunque tipico, poiché la risarcibilità resterà ancorata alla presenza di una posizione giuridica soggettiva precedentemente riconosciuta dall’ordinamento. Una simile opzione interpretativa del resto avvicina l’ordinamento italiano a quello tedesco ed a quello francese, che pur partendo da paradigmi normativi speculari, si caratterizzano per un diritto vivente che percorre traiettorie convergenti. Così l’impostazione fortemente atipica che caratterizza l’esperienza francese è stata delimitata dall’interpretazione pretoria che ritiene necessaria la lesione di un interesse giuridicamente tutelato. Mentre l’impostazione fortemente tipizzata seguita all’interno dell’ordinamento tedesco è stata superata dalla giurisprudenza, forzando il dato letterale, per ammettere il risarcimento di danni diversi da quelli espressamente enumerati. Una pretesa ingiusta. Stando così le cose la richiesta risarcitoria della Società che avrebbe voluto costruire il silos nonostante le norme di PRG non lo consentissero, non poteva essere accolta, perché il riscontro della pretesa supera solo il primo sbarramento legato all’ingiustizia del danno, ossia quello legato alla presenza di un danno rectius , un fatto non jure. Infatti, è stato appurato con sentenza irrevocabile che il potere amministrativo è stato utilizzato in modo illegittimo. L’amministrazione, pertanto, ha posto in essere una condotta non autorizzata. È il secondo passo, invece, a non poter essere compiuto. Non si è apprezzato nella controversia infatti la lesione dell’interesse legittimo dell’appellante. Proprio la sentenza invocata da quest’ultimo per provare il fatto ingiusto ha accertato l’assenza di un danno ingiusto, perché all’originario ricorrente non spettava l’ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo. Tanto che l’amministrazione, qualora avesse posto in essere una condotta jure avrebbe dovuto respingere l’istanza di concessione edilizia. Si tratta, in definitiva, di una conclusione che appare in linea con la direttrice tracciata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 6596/2011, che fa derivare l’assenza di giurisdizione del g.a. dinanzi ad una richiesta risarcitoria per un danno derivato al destinatario di un provvedimento illegittimo favorevole, dalla circostanza che il rimprovero mosso all’amministrazione da parte dell’odierno ricorrente, non ha ad oggetto l’esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la condotta colposa, consistita nell'avere orientato l’odierna appellante verso comportamenti negoziali, che, altrimenti, non avrebbe tenuto.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 12 novembre 2013 - 17 gennaio 2014, n. 183 Presidente Pajno Estensore Tarantino Fatto 1. La presente controversia trae origine dal ricorso proposto dall’Immobiliare Emiliana s.r.l. dinanzi al TAR per la Lombardia, per il risarcimento del danno conseguente all’illegittimo rilascio di concessione edilizia ai sensi degli artt. 34 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 novellati dall’art. 7 della legge n. 205/2000 e dell’art. 17, comma 1, lett. f , della legge n. 59 del 1997, danno individuato nelle componenti che seguono A danno emergente - spese di progettazione . 5.632.000 - spese sostenute in esecuzione di contratti stipulati per la realizzazione dell’opera appalto all’impresa costruttrice, fornitura ascensore oleodinamico, appalto impianto elettrico . 305.860.921 - stipulazione di preliminari di vendita dei box - spese legali . 7.989.368 - spese varie . 2.699.900 B lucro cessante per un totale di . 1.800.000.000 corrispondente al mancato guadagno del corrispettivo di 28 box . 50 milioni cadauno, totale . 1.400.000.000 e 16 posti auto .25 milioni cadauno, totale . 400.000 . 2. Gli eventi non contestati nel corso dei quali sarebbe maturato l’illecito vedono la Società appellante chiedere ed ottenere nel 1998 dal Comune di Como il rilascio di concessione edilizia per la costruzione di autorimesse su tre piani di cui due fuori terra in area ubicata in viale Giulio Cesare, zona A1 di piano regolatore centro storico , inclusa nel programma urbano parcheggi PUP . Provvedimento concessorio che su ricorso di un condominio confinante e di un condòmino venne dapprima sospeso ord.za 15.10.1998 n. 2752, TAR per la Lombardia, confermata in appello , quindi annullato dal primo Giudice sentenza 10.6/14.10.1999 n. 3415, passata in giudicato . 3. La sentenza impugnata, soppesata la non rilevanza del richiamo all’art. 17 , comma 1, lett. f , della legge n. 59 del 1997 ed il difetto di efficacia della stessa in quanto norma meramente programmatica, respingeva il ricorso con la seguente motivazione & lt %& lt %& lt em>Se è innegabile la responsabilità verso i terzi per i danni provocati da un’opera illegittimamente realizzata dall’operatore e illegittimamente assentita dalla P.A., non ritiene il Collegio che possa configurarsi una responsabilità risarcitoria della P.A., per le conseguenze dannose derivanti dall’annullamento di un titolo ad aedificandum, nei confronti di chi ne abbia chiesto il rilascio presentando un progetto non conforme alla normativa edilizia e urbanistica. A ciò osta il principio di autoresponsabilità che informa sia l’art. 1227 del codice civile, che esclude il risarcimento dei danni riconducibili al concorso del fatto colposo del creditore, sia l’art. 50 del codice penale, il quale, se nel campo penale esclude la punibilità di chi lede un diritto col consenso della persona che può validamente disporne, nella sfera dei diritti privati - ed in materia di responsabilità aquiliana - comporta l’esclusione della antigiuridicità dell'atto lesivo per effetto del consenso del titolare, ove il consenso sia stato validamente prestato ed abbia avuto ad oggetto un diritto disponibile cfr. Cass. civ. 3^, 24.2.97 n. 1682 . Chi presenta un progetto edilizio, avvalendosi per giunta dell’opera di qualificati professionisti, ha per primo l’onere di verificarne la conformità alla normativa vigente, e non può pretendere di addossare all’Amministrazione, che non abbia rilevato profili di contrasto con la normativa di settore, gli effetti dannosi, risentiti in proprio, da lui stesso voluti. Nel caso di specie la concessione è stata annullata per violazione delle distanze legali dal confine e tra fabbricati distanze che - secondo il giudicato - non erano derogabili in base alle previsioni del programma urbano parcheggi, giacché il PUP, limitandosi a prevedere l’ubicazione in viale Giulio Cesare di un micro parcheggio diffuso , senza alcuna indicazione ulteriore quanto a tipologia costruttiva, volumetria, superficie, numero di posti auto realizzabili, aveva valore unicamente localizzativo, e pertanto non autorizzava deroghe alle prescrizioni generali in tema di distanze dettate dall’art. 6 NTA , né giustificava la costruzione di un’autorimessa a tre piani in deroga alla disciplina di zona. Nella memoria conclusiva 28.10.2005 la ricorrente assume che la responsabilità risarcitoria del Comune risiederebbe nell’errore inescusabile in cui il Comune sarebbe incorso nella predisposizione del PUP e dei relativi elaborati ciò sul rilievo che la concessione edilizia, stando alla sentenza, risulta illegittima non in quanto tale, ma perché non assistita dall’effetto di variante derivante dal PUP . La tesi è destituita di fondamento. In primo luogo la sentenza non ha affatto censurato il PUP la cui legittimità non era neppure in discussione , limitandosi a rilevare che, nei termini in cui era formulato, il PUP non autorizzava il progetto assentito. In secondo luogo, eventuali carenze del PUP al riguardo - tanto più se dovute, come dedotto, alla mancanza di una minima diligenza tecnica - erano o dovevano essere ben note anche alla Società, che ben avrebbe potuto tenerne conto in sede progettuale. Va considerato, sotto questo profilo, che la colpevolezza, elemento indefettibile della responsabilità risarcitoria della P.A., non risiede nella mera illegittimità dell’atto, ma richiede l’addebitabilità di un errore inescusabile nell’interpretazione della normativa da applicare alla fattispecie. Ora, delle due l’una o un errore di questo tipo non è ravvisabile nel caso in esame, e allora la colpa dell’Amministrazione va esclusa oppure è ravvisabile, ma in tal caso integra un vizio progettuale parimenti addebitabile alla Società ricorrente, la quale deve imputarlo a se stessa, senza la pretesa di riversarne le conseguenze su altri 3. Con atto d’appello ritualmente notificato l’originaria ricorrente contesta l’erroneità della sentenza emessa dal Giudice di prime cure per le seguenti ragioni 1 violazione degli artt. 2043 e 1227 c.c. e art. 4 l. 493/1993. Non è corretta l’affermazione dell’amministrazione secondo la quale gli effetti dannosi siano stati voluti dall’appellante, in quanto questi non è in dolo, né ha falsamente rappresentato la realtà, inoltre anche in sede processuale il Comune ha continuato a protestare la legittimità della concessione. Inoltre, l’art. 4 l. 493/1993, prevedeva che fosse il responsabile del procedimento a redigere una relazione sulla qualificazione giuridica dell’intervento edilizio con la valutazione della conformità del progetto alle prescrizioni urbanistico-edilizie. Quindi non vi sarebbe responsabilità del progettista 2 violazione dell’art. 1227 c.c. in relazione al principio espresso da Cass., Sez.Un., n. 17152/2002, che ha affermato che ben può concorrere nel fatto colposo dell’amministrazione il fatto colposo del leso, altrimenti all’interno del paradigma dell’art. 2043 c.c. si richiederebbe un ulteriore elemento non previsto dalla norma ossia la diligenza del danneggiato, che sarebbe tenuto a dimostrare che il danno si è prodotto nonostante la sua diligenza. Il TAR non ha valutato in concreto la rilevanza causale del comportamento colposo del danneggiato. Nella fattispecie spettava al Comune verificare se l’intervento dovesse rispettare le norme codicistiche o le maggiori distanze previste dalla normativa regolamentare. Pertanto, l’errore del Comune è inescusabile 3 violazione dell’art. 2043 c.c. e 50 c.p., da parte della sentenza nella misura in cui, richiamandosi a Cass. 24 febbraio 1997, n. 1682, ritiene necessario il consenso dell’istante, perché la domanda di concessione edilizia non può essere equiparata a proposta contrattuale, incombendo in capo alla p.a. il dovere di rispettare il principio di legalità. 3.1. In ordine alla determinazione dell’ammontare del danno la Società appellante lo ricostruisce in 15 punti aventi ad oggetto il danno emergente e facendo riferimento per il lucro cessante al valore di mercato dei box e dei posti auto. 3.2. Infine, in via istruttoria l’appellante chiede l’audizione di testimoni articolando i correlati capitoli di prova. 4. L’amministrazione comunale nelle proprie difese contesta la ricostruzione giuridica offerta dall’appellante, avvalorando la tesi sposata dal TAR per la Lombardia, ponendo l’attenzione, da un lato, sugli sviluppi amministrativi della vicenda all’indomani della pronuncia di annullamento della concessione, che hanno visto la stessa Società fruire di successivi titoli edilizi in data 5 maggio 2000 d.i.a. il 15 aprile 2002 domanda di concessione in sanatoria in data 24 luglio 2003 dichiarazione di ultimazione lavori e certificato di agibilità. Dall’altro, sul rilievo che l’appellante avrebbe dovuto prudenzialmente attendere il decorso del termine per impugnare e, quantomeno, lo svolgimento della fase cautelare prima di avviare l’iniziativa edile. Peraltro, alcuni contratti sarebbero stati stipulati prima del rilascio del titolo edilizio. Il TAR, inoltre, non avrebbe censurato la scelta localizzativa, ma solo le distanze, la cui disciplina ha ad oggetto il diritto soggettivo la cui tutela ricade in capo ad ogni cittadino, mentre nel caso di illegittimità del provvedimento a fronte di interesse pretensivo non sorge automaticamente il risarcimento del danno, dovendo verificarsi la spettanza del bene della vita realizzazione di autosilo , che nel caso in esame sarebbe stato comunque ottenuto grazie ai successivi titoli edilizi sopra indicati. Se si volesse ipotizzare che il bene della vita fosse quello dell’autosilo oggetto della concessione annullata mancherebbe la prova della spettanza dello stesso. E anche a voler ritenere vigente la disciplina dell’art. 2051 c.c. nessun addebito di responsabilità potrebbe essere mosso al Comune, poiché l’iniziativa è stata presa dall’appellante, che inoltre non ha dimostrato né il nesso eziologico, né l’ammontare del danno subito, né l’elemento psicologico, invocandosi piuttosto una sorta di sanzione a carico del Comune, che ha rilasciato la concessione edilizia sulla scorta di una possibile ricostruzione giuridica. Quanto alla richiesta istruttoria la prova testimoniale sarebbe in parte inammissibile ex art. 2721 c.c., perché avente ad oggetto contratti e perché volta a ricostruire un’intenzione, ovvero a sostituire un’attività valutativa. 5. Con le successive difese l’appellante ribadisce che non può revocarsi in dubbio la responsabilità dell’amministrazione anche in forza dell’art. 6, l. 241/90, che disciplina i compiti del responsabile del procedimento. Responsabilità che non potrebbe ricadere, invece, sul progettista, come comprova anche l’art. 4, l. l. 493/1993. Risulterebbe, inoltre, violato l’affidamento dell’appellante, secondo uno schema analogo a quello contenuto nell’art. 1338 c.c 6. Le rispettive memorie di replica depositate dalle parti in vista dell’odierna udienza reiterano le difese e le conclusioni già esplicitate nei precedenti atti defensionali. Diritto 1. Preliminarmente, il Collegio rileva che la richiesta ex art. 1338 c.c. non è stata proposta con il ricorso di primo grado e, pertanto, la correlata azione a tutela dell’affidamento non può essere avanzata, peraltro, con semplice memoria, in sede d’appello, restando il giudizio dinanzi a questo Consiglio delimitato in ragione del thema decidendi ritualmente introdotto dinanzi al primo Giudice. 1.1. Del resto, una simile domanda avrebbe sollevato anche un problema in ordine alla corretta individuazione del plesso giurisdizionale competente, atteso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, 23 marzo 2011, n. 6596 La controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo ottenuto l'aggiudicazione in una gara per l'affidamento di un pubblico servizio, successivamente annullata dal Tar perché illegittima su ricorso di un altro concorrente, deduca la lesione dell'affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, non essendo chiesto in giudizio l'accertamento della illegittimità dell'aggiudicazione che, semmai, la parte aveva interesse a contrastare nel giudizio amministrativo promosso dal concorrente e, quindi, non rimproverandosi alla P.A. l'esercizio illegittimo di un potere consumato nei suoi confronti, ma la colpa consistita nell'averlo indotto a sostenere spese nel ragionevole convincimento della prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del termine previsto dal contratto stipulato a seguito della gara. . Ogni eventuale interrogativo sul corretto riparto di giurisdizione appare, però, sopito dalla forza del giudicato, non essendo stato prospettato ritualmente dinanzi a questo Consiglio. Solo incidentalmente può, inoltre, notarsi che l’affidamento per essere ingenerato necessità del decorso di un congruo lasso temporale che in ragione della distanza temporale intercorsa tra l’adozione del provvedimento concessorio e l’ordinanza cautelare di sospensione degli effetti adottata dal TAR per la Lombardia non pare decorso. 1.2. Occorre, quindi, ribadire che la richiesta risarcitoria avanzata in primo grado ha ad oggetto la lesione giuridica dell’interesse legittimo dell’odierno appellante in relazione al potere amministrativo illegittimamente esercitato. Si verte, in definitiva, in uno di quei casi di danno da provvedimento illegittimo favorevole. L’odierna appellante, infatti, invoca il risarcimento dei danni cagionati dall’adozione di un provvedimento satisfattivo della propria istanza procedimentale, ma illegittimo e per questo caducato in sede giurisdizionale con sentenza divenuta definitiva. 2. In assenza di accertamento in merito alla spettanza del bene della vita oggetto della concessione non vi è lesione dell’interesse pretensivo fatto valere dalla società. Pertanto, il presente appello deve essere respinto. 2.1. Nel percorso di valutazione del danno da lesione di interesse legittimo imputato a provvedimento illegittimo in assenza di una disciplina specifica occorre seguire le coordinate tipiche dell’illecito aquiliano. Pertanto, il primo passo da compiere è quello di verificare se si sia in presenza di un danno non jure e contra jus . È noto, infatti, che nel passaggio dall’art. 1151 del codice civile del 1865 all’art. 2043 del codice civile del 1942 l’ingiustizia non qualifica più il fatto ma il danno, risultando abbandonata un’ottica improntata unicamente sul carattere sanzionatorio della responsabilità extracontrattuale. Ciò nonostante già nell’impero della vecchia disciplina, l’esegesi giurisprudenziale dominante richiedeva che il fatto ingiusto fosse altresì lesivo di una posizione giuridica soggettiva aliunde sancita. Con il passaggio al nuovo paradigma normativo appare chiaro che a si abbandona l’idea della centralità della funzione sanzionatoria dell’illecito aquiliano b si fa strada l’idea dell’atipicità dei fatti illeciti c si inaugura il dibattito verso il riconoscimento di danni non più meramente patrimoniali d si sposta l’attenzione dal danneggiante al danneggiato. 2.2. Venendo più da vicino alla nozione di danno attualmente vigente deve rammentarsi come si contrappongano due impostazioni. Secondo la prima il danno è ingiusto se non è giustificato, ossia se è prodotto in assenza di autorizzazione, quale può essere l’esercizio di un diritto o nel nostro caso l’esercizio legittimo di un potere amministrativo. Secondo quest’impostazione l’art. 2043 c.c., paradigma di riferimento anche nell’odierna controversia, rappresenta un sistema autosufficiente nel quale il danneggiante sopporta qualsiasi conseguenza negativa si verifichi nella sfera patrimoniale del danneggiato. Seguendo questa via interpretativa sono risarcibili anche i danni economici puri. Pertanto, in assenza di una norma autorizzatrice il danno è valutato, calcolando la differenza tra l’ammontare del patrimonio del danneggiato prima e dopo il fatto illecito. Quest’approccio ha avuto certamente il merito di contribuire a risarcire il danno rispetto a fatti illeciti nei quali non appariva come immediatamente definibile la posizione giuridica incisa. Nasce in questo modo l’ambiguo danno all’integrità del patrimonio, utilizzato dalla Suprema Corte di Cassazione nel noto caso De Chirico. Quest’impostazione appare, però, non meritevole di condivisione e già superata in relazione al danno dal lesione di interesse legittimo dalla stessa Corte di Cassazione nella celebre sentenza n. 500/1999. A ben vedere, infatti, il danno non può essere sine jure , sembrando più consono utilizzare tale locuzione per il fatto , potendo quest’ultimo risultare o meno autorizzato. Pertanto, per non tradire la chiara indicazione legislativa l’ingiustizia dovrà anche essere riferita al danno , che dovrà presentarsi come contra jus , avendosi in questo modo un doppio giudizio sia sulla condotta del danneggiante che sulla lesione di un bene giuridico del danneggiato. Una simile scelta rassicura anche in ordine alla limitazione del potere creativo del Giudice, che troverà nel paradigma dell’art. 2043 c.c. non una clausola generale, ma una norma generale, nel senso che a fronte dell’atipicità dei fatti non jure , dovrà rintracciare comunque un danno contra jus , che sarà comunque tipico, poiché la risarcibilità resterà ancorata alla presenza di una posizione giuridica soggettiva precedentemente riconosciuta dall’ordinamento. Una simile opzione interpretativa del resto avvicina l’ordinamento italiano a quello tedesco ed a quello francese, che pur partendo da paradigmi normativi speculari, si caratterizzano per un diritto vivente che percorre traiettorie convergenti. Così l’impostazione fortemente atipica che caratterizza l’esperienza francese è stata delimitata dall’interpretazione pretoria che ritiene necessaria la lesione di un interesse giuridicamente tutelato. Mentre l’impostazione fortemente tipizzata seguita all’interno dell’ordinamento tedesco è stata superata dalla giurisprudenza, forzando il dato letterale, per ammettere il risarcimento di danni diversi da quelli espressamente enumerati. 3. Esatte queste premesse la richiesta risarcitoria della Società appellante non può essere accolta, perché il riscontro della pretesa in esame supera solo il primo sbarramento legato all’ingiustizia del danno, ossia quello legato alla presenza di un danno rectius, un fatto non jure . Infatti, è stato appurato con sentenza irrevocabile che il potere amministrativo è stato utilizzato in modo illegittimo. L’amministrazione, pertanto, ha posto in essere una condotta non autorizzata. È il secondo passo, invece, a non poter essere compiuto. Non si apprezza nella controversia in esame la lesione dell’interesse legittimo dell’appellante. Infatti, proprio la sentenza invocata da quest’ultimo per provare il fatto ingiusto ha accertato l’assenza di un danno ingiusto, perché all’originario ricorrente non spettava l’ottenimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo. Tanto che l’amministrazione, qualora avesse posto in essere una condotta jure avrebbe dovuto respingere l’istanza di concessione edilizia. Si tratta, in definitiva, di una conclusione che appare in linea con la direttrice tracciata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 6596/2011, che fa derivare l’assenza di giurisdizione del g.a. dinanzi ad una richiesta risarcitoria per un danno derivato al destinatario di un provvedimento illegittimo favorevole, dalla circostanza che il rimprovero mosso all’amministrazione da parte dell’odierno ricorrente, non ha ad oggetto l’esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la condotta colposa, consistita nell'avere orientato l’odierna appellante verso comportamenti negoziali, che, altrimenti, non avrebbe tenuto. Non è, in definitiva, riscontrabile nella fattispecie la lesione dell’interesse legittimo azionato dall’odierno appellante. 4. Le suddette considerazioni consentono di tralasciare la delicata questione inerente l’esegesi dell’art. 1227 c.c., giacché si tratta di un passo ancora successivo, che si sarebbe dovuto compiere solo qualora si fosse riconosciuta la sussistenza di un danno non jure e contra jus . Non appare, infatti, utile operare un accertamento sulla valenza causale del comportamento del creditore-danneggiante, qualora si accerti che difetta in capo a quest’ultimo la lesione della posizione giuridica azionata. 5. Il presente appello deve, pertanto, essere respinto e la disciplina delle spese deve ispirarsi al principio della soccombenza nei sensi indicati in motivazione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Immobiliare Emiliana S.r.l. al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in euro 3000,00 tremila , oltre accessori di legge, se dovuti, a favore del Comune di Como. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.