Quale rilevanza alla crisi d’impresa, al succedersi di diversi amministratori ed agli inadempimenti pubblici?

Nel caso di omesso versamento di ritenute certificate, l’insolvenza successiva non scrimina, dovendo il sostituto di imposta ripartire le proprie risorse in modo da poter sempre adempiere l’obbligo tributario, né può ritenersi sussistente una involontaria illiquidità – in astratto scriminante – allorchè l’imputato, quando ha assunto l’incarico di amministratore, fosse consapevole della situazione di irreversibile indebitamento e mancanza di liquidità della società.

Questo il principio affermato dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3124/14, depositata il 23 gennaio. Il fondamento normativo della questione. I delitti di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. n. 74/2000, introdotti dalle novelle del 2005 e del 2006, si distaccano dall’impostazione tradizionale e dai principi ispiratori della riforma tributaria del 2000. Infatti, sia il delitto di omesso versamento di ritenute certificate art. 10 bis che quello di omesso versamento di IVA art. 10 ter prescindono sia dalla realizzazione di una condotta decettiva in danno della Amministrazione Finanziaria dello Stato, che dal dolo specifico di evasione. Proprio tale peculiare struttura delle fattispecie astratte apre la via alla non agevole verifica di quale rilevanza possa avere il fatto quando l’omesso versamento delle ritenute o dell’IVA sia dovuto non alla volontà di evadere le imposte, ma all'impossibilità del contribuente di adempiere l'obbligazione tributaria a causa della propria insolvenza. In un momento di massima evidenza della crisi economica ci si chiede allora, sempre più di frequente, quale rilevanza possa avere, al fine della contestazione di tali fattispecie, la situazione di insolvenza o la grave crisi di liquidità dell’imprenditore e se nonché a quali condizioni tali circostanze possano escludere la volontarietà della condotta ovvero, come sostiene il ricorrente nel caso de quo , integrare la causa di giustificazione della forza maggiore. Rilevanza di inadempimenti di enti pubblici e di condotte di pregressi amministratori. Nei propri motivi di impugnazione evidenzia il ricorrente che, pochi giorni dopo lo spirare del termine ultimo di legge per effettuare il pagamento delle ritenute certificate, la società era stata dichiarata fallita e questo dato sarebbe la prova inoppugnabile che, allo spirare di detto termine, la società si trovava già in una situazione di conclamata insolvenza. Nel dettaglio, il ricorrente eccepisce sotto il profilo oggettivo la sussistenza della scriminante della causa di forza maggiore conseguente allo stato di insolvenza e sotto il profilo soggettivo, comunque, la involontarietà della condotta derivante dalla situazione di insolvenza già esistente, ma in qualche modo occultata al momento della nomina del ricorrente ad amministratore della società . Invero, pur non essendovi un esplicito richiamo, le argomentazioni della difesa ricalcano quelle fatte proprie da due recenti sentenze assolutorie del Tribunale di Milano, entrambe relative a mancati versamenti delle ritenute per l’insolvenza in cui i sostituti d’imposta erano venuti a trovarsi. Come noto, trattasi infatti di sentenze che hanno avuto larga eco. In un caso Trib. Milano 07 gennaio 2013 , il Tribunale meneghino ha assolto l’imputato per mancanza del dolo, ritenendo assolutamente imprevedibili, per l’imprenditore sostituto d’imposta, i gravi e ripetuti inadempimenti da parte di pubbliche amministrazioni clienti dell’imprenditore, inadempimenti che avevano cagionato l’insolvenza della soietà. In un secondo caso Trib. Milano 28 aprile 2011 , lo stesso Tribunale di Milano aveva assolto il liquidatore di una società insolvente, ritenendo che l’impossibilità di adempiere l’obbligo tributario era la conseguenza della sola condotta di precedenti amministratori, che per lungo tempo avevano omesso di effettuare i versamenti periodici e, comunque, di accantonare riserve sufficienti a pagare le ritenute via via maturate. In conseguenza, l’inadempimento non poteva essere in alcun modo imputato al liquidatore, nominato quando era troppo tardi per porre ogni rimedio al comportamento dei precedenti amministratori, ravvisandosi nel caso in esame una ipotesi di forza maggiore che esclude la sussistenza del reato, già sotto il profilo oggettivo il reato. Assenza di dolo? Come si può agevolmente notare il ricorrente era giunto alle stesse conclusioni dei giudici milanesi, ma sulla base di presupposti, invero, almeno parzialmente differenti. Sotto il profilo della causa di forza maggiore, il ricorrente deduceva non l’imprevedibile inadempimento di enti pubblici debitori dell’impresa stessa ritenuto peraltro dai giudici milanesi incidere sul dolo e non costituire causa di forza maggiore , bensì la mera situazione di insolvenza, poi resa conclamata dalla dichiarazione di fallimento, intervenuta pochi giorni dopo la scadenza del termine ultimo per adempiere. Sotto un secondo profilo, l’assenza di dolo viene dedotta dal ricorrente sulla base della malcelata situazione di insolvenza, già preesistente rispetto alla nomina del ricorrente, mentre nel caso milanese era intervenuta, in una situazione di insolvenza, la nomina non ad amministratore, ma a mero liquidatore della società circostanza ritenuta, invece, nella sentenza milanese integrare una ipotesi di causa di forza maggiore . La decisione ir rilevanza della mera insolvenza Sul punto è agevole, per i giudici della Suprema Corte, premettere l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, costante nel ritenere di norma irrilevante lo stato di insolvenza del contribuente ai fini dell’accertamento della responsabilità penale per l'omesso versamento delle ritenute. Invero, già la giurisprudenza formatasi sotto la vigenza della vecchia legge n. 516/82, facendo riferimento alla similare fattispecie dell'art. 2 l. n. 516/82, aveva escluso, perfino in caso di fallimento del sostituto d'imposta, che l'omesso versamento delle ritenute fosse scriminato dall'oggettiva impossibilità di adempiere. Sin da allora la Cassazione argomentava che il sostituto d'imposta ha l’obbligo di ripartire le proprie risorse disponibili al momento della corresponsione delle retribuzioni in modo tale da poter adempiere all’obbligo tributario, anche se ciò significhi omettere di pagare alcune retribuzioni ai dipendenti. É proprio tale argomento, invero già più volte richiamato sotto la vigenza d.lgs. n. 74/2000, che viene invocato dagli Ermellini, nel caso in esame, per escludere la sussistenza dell’ipotesi della forza maggiore in caso di mera situazione di insolvenza, pur conclamata dalla susseguente e quasi immediata dichiarazione di fallimento. Invero, la pronuncia in esame non pare smentire quanto affermato dai giudici milanesi, che, per giungere alla sentenza assolutoria, avevano accentrato la propria attenzione non sulla mera sussistenza della situazione di insolvenza, ma sulla sua imprevedibilità da parte del soggetto agente, in quanto conseguenza di imprevedibili inadempimenti da parte di enti pubblici. Anche alla luce di tale pronuncia si può dunque concludere per la irrilevanza della mera insolvenza, che, sino a diverso orientamento giurisprudenziale, potrà valere ad escludere il dolo solo laddove sia stata assolutamente imprevedibile. e della successione di amministratori. Anche il secondo motivo di doglianza, incentrato sulla involontarietà dell’inadempimento per essere stato il ricorrente nominato amministratore quando la società si trovava in una situazione di reale insolvenza, pur celata dalla esistenza di crediti in realtà inesigibili, viene disatteso dalla Suprema Corte. È infatti agevole per gli Ermellini evidenziare che la norma in esame non richiede alcun dolo specifico e, dunque, ad integrare l’elemento soggettivo della fattispecie ben può bastare il dolo eventuale, ravvisabile, nel caso di specie, nella accettazione del rischio di non poter adempiere alle obbligazioni tributarie, stante la situazione di grave ed irreversibile insolvenza in cui si trovava la società di cui il ricorrente aveva assunto l’amministrazione. Nessuna inevitabilità dunque, per la Corte, poteva eccepire il ricorrente nel caso di specie. Invero, appare più corretto attribuire una rilevanza penale alle sole condotte che abbiano in qualche modo contribuito a determinare la situazione di oggettiva impossibilità di adempiere e, fra queste, non può essere annoverata la mera accettazione dell’incarico di amministrare di una società che versi in crisi di liquidità, come, invece, pare argomentare la Corte. Sicuramente più consono ai canoni costituzionali di una responsabilità personale e colpevole sarebbe stato accertare se, nel lasso di tempo intercorso fra la nomina a neo-amministratore e la scadenza del termine ultimo fissato dalla norma penale per l’effettuazione del versamento dell’imposta, lo stesso avesse avuto la concreta possibilità di raccogliere le somme necessarie a far fronte sia alle nuove obbligazioni tributarie maturate dopo la sua nomina, che a quelle derivanti dalla gestione del precedente amministratore, ma non ancora adempiute. Produzione dei modelli 770. È appena il caso di evidenziare come la pronuncia in esame non si disallinei, ad una attenta lettura, né ai principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sent. n. 37424/2013, né a quelli della recentissima e chiacchieratissima sent. della Sezione III, n. 2614/2014, che, seppur in tema di IVA, ha ritenuto che la deduzione riguardante la crisi economica del ricorrente fosse stata generica, non contenendo, in particolare, indicazioni specifiche atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole dell’adempimento tributario del versamento. Sotto un ultimo aspetto la pronuncia in esame merita nota si doleva infatti il ricorrente che il Pubblico Ministero non avesse assolto all’onere della prova dimostrando l’avvenuto versamento delle retribuzioni alle quali si riferivano le ritenute di cui si contestava l’omesso versamento. Sul punto, ancora una volta, è lapidaria l’affermazione della Corte che ritiene sufficiente all’assolvimento dell’onere di allegazione così, invero, definito e non ‘di prova’ del Pubblico Ministero la produzione dei Mod. 770 provenienti dallo stesso imputato.

Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 27 novembre 2013 – 23 gennaio 2014, n. 3124 Presidente Teresi – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. M.P. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di BRESCIA in data 13/07/2012, depositata in data 19/07/2012, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di BRESCIA 28/09/2011, di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed alle pene accessorie di legge, con la concessione del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen., perché, nella sua qualità di legale rappresentante, dal 29/07/2005 al 21/10/2007, della società VALTENESI SERVIZI SCRL con sede in OMISSIS , non versava entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare complessivo di Euro 194.132,00, relative ad emolumenti erogati nell'anno d'imposta 2006 fatto commesso in omissis , entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta art. 10 - bis, d. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 . 2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato a mezzo del difensore -procuratore speciale cassazionista, articolando tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 3. Deduce, con un primo motivo, vizio di motivazione art. 606, lett. e , c.p.p. , per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui afferma che il giudice di primo grado avrebbe già operato la sostituzione della sanzione detentiva, cosicché l'istanza di conversione si appalesava come fuor d'opera in sintesi, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che il primo giudice avesse concesso la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria ex lege n. 689/1981 la Corte territoriale, dunque, muovendo da un errato presupposto in fatto, non avrebbe statuito in ordine alla concessione della richiesta conversione della pena detentiva, né sussistevano preclusioni né ragioni ostative all'accoglimento della richiesta. 4. Deduce, con un secondo motivo, violazione di legge art. 606, lett. b , c.p.p. sub specie di inosservanza o erronea applicazione della legge art. 27, comma 2, Cost. e della legge penale art. 45 c.p. in particolare, il ricorrente avrebbe allegato la propria impossibilità di effettuare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, dimostrando l'intervenuto fallimento della società solo pochi giorni dopo la scadenza del termine di legge per effettuare il prescritto versamento sussisterebbero, quindi, le condizioni per applicare la causa di non punibilità della forza maggiore. Si deduce, poi, nel secondo motivo, che la Corte territoriale, muovendo dal presupposto che il reato costituisce una forma particolare di appropriazione indebita integrato dall'effettiva corresponsione ai dipendenti, ha affermato che nel caso di specie non si dubita fosse avvenuta, non essendo stato fatto alcun accenno in senso diverso dalla difesa atteso, però, il principio della presunzione d'innocenza, sarebbe stato onere del PM introdurre in giudizio gli elementi di prova che fondassero il giudizio sulla responsabilità penale, non potendosi ascrivere alla difesa un onere probatorio circa la non colpevolezza del ricorrente di conseguenza, non essendo stata provata l'avvenuta erogazione delle retribuzioni, non sussisterebbe un elemento costitutivo del reato. 5. Deduce, infine, con un terzo ed ultimo motivo, la violazione dell'art. 606, lett. b , c.p.p., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale art. 45 c.p. in sintesi, avendo il ricorrente dimostrato a che il 21 ottobre 2007, pochi giorni dopo la scadenza del termine per il prescritto versamento, la società da lui amministrata era stata dichiarata fallita dal Tribunale b le condizioni d'irreversibile indebitamento con gravissima mancanza di liquidità della società nel momento in cui questi ne aveva assunto l'amministrazione, sussisterebbe la ed. forza maggiore art. 45 c.p. , norma, quest'ultima, applicabile, anche alla materia tributaria, come desumibile, sia da molteplici disposizioni di legge puntualmente richiamate in ricorso, che dall'applicazione giurisprudenziale operatane anche in sede di legittimità, in cui si è fatta rientrare nella causa di non punibilità de qua l'impossibilità economica o l'illiquidità viene, dunque, riproposta, come già in sede di motivi di appello, la questione in ordine alla sussistenza del reato in ipotesi di carenza di risorse finanziarie da parte del contribuente, in quanto, ove l'omissione, come nel caso in esame, sia involontaria, il fatto previsto dalla legge come reato non sussisterebbe, atteso che la forza maggiore è una situazione in cui l'autodeterminazione è preclusa del resto, l'illiquidità dell'impresa dipende anche da variabili esogene e non governabili dall'imprenditore . Considerato in diritto 5. Il ricorso è in parte fondato nei limiti di cui si dirà appresso. 6. In particolare, quanto al primo motivo, questo Collegio non può non rilevarne la fondatezza, avendo la Corte d'appello errato nel ritenere che il primo giudice avesse concesso la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria ex lege n. 689/1981. Ed invero, dalla lettura della motivazione della sentenza del tribunale di Brescia, emessa all'esito di giudizio abbreviato, nulla risulta in ordine all'applicazione dell'invocata sanzione sostitutiva. La censura è, peraltro, puntuale in quanto specificamente dedotta come terzo motivo d'appello depositato il 9/11/2011, sicché non si trattava di applicare d'ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi Sez. 4, n. 12947 del 20/02/2013 - dep. 20/03/2013, Pilia, Rv. 255506 , ma di omessa motivazione su di uno specifico motivo di impugnazione, con conseguente sussistenza del denunciato vizio. Non potendo provvedere ad emendare il vizio questa Corte atteso che, ai fini della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria, il giudice ricorre ai criteri previsti dall'art. 133 cod. pen., implicando ciò una valutazione discrezionale, attinente al merito, che sfugge a questa sede di legittimità , la sentenza deve, pertanto, essere annullata, per questa parte, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di BRESCIA, limitatamente all'omessa statuizione sulla richiesta di concessione della sanzione sostitutiva ex art. 53 legge n. 689/81. 7. Infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole, sia dalla mancanza di prova del pagamento delle retribuzioni che della mancata applicazione della causa di non punibilità della forza maggiore, ex art. 45 cod. pen. attesa l'asserita impossibilità di effettuare le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, essendo stato dichiarato il fallimento della società dallo stesso amministrata solo pochi giorni dopo la scadenza del termine di legge per effettuare il prescritto versamento. Sul punto, la denunciata violazione di legge è insussistente, atteso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono riconducibili al concetto di forza maggiore la quale, postulando l'individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013 - dep. 24/04/2013, Giro, Rv. 255880 in senso conforme Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007 - dep. 29/01/2008, Cairone, Rv. 238986 . La Corte territoriale, facendo coerente applicazione al caso in esame del suesposto principio di diritto, ha infatti precisato che nel caso di omesso versamento delle ritenute, l'insolvenza successiva non scrimina, dovendo il sostituto d'imposta ripartire le proprie risorse in modo da poter sempre adempiere l'obbligo tributario, così richiamando una giurisprudenza già formatasi sotto la previgente disciplina Sez. 3, n. 9223 del 25/05/1990 - dep. 27/06/1990, Balistrieri, Rv. 184713 allo stesso modo, peraltro, non può favorevolmente valutarsi la deduzione dell'impugnante circa la possibile involontarietà della condotta, atteso che puntualmente i giudici d'appello - ammettendo in astratto la rilevanza della ed. illiquidità volontaria quale fattore che impedisce di ricollegare l'omissione ad una situazione dolosa - giungono, nel caso in esame, ad escludere che il ricorrente si trovasse in una tale situazione di involontarietà, in quanto la documentazione agli atti dimostrava inequivocabilmente che quando il ricorrente assunse la carica di amministratore della società, quest'ultima già versava in una condizione di irreversibile indebitamento con gravissima mancanza di liquidità e che le poste creditorie, dichiarate all'ingresso del ricorrente nella compagine amministrativa, risultarono poi inesigibili il mancato pagamento, dunque, rappresentava circostanza conosciuta, con la conseguenza che la relativa omissione deve considerarsi il risultato di una consapevole decisione, soggettivamente riferibile all'amministratore quantomeno a titolo di dolo eventuale, dato che proprio la condizione iniziale della società di irreversibile indebitamento con gravissima mancanza di liquidità rendeva concreto il rischio di non poter adempiere il debito al momento prestabilito. Quanto, poi, alla dedotta insussistenza del reato non essendo stata provata l'avvenuta erogazione delle retribuzioni, è sufficiente in questa sede richiamare quanto già in precedenza affermato da questa stessa Sezione nel senso che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d'imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi, essendo in particolare sufficiente l'allegazione dei mod. 770 provenienti dallo stesso datore di lavoro, come nel caso di specie avvenuto, essendo infatti emersa la violazione sulla base degli accertamenti automatizzati svolti dall'Agenzia delle Entrate di Lonato, evidentemente fondati sulla dichiarazione mod. 770 presentata dallo stesso contribuente Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012 - dep. 11/01/2013, Salmistrano, Rv. 254152 in senso conforme, da ultimo Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013 - dep. 31/07/2013 - Buzi, Rv. 256429 . 8. Infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso, per le ragioni già indicate con riferimento al secondo motivo. Il motivo, al limite dell'inammissibilità non curandosi nemmeno il ricorrente di considerare le argomentazioni critiche con cui la Corte territoriale aveva motivatamente respinto l'identica eccezione, dovendosi lo stesso considerare non specifico ma soltanto apparente, omettendo di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso , si risolve, sostanzialmente, nella mera riproposizione dell'analoga censura proposta nel secondo motivo e dell'identico motivo di appello , in ordine alla questione relativa alla sussistenza del reato in ipotesi di carenza di risorse finanziarie da parte del contribuente nonché per difetto di volontarietà dell'omissione, censura sulla cui infondatezza questo Collegio rimanda a quanto già esposto nel precedente p. 7. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla conversione della pena detentiva, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di BRESCIA rigetta, nel resto, il ricorso.