In caso di part-time verticale o misto, il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate.
A ribadirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza numero 1424 del 23 gennaio 2014. Il caso. La Corte di Appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado, accertava il diritto di una dipendente dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato ad ottenere 25,6 giorni di ferie l’anno, in luogo dei 24,92 a lei riconosciuti dal proprio datore di lavoro. Rilevavano in particolare i Giudici di merito come, pur essendo l’orario di lavoro presso la sede di Venezia articolato su sei giorni settimanali, era possibile per i dipendenti fruire dell’«articolazione dell’orario ordinario» su cinque giorni. Tale circostanza impediva quindi di qualificare la ricorrente quale lavoratrice part-time, con suo conseguente diritto a fruire delle ferie “piene”. Il part-time viene verificato sulla base dell’orario di lavoro dell’unità produttiva. Contro tale pronuncia la Presidenza del Consiglio dei Ministri ricorreva alla Corte di Cassazione lamentando la violazione, da parte della sentenza impugnata, della disciplina recata dal CCNL comparto Ministeri a mente del quale, pur essendo l’orario di lavoro normalmente articolato su cinque giorni settimanali, era possibile per il datore di lavoro distribuirlo su sei , atteso che nell’unità produttiva di Venezia l’orario per tutti i dipendenti era articolato su sei giorni a settimana. Tanto bastava a qualificare la lavoratrice, che ne lavorava solo cinque, quale part-time c.d. «verticale» con conseguente riduzione delle giornate di ferie. Motivo che viene accolto dalla Cassazione la quale, enunciando il principio esposto in massima, rigetta le domande della lavoratrice decidendo nel merito la domanda. Nel caso di specie la prestazione era normalmente distribuita su 6 giorni. Preliminarmente la Corte rileva come l’articolo 22 della Legge numero 724/1994 abbia introdotto una «normale articolazione dell’orario di lavoro pubblico» su cinque giorni settimanali, consentendo tuttavia la possibilità di derogare a tale regola in ipotesi di specifiche esigenze aziendali principio poi ripreso dall’articolo 19 del CCNL comparto Ministeri . Nel caso di specie risultava pacifico che presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia l’orario fosse distribuito su sei giorni lavorativi con l’effetto che la lavoratrice, che ne lavorava solo cinque, doveva essere considerata a tutti gli effetti part-time con conseguente obbligo per l’Ente di riproporzionare il periodo di ferie cui quest’ultima aveva diritto. Part-time verticale ed orizzontale. Conclude la Corte ribadendo come la distinzione tra part-time «orizzontale» e «verticale» stia nel fatto che i nel primo, la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa investe l’ordinario orario giornaliero di alcuni o tutti i giorni lavorativi, che restano inalterati nel loro susseguirsi mentre ii nel secondo, l’intera prestazione - eseguita secondo l’orario ordinario – si svolge soltanto in periodi predeterminati della settimana, del mese o dell’anno, così da modificare la successione stessa delle giornate lavorative.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 dicembre 2013 – 23 gennaio 2014, numero 1424 Presidente Roselli – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo La Presidenza del Consiglio dei Ministri proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Venezia con cui era stata accolta la domanda della M. , dipendente con contratto di lavoro a tempo parziale dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, diretta ad ottenere la declaratoria del suo diritto a 25,6 giorni di ferie l'anno, in luogo dei 24,92 riconosciutile. Resisteva la dipendente. Con sentenza depositata il 28 agosto 2007, la Corte d'appello di Venezia rigettava il gravame. Per la cassazione propone ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affidato ad unico motivo. Resiste la M. con controricorso. Motivi della decisione 1.-L'amministrazione ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 19 del c.c.numero l. del comparto Ministeri del 16.5.95 degli articolo 22, 23, comma 3, del successivo c.c.numero l. 18.2.99 degli articolo 11 e 12 del c.c.numero l. Avvocatura dello Stato del 10.10.2000 e dell'articolo 22 della L. numero 724/94 articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c . Lamenta che la sentenza impugnata, in violazione delle norme sopra richiamate, non tenne conto che la ricorrente lavorava per cinque giorni alla settimana in luogo di sei, sicché, trattandosi di lavoro a tempo parziale c.d. verticale, il numero delle giornate di ferie andava proporzionato a quello delle giornate lavorative. Il ricorso è fondato. L'articolo 22, comma 1, della legge numero 724/94, che introdusse una normale articolazione dell'orario di lavoro pubblico su cinque giorni alla settimana, prevedeva la possibilità di deroga in relazione alle specifiche esigenze aziendali L'orario di servizio nelle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, numero 29, e successive modificazioni ed integrazioni, si articola su cinque giorni settimanali, anche nelle ore pomeridiane, in attuazione dei principi generali di cui al titolo I del predetto decreto legislativo. Sono fatte salve in ogni caso le particolari esigenze dei servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana, quelle delle istituzioni scolastiche, nonché quelle derivanti dalla necessità di assicurare comunque la funzionalità delle strutture di altri uffici pubblici con un ampliamento dell'orario di servizio anche nei giorni non lavorativi . Analogo principio prevede l'articolo 19 del c.c.numero l. di comparto del 16.5.95, e l'articolo 12 del contratto integrativo in caso di peculiarità dei servizi istituzionali. È pacifico che presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato l'orario di lavoro fosse legittimamente distribuito su sei giornate lavorative, laddove la ricorrente lavorava quattro giorni alla settimana. L'articolo 23, comma 3, del c.c.numero l. comparto Ministeri del 18.2.99 stabilisce, giusta i principi generali elaborati in materia, che i lavoratori in part-time verticale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell'anno . Ne deriva, secondo la disciplina vigente, che in caso di part-time verticale o misto , al lavoratore spetta un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate cfr. Cass. 18.3.08 numero 7313 , sicché risulta corretto il calcolo effettuato dalla ricorrente amministrazione, che ha corrisposto sostanzialmente alla dipendente i 4/6 dei giorni di ferie 36 spettanti al personale con orario pieno, più esattamente ed in particolare proporzionando i giorni di ferie 36 di tale personale per il numero di giornate lavorate 312 , rapportandolo alle giornate lavorative della dipendente 216 , per un totale di 24,92 giorni di ferie annui, non rilevando quanto affermato dalla Corte di merito circa la possibilità, presso la sede di Venezia, per i dipendenti a tempo pieno di fruire dell'articolazione dell'orario ordinario su cinque giorni alla settimana. Come infatti notato da questa S.C. nella sentenza sopra citata, il rapporto lavorativo pubblico si qualifica come part-time cosiddetto orizzontale quando la riduzione quantitativa della prestazione investa l'ordinario orario giornaliero di alcuni o tutti i giorni lavorativi che restano inalterati nel loro susseguirsi, in ciò differenziandosi dal part-time cosiddetto verticale, ove l'intera prestazione - eseguita secondo l'orario ordinario - si svolge soltanto in periodi predeterminati della settimana, del mese o dell'anno, così da modificare l'ordine e la successione stessa delle giornate lavorative. Il ricorso deve pertanto accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa direttamente da questa Corte con il rigetto dell'originaria domanda. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda proposta dalla M. . Condanna quest'ultima al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, pari ad Euro 1.350,00, di cui Euro 800,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese del giudizio di appello, pari ad Euro 1.500,00, di cui Euro 800,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, nonché del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.