Operaio vittima di un incidente: la dinamica dubbia non salva l’imprenditore

Secondo il legale rappresenta della ditta non è stata fatta chiarezza sulla ricostruzione dell’episodio, ma gli elementi certi a disposizione sono sufficienti, secondo i giudici, per determinarne la responsabilità. Confermata la condanna per le lesioni subite dall’operaio, e causate dalla violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni.

Dubbi sulla ricostruzione della dinamica dell’incidente? Scoglio superabile quando l’ottica adottata – quella che conduce alla responsabilità del legale rappresentante della ditta – è l’unica plausibile, ragionevole, logica rispetto alle modalità del ferimento Cassazione, sentenza numero 14703, Quarta sezione Penale, depositata oggi . Dramma. Assolutamente terrificante l’episodio che vede come vittima un operaio. Quest’ultimo, impegnato in un’opera di manutenzione ‘improvvisata’ su un impianto di betonaggio, subisce, a seguito della perdita dell’equilibrio e della successiva caduta, una gravissima ferita a un braccio, ferita che gli costa addirittura la «amputazione sub-totale dell’arto superiore destro». A risponderne, dinanzi alla giustizia, è il legale rappresentante della ditta. A quest’ultimo, difatti, viene addebitato il reato di «lesioni personali», ‘aggravato’ dalla mancata «osservanza della disciplina antinfortunistica». Più precisamente, l’imprenditore viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per aver consentito che «il lavoratore operasse su un impianto di betonaggio non conforme ai requisiti di sicurezza, omettendo di dargli le adeguate informazioni circa i rischi a cui era esposto durante gli interventi di manutenzione del nastro». Unica soluzione. Appiglio fondamentale, per il datore di lavoro – che contesta la condanna, con ricorso ad hoc in Cassazione –, è la mancata definitiva «ricostruzione della dinamica dell’infortunio». Senza questo decisivo tassello, sostiene l’uomo, è non plausibile l’«accertamento del nesso di causalità tra la presunta condotta omissiva e l’evento». Diversi gli elementi richiamati, ora, dal legale rappresentante della ditta «assenza di testimoni molteplicità delle versioni rese dall’infortunato incertezze sulla ricostruzione della dinamica del sinistro». Eppoi, viene aggiunto, «anche se il macchinario fosse stato effettivamente privo di una protezione in gomma, nell’impossibilità di accertamento e ricostruzione della dinamica dell’episodio, non era possibile verificare se la presenza di tale protezione avrebbe veramente potuto evitare l’evento». Di fronte ai tanti dubbi sollevati dall’uomo, la strada scelta dai giudici della Cassazione è quella di dare ancora più forza all’ottica adottata in Appello ciò che conta è che «non era emersa alcuna possibile e ragionevole alternativa alle modalità del ferimento». Ciò perché era acclarato che «l’infortunio risultava avvenuto nel luogo di lavoro ed in orario lavorativo» e che l’operaio «stava operando la manutenzione di un macchinario, in posizione del tutto precaria e pericolosa, ed in prossimità di patri del macchinario taglienti e non protette». Quadro assolutamente chiarissimo, quindi, per confermare la responsabilità del datore di lavoro per l’incidente. Quadro che non può essere messo in discussione dalle «imprecisioni e incoerenze» nelle parole dell’operaio, perché riconducibili «alla condizione di choc patita in conseguenza del gravissimo infortunio».

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 – 28 marzo 2013, numero 14703 Presidente Bianchi – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Con sentenza del 21 aprile 2010 il Tribunale di Trento - sezione distaccata di Cles - dichiarava P.A., legale rappresentante della ditta P.G. s.numero c., responsabile del reato di lesioni aggravate in danno del dipendente P.A.D. e lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al risarcimento del danno patito dalla parte civile da liquidarsi in separato giudizio, pena condizionalmente sospesa. All’imputato, nella qualità di cui sopra, era stato contestato di avere cagionato per colpa e per inosservanza della disciplina antinfortunistica al dipendente P.A.D. le lesioni personali descritte nel capo di imputazione, in quanto, consentendo che il lavoratore operasse su di un impianto di betonaggio non conforme ai requisiti di sicurezza ed omettendo di dargli le adeguate informazioni circa i rischi a cui era esposto durante gli interventi di manutenzione del nastro, poneva in essere i presupposti per l’infortunio occorso al lavoratore, il quale si impegnava in un intervento manutentivo al fine di eliminare o ridurre le eccessive fuoriuscite di materiale dal tappeto di gomma del nastro, infilava a tal fine le braccia sopra il nastro per raggiungere con la chiave la lamiera più lontana e, nell’effettuare tale manovra, perdeva l’equilibrio, urtava durante la caduta il braccio, che si trovava tra le parti metalliche del nastro con gli elementi sporgenti della struttura metallica, procurandosi la profonda ferita al braccio da cui derivava l’amputazione subtotale dell’arto superiore destro. Avverso la decisione del giudice di primo grado ha proposto appello l’imputato. La Corte di appello di Trento in data 16.12.2011, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado concedeva all’imputato il beneficio della non menzione della condanna su certificato penale, confermava nel resto. Avverso la predetta sentenza P.A., a mezzo del difensore, proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento con ogni ulteriore e consequenziale statuizione per i seguenti motivi 1 Violazione di legge ex articolo 606, comma 1, lett. b c.p.p., in relazione agli articoli 40 e 590 c.p 2 Carenza e/o contraddittorietà della motivazione emergente dal testo della sentenza, con particolare riferimento alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio ed al conseguente accertamento del nesso di causalità tra la presunta condotta omissiva e l’evento. Violazione della regola dell’assoluzione in caso di “sussistenza del ragionevole dubbio”. Secondo la difesa del ricorrente erroneamente la Corte territoriale aveva affermato, riportandosi integralmente alla sentenza di primo grado, che, una volta “localizzato” l’infortunio e la riconducibilità dell’evento ad una operazione di manutenzione, non era assolutamente rilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato la verifica della dinamica del ferimento del lavoratore in particolare sarebbero circostanze prive di concreta rilevanza che il macchinario sul quale si sarebbe verificato l’infortunio fosse spento oppure in moto, ovvero che l’operaio infortunato attendesse ad una ovvero ad un’altra operazione, ovvero che gli ispettori del lavoro e i consulenti del pubblico ministero e della difesa avessero manifestato incertezze sulla dinamica del ferimento. Secondo la difesa erroneamente la Corte territoriale, nel ripercorrere il ragionamento fatto dalla sentenza di primo grado, aveva affermato il principio secondo cui la responsabilità dell’imputato doveva essere confermata in quanto l’evento lesivo si era verificato in occasione del lavoro, nell’ambito di un’attività manutentiva, senza fornire risposta allo specifico motivo di appello in ordine all’accertamento dell’esatta dinamica che aveva portato al ferimento della persona offesa, accertamento, ad avviso della difesa, necessario per la conseguente verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta addebitata all’imputato e l’evento lesivo. Osservava la difesa che entrambe le sentenze di primo e di secondo grado, evidenziavano l’assenza di testimoni dell’occorso, la molteplicità delle versioni rese dall’infortunato, che sarebbero tra loro incompatibili e quindi l’inattendibilità del dichiarante, le incertezze sulla ricostruzione della dinamica del sinistro manifestate sia dalla polizia giudiziaria, sia dai consulenti tecnici, la coesistenza processuale di almeno cinque ipotesi alternative tra loro in merito all’accadimento del fatto, ancorate oltre che alle dichiarazioni della persona offesa, anche ad altre dichiarazioni di persone informate sui fatti. In tale contesto, secondo la difesa, l’impossibilità di accertamento della dinamica del fatto non permetteva di verificare con la necessaria oggettività la condotta dell’imputato necessaria alla verifica del nesso di causalità con l’evento. Secondo il ricorrente infatti, anche se il macchinario fosse stato effettivamente privo di una protezione in gomma, nell’impossibilità di accertamento e ricostruzione della dinamica dell’episodio, non era possibile verificare se la presenza di tale protezione, avrebbe veramente potuto evitare l’evento. La parte civile P.A.D., a mezzo del suo difensore, presentava tempestiva memoria in cui evidenziavano” i motivi per cui doveva ritenersi corretta la sentenza impugnata. Considerato in diritto I proposti motivi di ricorso sono infondati. Si osserva infatti cfr. Cass., Sez. 4, Sent. numero 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369 che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l’articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Trento hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità del P. in ordine al reato ascrittogli. In particolare hanno evidenziato che dall’esame delle emergenze istruttorie complessivamente considerate era dato desumere che l’infortunio risultava avvenuto nel luogo di lavoro ed in orario lavorativo, che l’operaio P.A.D. stava operando la manutenzione di un macchinario in posizione del tutto precaria e pericolosa ed in prossimità di parti del macchinario taglienti e non protette, che tale imprudente condotta aveva cagionato la gravissima lesione dallo stesso subita e che non era emersa alcuna possibile e ragionevole alternativa alle modalità del ferimento. La sentenza impugnata aveva pertanto concluso che, essendo la ricostruzione dell’infortunio fondata su elementi obiettivi e certi, doveva escludersi ogni possibile alternativa nella ricostruzione del fatto. La sentenza impugnata ha poi rilevato che l’assenza di tracce di sangue indicative della localizzazione e delle modalità dell’infortunio sebbene il medico di P.S. di Cles, F.R. avesse dichiarato che il P., al momento dell’arrivo, presentava un’ampia e profonda ferita lacera alla superficie flessoria dell’arto superiore destro di circa 20-22 cm., con imponente emorragia esterna da lesione arteriosa verosimilmente brachiale e/o radiale ben poteva essere spiegata sulla base della circostanza dell’avvenuta pulizia dei luoghi prima dell’intervento dei Carabinieri, comprovata tra l’altro dalla presenza di una notevole quantità di acqua sotto e di fronte al macchinario e dalla presenza, a pochi metri di distanza dallo stesso, di uno spazzolone per pulire i pavimenti intriso di sangue e riportante sostanza ematica anche sul manico. I giudici della Corte territoriale hanno poi fornito una logica spiegazione anche a proposito delle imprecisioni e incoerenze nei dettagli delle ricostruzioni contenute nelle dichiarazioni della persona offesa, in quanto le hanno ricondotte alla condizione di choc patita dall’operaio in conseguenza del gravissimo infortunio, “condizione di cui appare sintomatica anche la confusione manifestata dalla stessa parte offesa tra lesioni patite nella caduta e lesioni conseguenti alle successive cure d’emergenza apprestategli”. Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate in euro 2.800 - oltre accessori come per legge.