Termine del contratto nullo: l’indennità del lavoratore è onnicomprensiva

La disposizione di cui all’articolo 32, comma 5, l. numero 183/2010, va interpretata nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.

Questa è l’interpretazione, privilegiata dal Giudice di legittimità, confermata, poi, dall’articolo 1, comma 13, della l. numero 92/2012, alla quale si è uniformata la Corte di Cassazione nella sentenza numero 151, depositata il 9 gennaio 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Roma dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti stipulati fra Poste Italiane spa e due lavoratori, accertava la continuità del rapporto e condannava Poste Italiane al risarcimento del danno. Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte di Cassazione che rinviava la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione. I giudici di rinvio accertavano la nullità dei termini relativi ai contratti, dichiaravano la conversione dei rapporti in contratti a tempo indeterminato e condannavano la società a corrispondere ai lavoratori l’indennizzo ex articolo 32, comma 5, della l. numero 183/2010 nella misura di 2,5 mensilità, nonché alle retribuzioni maturate nel periodo successivo per effetto dell’intervenuta conversione del rapporto oltre accessori di legge. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 della l. numero 183/2010 per avere la Corte territoriale ritenuto che la stessa dovesse essere condannata sia all’indennizzo di cui all’articolo 32 citato, sia al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del deposito del ricorso ex articolo 414 c.p.c Esorbitanza decisione Corte d’appello. Le censure della ricorrente attengono ad una pretesa esorbitanza della decisione della Corte territoriale. Tale esorbitanza risulterebbe dalla decisione impugnata laddove la Corte d’appello ha affermato che l’indennità di cui all’articolo 32 in questione «copre il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado» mentre «per il periodo successivo sono dovute le retribuzioni». Indennità forfettizzata ed onnicomprensiva. Il Collegio si adegua a quanto già precisato dalla S.C., secondo la quale, l’indennità in esame configura, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte Cost. nella sentenza numero 303/2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato articolo 32, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e della prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità forfettizzata ed onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto intermedio. L’indennità prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore. Il Collegio ricorda, altresì, che in senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Cost e dalla Corte di legittimità, è stata emanata la l. numero 92/2012 che, all’articolo 1, comma 13, ha così enunciato «la disposizione di cui all’articolo 32, comma 5, della l. numero 183/2010, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro». In conclusione, dunque, la S.C. ha ritenuto che la Corte territoriale abbia sbagliato nel ritenere che l’indennità in questione sia diretta a coprire conseguenze risarcitorie solo fino al ricorso di primo grado. Accoglie, pertanto, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 novembre 2014 – 9 gennaio 2015, numero 151 Presidente Lamorgese – Relatore Lorito Svolgimento del processo Con sentenza del 27/10/05 la Corte d'Appello di Roma dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato il 2/11/98 fra Poste Italiane spa e C.F. , nonché ai contratti 24/3/98 ed 1/6/99 stipulati fra la società e S.E.M. , accertava la continuità del rapporto e condannava Poste Italiane s.p.a. al risarcimento del danno nella misura di tre annualità successive alla messa in mora. Detta pronuncia veniva riformata da questa Corte che con sentenza numero 16704/10 accoglieva il ricorso della società in relazione alla legittimità del contratto 24/3/98 stipulato con la S. ed il ricorso incidentale dei lavoratori in ordine alla limitazione del risarcimento, rinviando la causa alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione. Con sentenza 23/2/12 i giudici di rinvio accertavano la nullità dei termini relativi al contratto 2/11/98 per il C. e 1/6/99 per la S. , dichiarando la conversione dei rapporti in contratti a tempo indeterminato e condannando la società a corrispondere ai lavoratori l'indennizzo ex articolo 32 comma 5 l.183/10 nella misura di 2,5 mensilità oltre rivalutazione ed interessi per il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado, nonché alle retribuzioni maturate nel periodo successivo per effetto dell'intervenuta conversione del rapporto oltre accessori di legge. Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione affidato ad unico motivo resistito con controricorso dai lavoratori i quali hanno spiegato altresì ricorso incidentale condizionato. Infine, il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata. Motivi della decisione Ai sensi dell'articolo 335 c.p.comma i ricorsi devono essere riuniti perché proposti avverso la medesima sentenza. Con l'unico motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 32 della legge numero 183/2010 per avere la Corte territoriale ritenuto che la società dovesse essere condannata sia all'indennizzo di cui all'articolo 32 cit. sia al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del deposito del ricorso ex articolo 414 cod. procomma civ Si duole, altresì, della condanna al pagamento degli accessori di legge assumendo, al riguardo, che la regola introdotta dall'articolo 429 cod. procomma civ. riguarda solo la “retribuzione”. Il motivo è fondato nei termini di seguito illustrati. Le censure della ricorrente attengono innanzitutto ad una pretesa esorbitanza della decisione della Corte territoriale, applicativa dello jus superveniens costituito dalla legge 4 novembre 2010, numero 183, rispetto al carattere onnicomprensivo dell'indennizzo previsto dalla disciplina sopravvenuta. Tale esorbitanza risulterebbe dalla decisione impugnata laddove la Corte territoriale ha chiaramente affermato che l'indennità di cui al citato articolo 32 quantificata in 2,5 mensilità in questione “copre il periodo fino al deposito del ricorso di primo grado” mentre “per il periodo successivo sono dovute le retribuzioni”. Come è stato precisato da questa Corte v. Cass. 29 febbraio 2012, numero 3056 id. 5 giugno 2012, numero 9023 9 agosto 2013, numero 19098 11 febbraio 2014, numero 3029, Cass. 17 luglio 2014 numero 16420 l'indennità in esame configura, alla luce dell'interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 303 del 2011., una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato articolo 32 che richiama i criteri indicati nell'articolo 8 l. 604/1966 , a prescindere dall'intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore senza riguardo, quindi, ad eventuale aliunde perceptum o percipiendum , trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto . In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge numero 92 del 28 giugno 2012 in G.U. numero 153 del 3/7/2012 , che all'articolo 1 comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica, ha così enunciato “La disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 32 della legge 4 novembre 2010, numero 183, si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”. Ha dunque errato la Corte territoriale nel ritenere, diversamente dalla interpretazione privilegiata da questo giudice di legittimità, che l'indennità in questione sia diretta a coprire le conseguenze risarcitorie solo fino al ricorso di primo grado. I lavoratori, dopo aver formulato, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 della legge numero 183/2010 per violazione dei principi di cui agli articolo 3, 4, 36 e 38 della Cost. nonché 11 e 24 della Cost., e dopo aver sollecitato la verifica della conformità del citato articolo 32 come autenticamente interpretato alla Direttiva CE numero 70/99, con il ricorso incidentale condizionato, denunciano violazione dell'articolo 2909 c.comma ex articolo 360 numero 3 c.p.c. , nonché nullità della sentenza per violazione degli articolo 324 e 327 c.p.comma ex articolo 360 numero 4 c.p.c. . In buona sostanza, si dolgono i controricorrenti della operata riduzione del risarcimento laddove la pronuncia, sul punto, della Corte d'Appello di Roma numero 7270/05 era passata in giudicato per mancanza di specifico motivo di gravame da parte della società. Rilevano, in ogni caso, che la liquidazione operata dalla Corte di appello viola il principio della esatta corrispondenza tra la perdita conseguita alla lesione di un diritto soggettivo ed il rimedio ottenibile in sede giudiziale. Il motivo è infondato. La sollevata questione della illegittimità costituzionale dell'articolo 321.183/10 si palesa infondata alla luce di quanto precisato da questa Corte nella recente decisione del 6 febbraio 2014 numero 2760 cui adde Cass. 17 luglio 2014 numero 16420 , con la quale è stato innanzitutto escluso che la norma di portata retroattiva abbia irragionevolmente disposto di diritti retributivi e previdenziali, di rilievo costituzionale, già entrati nel patrimonio del lavoratore essendo tale efficacia retroattiva limitata a quelle situazioni in cui, in ordine ai diritti derivanti al lavoratore dalla nullità della clausola di apposizione del termine - con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato -, non si è ancora formato il giudicato . In tale arresto, inoltre, è stato evidenziato che la norma interpretativa non ha inteso realizzare una illecita ingerenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia, allo scopo d'influenzare la risoluzione di controversie, posto che, in realtà, ha fatto propria una soluzione già adottata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale cfr. ex plurimis, Corte costituzionale, numero 257/2011 la stessa norma interpretativa, inoltre, costituisce disposizione di carattere generale, che, al pari di quelle di cui all'articolo 32, commi 5, 6 e 7, legge numero 183/10, non favorisce selettivamente lo Stato o altro ente pubblico o in mano pubblica , perché le controversie su cui essa è destinata ad incidere non hanno specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro precario alle dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti i rapporti di lavoro subordinato a termine. In ogni caso cfr. Cass. 14 ottobre 2014 numero 21701 , non appare fondata la questione di verifica della conformità del citato articolo 32 come autenticamente interpretato alla Direttiva, posta dai controricorrenti con riferimento alla ordinanza del Tribunale di Napoli del 13/6/12 con cui veniva posta alla Corte di Giustizia Europea la questione della contrarietà alla Direttiva CE numero 70/99 clausola 4 punto 1 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e clausola 8 punto 1 , in quanto si tratterebbe di norma capace di determinare una drastica riduzione rispetto alla normativa previgente dell'indennità risarcitoria nei casi di conversione del rapporto laddove la lettura combinata delle indicate clausole legittimerebbe, per i lavoratori che si trovino in situazioni comparabili, solo la possibilità di introdurre disposizioni più favorevoli. Va, infatti, va osservato che la Corte di Giustizia, con la sentenza Carratù, ha innanzitutto precisato che la scelta dello Stato italiano di prevedere, per l'ipotesi dei contratto a termine illegittimo, un regime risarcitorio diverso e meno favorevole rispetto a quello applicato in caso di licenziamento illegittimo, non contrasta con il diritto comunitario. Inoltre, con l'articolo 32, il legislatore non ha stabilito una parametrazione del risarcimento in misura diversa ed inferiore rispetto ad analoga parametrazione del sistema previgente, tale da consentire un raffronto teorico ai fini di una valutazione in termini di drastica riduzione. Prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, infatti, in relazione alla scadenza del contratto a termine operavano le sanzioni tipiche previste dall'ordinamento che si ricollegano all'applicazione delle regole generali civilistiche collegate alla nullità della clausola appositiva del termine, alla conversione del rapporto ex tunc in rapporto a tempo indeterminato ed alla mora del datore di lavoro. L'introduzione di una indennità comunque dovuta a prescindere da un danno effettivo ed i cui limiti sono stati parametrati dal legislatore tra un minimo ed un massimo tenendo conto del vantaggio per il lavoratore derivante dal mantenimento della regola di “conversione” , non è, dunque, automaticamente ovvero necessariamente meno favorevole rispetto ad un sistema in cui la liquidazione del risarcimento andava effettuata caso per caso dal giudice anche mediante il ricorso a presunzioni semplici sull'aliunde perceptum e percipiendum. Con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato, modulato sul passaggio in giudicato della sentenza sulla statuizione concernente il risarcimento del danno, i controricorrenti deducono, per quel che qui interessa, che la società non avrebbe impugnato la sentenza della Corte Distrettuale in punto di condanna al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dall'offerta delle prestazioni lavorative, sino alla scadenza del triennio successivo al contratto. Benché questa Corte, con la pronuncia rescindente, avesse riformato la predetta decisione proprio in punto di condanna al risarcimento del danno, nella opinione dei lavoratori la mancata impugnazione del suddetto capo di sentenza da parte della società, aveva determinato il passaggio in giudicato della stessa. Quale corollario delle considerazioni esposte, stante il passaggio in giudicato sul punto, della sentenza numero 7270/05 della Corte d'Appello di Roma, si chiede che, in ipotesi di accoglimento del ricorso principale, questa Corte confermi la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della società Poste Italiane, nella misura contenuta nella già citata sentenza della Corte territoriale. La censura deve essere disattesa. Premesso che sussiste l'attualità dell'interesse dei controricorrenti alla decisione del ricorso incidentale condizionato, stante l'accoglimento del ricorso principale vedi sul punto Cass. S.U. 6 marzo 2009 numero 5456, Cass. 25 marzo 2013 numero 7381 , non può tralasciarsi di considerare innanzitutto, il principio generale alla cui stregua, ove la sentenza di primo grado che abbia dichiarato la illegittimità del termine ed il diritto al risarcimento venga impugnata solo sulla prima questione, non si forma il giudicato sulla seconda, giacché quest'ultima non costituisce capo autonomo, passibile di passaggio in giudicato in assenza di impugnazione, trattandosi di capo dipendente da una statuizione sottoposta ad appello tra le tante v. Cass. 23 febbraio 2009, numero 4363 id. 2 marzo 2010, numero 4934 si veda anche Cass. 23 marzo 2012, numero 4732 . Travolta la prima statuizione sulla illegittimità del termine è, dunque, venuta meno la statuizione sul quantum per l'effetto espansivo che la riforma o la cassazione produce effetti sui capi dipendenti articolo 336 cod. procomma civ. . Ma nella specie, come riferito nello storico di lite, è del tutto inconfigurabile ogni questione di passaggio in giudicato della decisione sulla statuizione di natura risarcitoria, avendo questa Corte di legittimità riformato, su istanza dei lavoratori, il capo di sentenza concernente il profilo risarcitorio della domanda attorea, rinviando alla Corte d'Appello di Roma che, con la pronuncia qui impugnata, ha proceduto ad un rinnovato esame sottoposto al suo scrutinio. In definitiva, alla luce delle considerazioni sinora esposte, il ricorso incidentale deve essere respinto laddove, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione affinché provveda, statuendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, attenendosi ai principi sopra richiamati. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.