Il cliente querela l'ex avvocato? Nessuna responsabilità in capo al nuovo legale che autentica la sottoscrizione della denuncia-querela

L'atto di denuncia/querela deve ritenersi riconducibile, sul piano genetico, al solo cliente, unico sottoscrittore dell'atto, in quanto l'avvocato si limita ad autenticarne la firma.

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza n. 1002 depositata il 20 gennaio 2014, hanno chiarito, in materia disciplinare degli avvocati , che l'atto di denuncia e querela presentato nei confronti di un altro avvocato è pur sempre un atto riconducibile esclusivamente alla parte assistita, anche se il difensore ne autentica la sottoscrizione. Il caso . Un avvocato era stato censurato” dal Consiglio dell'ordine di appartenenza, per aver presentato, nell'interesse del proprio assistito, un atto di denuncia e querela nei confronti di un altro avvocato ex difensore del querelante , senza avere tuttavia tempestivamente informato il Consiglio dell'ordine della iniziativa. L'atto di querela – in concreto peraltro depositato da un collega di studio dell'incolpato – riguardava l'ipotesi di reato di patrocinio o consulenza infedele art. 380 codice penale . Le ragioni della denuncia penale . Si contestava, in particolare, al legale destinatario della querela, di essere venuto meno ai propri doveri professionali per non avere adeguatamente assistito un cliente nel corso di un giudizio civile da questi intentato nei confronti dei suoi coeredi a seguito della morte del loro dante causa. Nello specifico, veniva contestato al legale di non aver compiutamente informato il proprio cliente circa l'attività̀ svolta dal proprio consulente di parte nell'ambito delle operazioni peritali disposte dal giudice, conclusesi poi con esito sfavorevole per il cliente. All'incolpato veniva applicata la sanzione della censura . Gli addebiti mossi dal Consiglio dell'ordine erano quindi - l'avere l'incolpato sporto denuncia nonostante avesse ricevuto immediato riscontro alla propria richiesta dell'ottobre 2005 da parte del collega, il quale sosteneva di avere sempre tenuto informato il cliente dell'attività̀ svolta - l'essere già̀ desumibile dagli atti di causa e dai verbali di udienza l'attività svolta dall'avvocato destinatario della querela, il cui operato consentiva di escludere carenze significative nell'attività̀ svolta, onde nessuna censura poteva dirsi realmente fondata nei confronti di quest'ultimo - l'essere stata parimenti consumata la violazione dell'art. 22 del CDF, avendo l'avvocato incolpato dato comunicazione al Consiglio della querela soltanto due mesi dopo la sua presentazione, senza che, all'uopo, potesse giovare all'incolpato la modifica normativa del gennaio 2006. Il CNF concede uno sconto di pena” . Veniva proposto appello al CNF, che si limitava a stabilire una sanzione più mite rispetto alla censura l'avvertimento. Alla decisione di soltanto parziale accoglimento dell'impugnazione faceva da preambolo, nella parte motiva della decisione profilo sul quale la Cassazione si soffermerà in modo particolarmente critico , una generale considerazione alla luce della quale doveva ritenersi responsabile della violazione dei principi di correttezza e lealtà l'iscritto che, assunto mandato ad agire penalmente contro taluni colleghi , pur dovendo sempre effettuare un attento controllo delle carte esibite dal cliente per verificare l'effettivo fondamento dell'azione da intraprendere, non avesse poi debitamente considerato come l'approfondimento da svolgere dovesse essere ancora maggiore qualora il destinatario risultasse non un quisque de populo , bensì un altro collega . L'incolpato, sebbene sanzionato meno pesantemente dal CNF, proponeva comunque ricorso per cassazione. Le Sezioni Unite propongono una serie di considerazioni con le quali finiscono per demolire” la decisione sanzionatoria ai danni dell'incolpato. Ecco le considerazioni degli ermellini. La denuncia/querela è atto della parte . Anzitutto, la querela era stata presentata personalmente dalla parte assistita e non era quindi riconducibile all'avvocato incolpato. Secondo le Sezioni Unite, contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare e cioè̀ l'aver predisposto l'atto di denuncia/querela , l'incolpato non aveva mai personalmente presentato alcun atto di denuncia/querela nei confronti del collega. E questo sia sotto il profilo formale la presentazione fu opera di altro legale , sia sotto il profilo sostanziale il contenuto dell'atto essendo riconducibile alla sola volontà del soggetto querelante, giusta il combinato disposto degli artt. 337, comma 1, e 333, comma 2, del codice di rito penale . La denuncia/querela è atto di volontà del cliente . Contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare, l'atto di denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano funzionale, alla sola volontà del querelante volontà espressa con irremovibile ed iraconda fermezza di propositi, come non contestato in sede di giudizio di merito. La denuncia/querela riportava fatti obiettivi . Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, con l'atto di denuncia e querela erano state esposte soltanto vicende oggettivamente riscontrabili, allo stato dei fatti e per quanto a conoscenza ratione temporis dell'incolpato, in adempimento di un non meno pregnante dovere, tanto deontologico quanto direttamente riferibile alla Carta costituzionale, di tutelare il cliente e di preservarlo da possibili conseguenze pregiudizievoli delle proprie affermazioni in sede di esercizio del proprio diritto di difesa. Anche geneticamente la denuncia/querela è atto della parte . Sempre contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano genetico, ancora una volta al solo cliente, unico sottoscrittore dell'atto, essendosi l'avvocato incolpato limitato ad autenticarne la sottoscrizione, in ossequio al poc'anzi ricordarlo disposto normativo del codice dl rito penale. Nessun riguardo per la categoria degli avvocati può essere ipotizzato. Ancora, contrariamente a quanto statuto in sede disciplinare, la norma deontologica non imponeva né impone una valutazione fattuale improntata ad un ben maggior approfondimento, dovendo agire contro dei colleghi . Tale, invero singolare affermazione appare, difatti, in contrasto con elementari principi costituzionali, oltre che foriera di una sorta di impredicabile riguardo alla categoria imposta all'esercente la professione forense in guisa di lex specialis ex non scripto dal massimo organo disciplinare. Ciò che si richiedeva all'incolpato era non altro, per converso, che un'analisi di verosimiglianza e di non palese infondatezza del contenuto delle dichiarazioni del cliente. Per tutte queste ragioni la decisione del CNF è stata cassata, con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 settembre 2013 - 20 gennaio 2014, n. 1002 Presidente Rovelli – Relatore Travaglino I fatti Nell'ottobre 2009 R.F. , avvocato in , propose ricorso avverso la decisione con la quale il locale Consiglio dell'ordine le aveva irrogato la sanzione disciplinare della censura, ritenendola responsabile della violazione di cui all'art. 22 del codice deontologico per aver presentato, nell'interesse di un proprio assistito, un atto di denuncia querela nei confronti dell'avvocato M.A. senza avere adeguatamente esaminato la fondatezza delle accuse rivolte al collega e senza avere tempestivamente informato il Consiglio dell'Ordine di tale iniziativa così, testualmente, il capo di incolpazione . L'atto di querela - materialmente presentato dinanzi alla competente A.G. non dall'incolpata, ma dal suo collega di studio avv. P. - era stato proposto, con riferimento alla condotta ascritta al M. , ai sensi e per gli effetti della norma di cui all'art. 380 c.p Si contestava, in particolare, al M. di essere venuto meno ai propri doveri professionali per non avere adeguatamente assistito L.R. nel corso di un giudizio civile da questi intentato nei confronti dei suoi coeredi a seguito della morte del loro dante causa L.C. in particolare, veniva contestato al legale di non aver compiutamente informato il proprio cliente circa l'attività svolta dal proprio consulente di parte nell'ambito delle operazioni peritali disposte dal giudice, conclusesi poi con esito sfavorevole per il L. . Gli addebiti mossi all'avv.essa R. da parte del COA di Treviso erano stati, in particolare - L'avere l'incolpata ricevuto immediato riscontro alla propria richiesta dell'ottobre 2005 da parte del collega, il quale sosteneva di avere sempre tenuto informato il L. dell'attività svolta - L'essere già desumibile dagli atti di causa e dai verbali di udienza l'attività svolta dal M. , il cui operato consentiva di escludere carenze significative nell'attività svolta, onde nessuna censura poteva dirsi realmente fondata nei confronti di quest'ultimo - L'essere stata parimenti consumata la violazione dell'art. 22 del CDF, avendo la R. dato comunicazione al Consiglio della querela soltanto due mesi dopo la sua presentazione, senza che, all'uopo, potesse giovare all'incolpata la modifica normativa del gennaio 2006 disciplina a lei più favorevole , alla luce del principio del tempus regit actus più volte ritenuto applicabile in subiecta materia dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Il ricorso dell'avv. R. , rigettato nell' an , verrà accolto dal CNF nella sola parte in cui si era invocata l'irrogazione di una più mite sanzione la sentenza risulta depositata il 29 novembre 2012 . Alla decisione di soltanto parziale accoglimento dell'impugnazione faceva da preambolo, nella parte motiva della decisione, una generale considerazione alla luce della quale doveva ritenersi responsabile della violazione dei principi di correttezza e lealtà l'iscritto che, assunto mandato ad agire penalmente contro taluni colleghi , pur dovendo sempre effettuare un attento controllo delle carte esibite dal cliente per verificare l'effettivo fondamento dell'azione da intraprendere, non avesse poi debitamente considerato come l'approfondimento da svolgere dovesse essere ancora maggiore qualora il destinatario risultasse non un quisque de populo , bensì un altro collega . Alla luce di tale premessa, il CNF trasformerà la sanzione della censura in quella dell'avvertimento, alla luce, prima ancora che dell'assenza di precedenti disciplinari, della giovane età della ricorrente, della modesta esperienza maturata all'epoca della violazione contestata, del comportamento tenuto successivamente alle contestazioni dell'addebito , contraddistinto segnatamente, dai ripetuti tentativi di trovare una soluzione conciliativa alla controversia insorta con l'avv. M. fatti, questi, costituenti, a giudizio dell'organo disciplinare forense, evidente dimostrazione dell'essersi la ricorrente resa conto di avere superato i limiti imposti dalla norma deontologica . La sentenza è stata impugnata da R.F. con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi di censura, che si concludono con l'indicazione di un principio di diritto, benché la relativa formulazione anche se in forma interrogativa piuttosto che non assertiva non risulti più necessaria, alla luce della novella processuale del 2009. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva. Le ragioni della decisione Il ricorso è meritevole di accoglimento. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 22 C.D., 45 RDL 1578/1933, 111 comma 1 Cost., 112 c.p.c. con riferimento all'art. 56 comma 3 RDL 1578/1933 . Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 48 n. 2 RD 37/1934, 3 L. 241/90, 24 e comma 111 Cost. con riferimento all'art. 56 comma 3 RDL 1578/1933 . Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 120 c.p. e 336-337 c.p.p. . Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. III Cost., 64 RD 37/1934 per assoluta omissione della motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all'art. 56 comma 3 DDL 1578/1933 . Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 22 C.D.F. con riferimento all'art. 56 comma 3 DDL 1578/1933 . Le censure, che possono esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca connessione e la sostanziale omogeneità, sono nel loro complesso fondate. Esse appaino tali per le seguenti, concorrenti ragioni 1 Contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare - e cioè l'aver predisposto l'atto di denuncia querela -, e contrariamente a quanto diversamente contestato alla ricorrente nel capo di incolpazione - e cioè l'aver presentato un atto di denuncia/querela nell'interesse di un proprio assistito - l'avv. R. non ha mai personalmente presentato alcun atto di denuncia-querela nei confronti dell'avv. M. , e ciò tanto sotto il profilo formale la presentazione fu opera di altro legale quanto sotto quello sostanziale il contenuto dell'atto essendo riconducibile alla sola volontà del soggetto querelante, giusta il combinato disposto degli artt. 337 comma 1 e 333 comma 2 del codice di rito penale 2 Contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare, l'atto di denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano funzionale e cioè quoad effecta , alla sola volontà del querelante -volontà espressa con irremovibile ed iraconda fermezza di propositi, come non contestato in sede di giudizio di merito in particolare, gli stessi atti di indagine che condussero il P.M. a chiedere l'archiviazione del procedimento avviato nei confronti dell'avv. M. contenevano espliciti riferimenti come rileva parte ricorrente con riferimento al documento n. 18 della propria produzione alla negativa personalità ed alla litigiosità del L. 3 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, con tale atto vennero esposte soltanto vicende oggettivamente riscontrabili, allo stato dei fatti e per quanto a conoscenza ratione temporis della odierna ricorrente, in adempimento di un non meno pregnante dovere, tanto deontologico quanto direttamente riferibile alla Carta costituzionale, di tutelare il cliente e di preservarlo da possibili conseguenze pregiudizievoli delle proprie affermazioni in sede di esercizio del proprio diritto di difesa 4 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano genetico , ancora una volta al solo L. , unico sottoscrittore dell'atto, essendosi la R. limitata ad autenticarne la sottoscrizione in ossequio al poc'anzi ricordato disposto normativo del codice di rito penale 5 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la contestata mancanza di un adeguato vaglio di fondatezza dell'iniziativa assunta dal cliente appare smentita dallo stesso esito dell'indagine penale, volta che il P.M. investito della notitia criminis si risolse a chiedere l'archiviazione del procedimento non per manifesta infondatezza, riscontrabile ictu oculi , dei fatti posti a base delle contestazioni mosse all'avv. M. , ma soltanto all'esito delle disposte indagini, che la difesa ricorrente definisce approfondite senza che la circostanza possa dirsi contestata, nell'assenza di controdeduzioni di parte intimata non costituita 6 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, l'avv. M. omise di fornire, illico et immediato come pure sarebbe stato suo preciso onere tutte le informazioni richiestegli tra l'ottobre e il novembre del 2005, con tale comportamento non contribuendo a rendere poco o nulla credibili le accuse che il cliente gli muoveva. Non erra il difensore di parte oggi ricorrente nel sostenere folio 28 dell'atto di impugnazione che, se ciò fosse accaduto a seguito della puntuale richiesta dell'avv. R. , e non a distanza di tempo - e rendendo destinatario delle informazioni il solo COA -, i fatti avrebbero verosimilmente costituito oggetto di una diversa interpretazione da parte del nuovo difensore 7 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la norma deontologica non imponeva né impone una valutazione fattuale improntata ad un ben maggiore approfondimento, dovendo agire contro dei colleghi folio 4 della sentenza impugnata . Tale, invero singolare affermazione appare, difatti, in contrasto con elementari principi costituzionali, oltre che foriera di una sorta di impredicabile riguardo di categoria imposta all'esercente la professione forense in guisa di lex specialis ex non scripto dal massimo organo disciplinare. Ciò che si richiedeva all'avv. R. era non altro, per converso, che un'analisi di verosimiglianza e di non palese infondatezza del contenuto delle dichiarazioni del cliente 8 Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare - e pur volendo in questa sede prescindere dalla delicatissima quaestio iuris della applicabilità, o meno, della norma più favorevole succedutasi nel tempo nelle more del procedimento disciplinare atteso, di questo, l'evidente carattere para-penalistico, assai più che amministrativo, nonostante il contrario avviso espresso da questa Corte con la sentenza n. 15314 del 2010 -, l'odierna ricorrente ha fornito ampia prova e consequenziale spiegazione dei presupposti di riservatezza che l'avevano indotta ad inviare la prescritta comunicazione al COA in data successiva alla presentazione della denuncia/querela ciò è a dirsi tanto con riferimento alla regola di segretezza degli atti del procedimento penale sino alla notifica dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p., quanto alla necessità di procurarsi, all'uopo, il consenso scritto del cliente, rilasciato soltanto nel mese di gennaio del 2006. Sul punto, la motivazione dell'impugnata sentenza risulta cosi tacitiana da risultare, nella sostanza, meramente apparente folio 5 della sentenza impugnata . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, al Consiglio Nazionale Forense, in altra composizione.