Il dirigente dell'Asl non può svolgere le funzioni di responsabile tecnico per un'impresa privata

Perchè in caso contrario ci rimette il posto. E non è nemmeno necessario prima di procedere alla risoluzione del contratto richiedere parere a chicchesia.

La disciplina sul rapporto di impiego del personale del comparto sanitario art. 1, commi 60 e 61, legge n. 662/1996 art. 4, comma 7, legge n. 412/1991 , infatti, rimette all’esclusiva valutazione del datore di lavoro l’accertamento della sussistenza delle condizioni che integrano la violazione del divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo salvo i casi di autorizzazione o di prestazioni a titolo gratuito in vantaggio di associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio assistenziale senza scopo di lucro e non prevede l’intervento in funzione consultiva obbligatoria di enti diversi dall’ amministrazione con la quale è costituito il rapporto di impiego. La vicenda. Nel caso specifico, l'Ente aveva citato nella delibera con la quale era stata formalizzata la decadenza dall'impiego del dirigente, un parere del Dipartimento della Funzione Pubblica che reca una valutazione di massima sui limiti di applicabilità delle ipotesi di incompatibilità e cumulo di impiego previste dall’art. 58, comma 1, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale e prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. In esso è fatto specifico riferimento alla posizione di chi è solo socio in società di capitali rispetto a chi, invece, riveste una specifica carica sociale, evenienza in presenza della quale viene segnalata la necessità di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Detto parere – recante una regola di indirizzo nella materia de qua - non avrebbe comunque potuto esplicare alcun effetto vincolante quanto ai margini di autonomo apprezzamento della ASL in ordine a fattispecie in cui l’ipotesi di incompatibilità fosse stata già consumata. La procedura della decadenza. In sostanza, nell’ipotesi di esercizio di commercio, industria o altra attività professionale incompatibile con lo status di pubblico dipendente, trova applicazione l'istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine , avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro cfr. Cons. St. n. 6841/2004 Cass. n. 18608/2009 . Alla diversa natura del provvedimento segue l’inapplicabilità delle regole dettate dall’art. 653 sui rapporti fra giudicato penale e giudizio disciplinare, cui si correla l’obbligo di non promozione o di sospensione del procedimento disciplinare ove per il medesimo fatto addebitato all’impiegato sia promossa l’azione penale. L'esclusività per il dirigente. In ogni caso, anche a voler assumere come parametro di raffronto la sentenza intervenuta i sede penale che ha escluso gli estremi del reato di false dichiarazioni con la motivazione che l’incarico di responsabile tecnico non costituisce una carica sociale, ovvero un rapporto di lavoro, ma esso rappresenta una qualifica professionale , non resta precluso l’autonomo apprezzamento della Amministrazione quanto alla valenza di detta condizione ad introdurre le ipotesi di incompatibilità previste dalle disposizioni. Il dovere di esclusività delle prestazioni del pubblico impiegato risponde invero all'esigenza, recepita con norma di principio nell'art. 60, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, di eliminare la realizzazione di un centro di interessi alternativo all'ufficio pubblico rivestito ciò al fine di indirizzare tutta l’ attività e le energie lavorative dell’impiegato verso l’espletamento dei compiti istituzionali, tanto più per i soggetti che rivestono qualifiche di livello dirigenziale, cui direttamente si imputa la volontà dell’ ente ed il maggior grado di responsabilità per le scelte effettuate. La posizione di responsabile tecnico permea l’intera azione societaria – come previsto del resto a livello ordinamentale con riferimento all’accertamento dell’affidabilità delle società di persone che aspirano all’affidamento di commesse pubbliche art. 38, d.lgs. n. 163/2006 – e dà luogo ad un rapporto che per continuità, intensità e professionalità integra gli estremi di incompatibilità di esercizio in concomitanza con il rapporto di pubblico impiego.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28 novembre - 24 dicembre 2013, numero 6225 Presidente Lignani – Estensore Polito Fatto e diritto 1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio il dott. Giulio Ciarrocca - già in servizio alle dipendenze A.S.L. RM/A con la qualifica di dirigente di I livello del ruolo sanitario – Fisico coadiutore, impugnava per dedotti motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili il provvedimento di cui alla nota del 12 giugno 1998, prot. 30655/P, recante la comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro, unitamente al pregresso deliberato dell’ Azienda medesima numero 1413 dell’ 11 giugno 1998, di risoluzione del rapporto per giusta causa, in applicazione dell’articolo 1, comma 61 della legge numero 662 del 1996 e dell’articolo 35 del CCLN della dirigenza sanitaria, per accertata violazione degli artt. 60 del d.P.R. numero 3 del 1957, come richiamato dall’art. 58 del d.lgs. numero 29 del 1993 e dall’art. 1, comma 56, della legge numero 662 del 1996, sul divieto di esercitare il commercio, l’industria o alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite per fini lucro, nonché dell’art. 4, comma 7, della legge numero 412 del 1991. recante il divieto di esercizio di altre attività o di titolarità o compartecipazione a quote di imprese che possano porsi in conflitto di interessi con il servizio sanitario nazionale. Con sentenza numero 4849 del 2006 il T.A.R. adito respingeva il ricorso. Con la predetta decisione il T.A.R. statuiva - la non necessità di acquisizione, all’interno del procedimento finalizzato al recesso dal rapporto di lavoro, di pareri di organi diversi dall’amministrazione procedente - l’insussistenza nella specie di un ipotesi di atto amministrativo nullo - l’autonomia del giudizio disciplinare rispetto a sentenza penale assolutoria, perché il fatto non costituisce reato - la sussistenza dei presupposti di un esercizio di un’attività incompatibile con lo status di pubblico impiegato - la sufficienza e congruità della motivazione dell’atto impugnato. Avverso la sentenza reiettiva il dott. Ciarrocca ha proposto atto di appello è ha contrastato le conclusioni del T.A.R. e chiesto l’annullamento degli atti gravati. Resiste l’ Azienda U.S.L. RM A che, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità di taluni motivi perché dedotti per la prima volta in appello nel merito ha contraddetto l’ordine argomentativo del ricorrente e chiesto al conferma della sentenza gravata. In sede di note conclusive le parti hanno insistito nelle rispettive tesi difensive. All’udienza del 28 novembre 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione. 2. Il ricorso è infondato 2.1. L’effetto devolutivo dell’appello consente il pieno riesame della controversia nei suoi aspetti di merito in relazione alla difese articolate dal ricorrente. Ciò determina l’irrilevanza del vizio di procedura da cui si afferma affetto il giudizio di primo grado per l’ indisponibilità delle note conclusionali della A.U.S.L. RMA, sia presso la segreteria della Sezione del T.A.R., che nell’apposita cartella deputata a contenere le memorie di scambio il giorno di udienza. 2.2. Passando all’esame del merito il primo giudice ha correttamente escluso l’obbligo della A.U.S.L. di acquisire il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica in ordine alla sussistenza degli estremi per l’adozione della determinazione risolutiva del rapporto di lavoro. La disciplina sul rapporto di impiego del personale del comparto sanitario art. 1, commi 60 e 61 della legge numero 662 del 1996 art. 4, comma 7, della legge numero 412 del 1991 rimette all’esclusiva valutazione del datore di lavoro l’accertamento della sussistenza delle condizioni che integrano la violazione del divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo salvo i casi di autorizzazione o di prestazioni a titolo gratuito in vantaggio di associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio assistenziale senza scopo di lucro e non prevede l’intervento in funzione consultiva obbligatoria di enti diversi dall’ amministrazione con la quale è costituito il rapporto di impiego. Peraltro il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica cui è fatto richiamo nella delibera di recesso dal rapporto di lavoro atto numero 5782 del 1997 reca una valutazione di massima sui limiti di applicabilità delle ipotesi di incompatibilità e cumulo di impiego previste dall’articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, numero 29, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale e prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. In esso è fatto specifico riferimento alla posizione di chi è solo socio in società di capitali rispetto a chi, invece, riveste una specifica carica sociale, evenienza in presenza della quale viene segnalata la necessità di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Detto parere – recante una regola di indirizzo nella materia dequa - non esplica alcun effetto vincolante quanto ai margini di autonomo apprezzamento della A.S.L. in ordine a fattispecie in cui l’ipotesi di incompatibilità si sia già consumata. 2.3. Con il terzo mezzo il dr. Ciarrocca qualifica come discriminatoria l’iniziativa assunta dalla A.U.S.L. nei suoi confronti, così da incorrere nella sanzione di nullità prevista dall’art. 37 del C.C.N.L. di comparto del 5 dicembre 1996. Osserva il collegio che l’ipotizzata condotta discriminatoria non può collegarsi al mancato perfezionamento del provvedimento di trasformazione in part time del rapporto di lavoro, così da escludere ogni incompatibilità dell’esercizio dell’attività di responsabile tecnico della s.r.l. Pegaso Prevenzione Ambiente con il concomitante status di dipendente della A.U.S.L. In disparte ogni questione sulla possibilità per il personale con qualifica dirigenziale di accedere alla predetta trasformazione del rapporto, rileva che - in assenza di un formale provvedimento abilitativo alla prestazione lavorativa in misura ridotta - il dott. Ciarrocca era tenuto alla piena osservanza delle disposizioni impeditive dell’ esercizio di attività qualificate incompatibili con lo status di dipendente della A.U.S.L. onde non incorrere nelle previste misure decadenziali ed espulsive, che l’ordinamento appresta a garanzia dell’esclusività della prestazione lavorativa in favore della pubblica amministrazione. 2.4. Con il quarto mezzo l’appellante dà rilievo – agli effetti dell’illegittimità della delibera di recesso dal rapporto di lavoro - alla sentenza numero 4321/04 del 15 ottobre 2004, di non luogo a precedere nei suoi confronti per il reato di aver reso false dichiarazioni sui rapporti esistenti con la soc. Pegaso Prevenzione Ambiente, nonché all’art. 3, comma 3, della legge numero 97 del 2001, che sancisce la perdita di efficacia, in presenza di sentenza assolutoria, dei provvedimenti di trasferimento degli impiegati inquisiti per figure di reato che rendono incompatibile, nel corso del processo, la permanenza nella sede di applicazione. Sotto un primo profilo si tratta sopravvenienze che, in base al principio tempus regit actum, non possono assumere rilievo in ordine alla legittimità del deliberato adottato in data 11 giugno 1998. Inoltre l’art. 3, comma 3, della legge numero 97 del 2001, cui è fatto richiamo, riguarda i casi di trasferimento ad altro ufficio in costanza del processo penale, ipotesi che non viene in rilievo nella fattispecie di cui è controversia. Deve aggiungersi che la questione sul rapporto di presupposizione fra processo penale e procedimento disciplinare per i medesimi fatti non si rinviene nell’atto introduttivo del giudizio avanti al T.A.R. essa è, per la prima volta, sollevata in sede di appello e, stante il divieto di jus novorum , va dichiarata inammissibile, come eccepito nella memoria di costituzione dalla resistente Azienda U.S.L. RM A,. Peraltro, quanto al merito della doglianza, nell’ipotesi di esercizio di commercio, industria o altra attività professionale incompatibile con lo status di pubblico dipendente, trova applicazione l'istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine , avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro cfr. Cons. St. sez., V, numero 6841 del 20 ottobre 2004 Cassazione Civile, Sez. lav., numero 18608 del 21 agosto 2009 . Alla diversa natura del provvedimento segue l’inapplicabilità delle regole dettate dall’art. 653 sui rapporti fra giudicato penale e giudizio disciplinare, cui si correla l’obbligo di non promozione o di sospensione del procedimento disciplinare ove per il medesimo fatto addebitato all’impiegato sia promossa l’azione penale. In ogni caso, anche a voler assumere come parametro di raffronto la sentenza intervenuta i sede penale che ha escluso gli estremi del reato di false dichiarazioni con la motivazione che l’incarico di responsabile tecnico non costituisce una carica sociale, ovvero un rapporto di lavoro, ma esso rappresenta una qualifica professionale ”, non resta precluso l’autonomo apprezzamento della Amministrazione quanto alla valenza di detta condizione ad introdurre le ipotesi di incompatibilità previste dalle disposizioni cui è fatto richiamo al punto 2.2. della presente motivazione. Il dovere di esclusività delle prestazioni del pubblico impiegato risponde invero all'esigenza, recepita con norma di principio nell'art. 60 d.P.R. 10 gennaio 1957 numero 3, di eliminare la realizzazione di un centro di interessi alternativo all'ufficio pubblico rivestito ciò al fine di indirizzare tutta l’ attività e le energie lavorative dell’impiegato verso l’espletamento dei compiti istituzionali, tanto più per i soggetti che rivestono qualifiche di livello dirigenziale, cui direttamente si imputa la volontà dell’ ente ed il maggior grado di responsabilità per le scelte effettuate. La posizione di responsabile tecnico permea l’intera azione societaria – come previsto del resto a livello ordinamentale con riferimento all’accertamento dell’affidabilità delle società di persone che aspirano all’affidamento di commesse pubbliche art. 38 del d.lgs. numero 163 del 2006 – e dà luogo ad un rapporto che per continuità, intensità e professionalità integra gli estremi di incompatibilità di esercizio in concomitanza con il rapporto di pubblico impiego. L’apprezzamento di merito dell’ Amministrazione sulle anzidette circostanze si sottrae quindi a censure di manifesta irragionevolezza e di sproporzione rispetto al fine perseguito. Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto, restando assorbita ogni altra eccezione di inammissibilità formulata dalla resistenza A.U.S.L. In relazione ai profili della controversia spese ed onorari del giudizio possono essere compensati fra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.