Il mancato rilascio della concessione in sanatoria preclude, per impossibilità sopravvenuta, la stipulazione del contratto definitivo ed il promissario acquirente è sempre legittimato a richiedere la restituzione della caparra versata in occasione del preliminare.
La Seconda sezione Civile della S.C., con la sentenza numero 5033 del 28.2.2013, ha parzialmente innovato il costante orientamento giurisprudenziale vigente in materia di commerciabilità di immobili c.d. abusivi. Il caso. La fattispecie ha origine nel 1988 quando i proprietari di un immobile, di un magazzino e di due appezzamenti di terreno attigui siti in Scandicci, per complessivi mq 6313, compromettevano in vendita il complesso, per un prezzo di £. 180.000.000. Nella promessa di vendita, veniva stabilita una caparra di 30 milioni di lire e l’acquirente dichiarava espressamente di conoscere la natura abusiva della costruzione, esonerando i venditori da ogni garanzia al riguardo. Quest’ultimo affermava, inoltre, che anche nell’ipotesi di mancato ottenimento del condono edilizio, il contratto non si sarebbe risolto. Ciononostante, nel 2001 il promissario acquirente conveniva in giudizio i venditori, adducendo l’inadempimento del preliminare per mancata concessione in sanatoria, con conseguente richiesta di risoluzione del contratto e restituzione di quanto versato a titolo di caparra. Un contratto aleatorio? Sia il giudice di prime cure, sia la Corte di appello toscana, tuttavia, rigettavano le sue richieste ed accoglievano la domanda riconvenzionale avanzata dai convenuti, dichiarando la risoluzione dell’accordo per colpa dell’attore, con diritto dei venditori a ritenere la caparra. Ciò perché, a parere dei giudici del merito, il preliminare era da considerare contratto ad effetti obbligatori e non reali, dunque, non poteva ritenersi nullo, per non essere inficiato da invalidità originaria, in applicazione dell’articolo 15, l. numero 10/1977. Peraltro, aggiungevano i Giudicanti, il promissario acquirente aveva dichiarato di ben conoscere la natura abusiva del complesso edilizio, con esonero da responsabilità dei venditori il contratto, quindi, doveva ritenersi di indubbio profilo aleatorio. Non era possibile procedere al contratto definitivo La Corte di cassazione, chiamata ad intervenire in materia dall’acquirente – soccombente, si è, tuttavia, parzialmente discostata dai principi affermati nei precedenti gradi di giudizio. L’istante ha affidato il proprio ricorso a due motivi di diritto con il primo ha lamentato la violazione degli articolo 1362, 1363, 1418, 1351, 1453 e 1460 c.c., in relazione all’articolo 360, numero 3, c.p.c., eccependo come non era possibile ipotizzare che i contraenti di un preliminare avente ad oggetto l’obbligo di stipulare un contratto contra legem, potessero essere obbligati a concluderlo coattivamente. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione degli articolo 1358, 1453 e 1418 c.c. sempre in riferimento all’articolo 360, numero 3, c.p.c., lamentando come il contratto doveva essere considerato nullo per essere il complesso incommerciabile, con conseguente venir meno del diritto dei venditori di ritenere la caparra. La Corte, pur condividendo le conclusioni dei giudici di merito circa l’impossibilità di dichiarare nullo un contratto ad effetti obbligatori, come quello di specie, ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo che non era possibile procedere al contratto definitivo, stante il divieto normativo. Ciò, pur rimanendo assolutamente valido il preliminare. per l’insanabilità urbanistica dell’immobile. In tali limiti ha, quindi, considerato fondato anche il secondo motivo di gravame, dovendosi provvedere sulla caparra all’esito del giudizio di risoluzione. Ciò premesso, ha affermato il principio di diritto secondo cui l’inserimento di una clausola volta ad escludere la risoluzione per colpa del venditore, all’interno di in un preliminare avente ad oggetto il trasferimento di un immobile risultato abusivo, non rende, per ciò solo, il patto di natura aleatoria. Al contrario, l’insanabilità urbanistica del bene oggetto del contratto preclude, per impossibilità sopravvenuta, la stipulazione del definitivo, con diritto alla restituzione della caparra versata in occasione del preliminare, divenuta sine titulo.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 novembre 2012 – 28 febbraio 2013, numero 5033 Presidente Felicetti – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. Il omissis tra F P. , promittente acquirente, e F. -Z. , promittenti venditori, interveniva un preliminare di vendita di un immobile, di un magazzino e di due appezzamenti di terreno adiacenti per complessivi metri quadri 6.313 in Scandicci al prezzo di 180 milioni di lire. Veniva versata una caparra di 30 milioni ed il promittente acquirente specificamente dichiarava di essere a conoscenza della natura abusiva della costruzione, esonerando da ogni garanzia al riguardo i promittenti venditori e dichiarando specificamente che anche in caso di mancato condono il contratto preliminare non si sarebbe risolto. 2. Il promittente acquirente P. il 22 gennaio 2001 conveniva in giudizio i promittenti venditori avanti al Tribunale di Firenze per inadempimento al preliminare in questione in ragione della mancata concessione in sanatoria, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra, con risarcimento del danno subito da liquidarsi in separata sede. 3. Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda e in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai promittenti venditori dichiarava risolto il contratto preliminare per colpa dell'attore con diritto dei convenuti alla ritenzione della caparra. Osservava in particolare che non poteva ritenersi nullo il preliminare di immobile avente ad oggetto immobili abusivi, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori e non ad effetti reali. Osservava altresì il Tribunale che il contratto preliminare non poteva ritenersi nullo per non essere inficiato da invalidità originaria, posto che al momento della stipula non si era ancora verificata la condizione della mancata concessione in sanatoria alla quale era subordinata la validità del contratto definitivo. 4. La Corte d'appello, adita dal promittente acquirente, confermava la sentenza impugnata, osservando che non era in questione la nullità del contratto, ma il solo inadempimento dell'obbligazione assunta, posto che per principio pacifico in giurisprudenza Cass. 2002 numero 59 la sanzione della nullità prevista dall'articolo 40 della legge 1985 numero 47 è relativa soltanto agli atti di trasferimento con effetti reali e non a quelli con efficacia obbligatoria quale il preliminare di vendita, dovendosi invece a quest'ultimo applicare la diversa norma di cui all'articolo 15 della legge 1977 numero 10 secondo la quale la nullità in tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione, non può essere fatta valere in giudizio qualora risulti che il promissario acquirente fosse a conoscenza delle circostante della mancata concessione e che tale conoscenza emerga inequivocabilmente dal contenuto dell'atto Cass. 2001 numero 10831 . Osservava la Corte territoriale che sussistevano entrambe le indicate condizioni, posto che non solo l'acquirente era a conoscenza dell'abuso, ma che tale circostanza risultava formalmente anche dall'atto di vendita. Inoltre in tale atto lo stesso P. aveva espressamente esonerato la parte promittente venditrice da ogni responsabilità per il caso in cui non fossero rilasciate le concessioni in sanatoria e aveva dichiarato che anche il mancato rilascio delle concessioni non potrà comportare in alcun caso la risoluzione della presente promessa di vendita . La Corte, quindi, concludeva che in forza della clausola appena richiamata il preliminare non era risolvibile con la conseguenza che il promittente acquirente aveva inteso stipulare un contratto ad indubbio profilo aleatorio, accettando – in relazione al pretto complessivo dei beni promessi in vendita 180 milioni di lire, esiguo in relazione all'ubicazzione e alla consistenza dei beni . il rischio della mancata futura regolarizzazione degli immobili . In definitiva il promittente acquirente consapevole dell'alea che connotava l'esistenza dei fabbricati e dell'ottimo affare che avrebbe compiuto in caso di rilascio delle richieste sanatorie . ha espressamente convenuto con la controparte la non - risolvibilità in ogni caso del preliminare da loro stipulato pagina 4 della sentenza, esclusa l'intestazione . 4. Il ricorrente articola due motivi di ricorso. Resistono con controricorso gli intimati. Motivi della decisione 1. - Va in primo luogo rilevato che il difensore della ricorrente, avv. Gregorio Rispoli, è deceduto durante il giudizio di cassazione e che l'altro difensore, con poteri disgiunti, avv. Elda Colombo ha comunicato alla cancelleria, con nota depositata il 12 agosto 2012, che il ricorrente in data 15 marzo 2012 le ha revocato il mandato. L'avviso di udienza è stato regolarmente notificato al domiciliatario. In presenza di due difensori con poteri disgiunti l'avvenuto decesso, in corso di giudizio, di uno di essi non priva la parte del suo diritto di difesa, mentre la revoca operata oltre sei mesi prima dell'udienza pubblica, non determina alcun effetto, sia per il principio della pepetuatio dell'ufficio del difensore di cui all'articolo 85 cod. proc. civ., sia per il lasso di tempo avuto a disposizione dalla parte per fornirsi di nuovo difensore. 2.1 motivi del ricorso. 2.1 Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione degli articoli 1362, 1363, 1418, 1351, 1453 e 1460 codice civile in relazione all'articolo 360, numero 3 c.p.c.”. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se l'incommerciabilità del bene promesso in vendita viziava anche la validità del preliminare, avendo raggiunto al riguardo conclusioni non condivisibili, posto che non è possibile ipotizzare che i contraenti di un contratto preliminare che abbia come oggetto l'obbligo di stipulare un contratto contra legem possano essere obbligati a concluderlo coattivamente . Né poteva al riguardo soccorrere la qualificazione come contratto aleatorio del preliminare, posto che tale interpretazione era contraria, ai sensi dell'articolo 1362 codice civile, alla Comune volontà delle parti che era quella di vendere e acquistare un immobile con terreni circostanti. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione degli articoli 1385, 1453, 1418 codice civile in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c.”. La ritenzione della caparra postula la validità del contratto preliminare che doveva invece essere considerato nullo per essere il bene incommerciabile. 3. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti che di seguito si chiariscono. Occorre in primo luogo rilevare che correttamente il Tribunale prima e la Corte d'appello poi hanno affermato che non poteva dichiararsi la nullità del contratto preliminare, avente ad oggetto immobile abusivo, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori ed essendo la nullità prevista solo per gli atti ad effetti reali. Conseguentemente, correttamente entrambi i giudici di merito hanno concluso che potesse essere esaminata la domanda di risoluzione nel solco della prevalente giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto occasione, anche di recente, di affermare che “Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la vendita di una porzione di un comprensorio immobiliare risultato privo del requisito della edificabilità, tale elemento - che integra gli estremi del vizio della cosa - costituisce idonea causa di risoluzione del preliminare per inadempimento”. Cass. 2010 numero 21229-rv 614617 . La Corte territoriale ha però concluso che la espressa pattuizione assunta dalle parti all'interno dello stesso contratto di non risolubilità del contratto preliminare per effetto della mancata sanatoria edilizia, consentiva di giungere all'ulteriore conclusione secondo la quale doveva ritenersi intercorso tra le parti un contratto aleatorio, del quale appunto era esclusa la risolubilità in conseguenza della mancata sanatoria. La Corte poi ha confermato la sentenza impugnata, che aveva pronunciato la risoluzione del contratto per colpa del promittente acquirente, che aveva espressamente e ripetutamele manifestato la sua volontà di non addivenire alla stipula del contratto definitivo . Il ricorrente censura tale conclusione, non potendosi evidentemente affermare che, una volta stipulato un contratto preliminare di compravendita di un immobile non commerciabile, pur essendo valido il contratto preliminare, si debba essere costretti poi a stipulare coattivamente un contratto che si ponga in contrasto con la legge. Né tale conclusione viene scalfita dall'aver qualificato il contratto come aleatorio, perché comunque non sarebbe stato possibile procedere al contratto definitivo stante il divieto normativo. La censura appare fondata anche quanto all'interpretazione data dalla Corte territoriale alla volontà delle parti, posto che certamente lo scopo comune del contratto era quello di consentire il trasferimento del bene. Parimenti fondato, in relazione alle conclusioni appena raggiunte, è il secondo motivo di ricorso, dovendosi provvedere sulla caparra all'esito del giudizio di risoluzione. In definitiva occorre affermare il seguente principio di diritto concluso tra le parti un contratto preliminare diretto alla stipulazione di un definitivo avente ad oggetto il trasferimento di un immobile, la pattuizione, nell'atto di programmazione preparatoria, di una clausola escludente la risoluzione per colpa del promettente venditore, pur quando risulti l'insanabilità urbanistica del bene oggetto del contratto, non vale, di per sé, a rendere il preliminare un contratto aleatorio. Peraltro, l'abusività dell'immobile per mancato rilascio della concessione preclude, per impossibilità sopravvenuta, la stipulazione del definitivo, e quindi legittima il promissario acquirente a richiedere al promettente la restituzione della caparra che abbia versato in occasione del preliminare, essendo la ritenzione di questa divenuta senza titolo. 4. Il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, in altra composizione, che si atterrà ai principi di diritto affermati e regolerà le spese anche quanto al giudizio di cassazione. P.T.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia alla Corte d'appello di Firenze in altra composizione, anche per le spese.