Il presidente del CdA della Cooperativa non ha i poteri per vendere l’immobile: il socio acquirente non può non saperlo

L’inesistenza di tali poteri negoziali dipende dalle previsioni dello statuto della società. Non si può sostenere che siano state inconsapevolmente ignorate dal socio subentrato al promissario acquirente.

Con la sentenza n. 3538, depositata il 15 febbraio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato le precedenti sentenze di merito. Preliminare di vendita ma il presidente non ne ha i poteri. Una società cooperativa edilizia stipula un preliminare di vendita di un immobile, di cui riceve il prezzo di 54mln di lire. Al promissario acquirente subentra un socio della società, che, visto il rifiuto da parte della cooperativa di addivenire alla conclusione del contratto definitivo, la cita in giudizio per ottenere una sentenza che tenga luogo di tale contratto. La società si è rifiutata di concludere il contratto, non solo perché ritiene che la firma del presidente del consiglio di amministrazione non sia autentica, ma anche perché in capo a tale carica non c’erano i poteri occorrenti per deliberare l’assegnazione di porzioni immobiliari ai soci della cooperativa, appartenendo tale potere al consiglio di amministrazione nel suo complesso . Tutti scontenti. Sia la società, che gli eredi del socio, ormai deceduto, chiamano ad esprimersi la Corte di Cassazione. La prima perché, disposta a ritenere valida la compravendita, non si è vista riconosciuta la maggior somma dovuta dal socio nella sua qualità di membro della società stessa. I secondi perché si sono visti rigettati ingiustamente la validità del preliminare di vendita. La maggior somma dovuta non è dimostrata. La S.C. rileva la corretta impostazione tenuta dai giudici di merito. Innanzitutto sono stati correttamente ritenuti indimostrati gli elementi idonei a stabilire l’eventuale maggior somma, rispetto a quella già a suo tempo versata, dovuta dal socio cui dovesse essere assegnato in proprietà l’immobile di cui si discute . L’inopponibilità delle limitazioni di poteri degli amministratori. La Corte ritiene, poi, che l’aspirante assegnatario non potesse invocare a proprio vantaggio una situazione di incolpevole affidamento nell’esistenza dei poteri negoziali necessari in capo al presidente. L’art. 2384 c.c., sui poteri di rappresentanza degli amministratori, prevede che le limitazioni dei poteri, previste dallo statuto, non sono opponibili ai terzi. E terzo non può essere considerato un socio della società medesima, tenuto, al pari dell’amministratore, al rispetto delle clausole dello statuto . Per i terzi, non per i soci. La Corte sottolinea che, in questo caso, non si tratta di stabilire se nel modo di funzionamento di una cooperativa edilizia siano o meno individuabili due distinti rapporti giuridici, l’uno propriamente societario e l’altro di scambio avente ad oggetto il trasferimento di una proprietà. Si tratta semplicemente del fatto che il socio non può sostenere di aver ignorato inconsapevolmente le clausole statutarie. Non può quindi sostenere la validità di un atto emanato in violazione dello statuto. Per questi motivi la Corte rigetta i ricorsi, principale ed incidentale, confermando così la decisione della corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 gennaio – 15 febbraio 2013, n. 3835 Presidente/Relatore Rodorf Svolgimento del processo Con atto notificato il 16 novembre 1985 il sig. F.A. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucca la società La Costanza - Soc. coop a r.l. in prosieguo indicata come La Costanza sostenendo di essere subentrato ai promissari acquirenti di un immobile realizzato dalla cooperativa del quale era stato già pagato il prezzo, pari a L. 54.272.400. L'attore lamentò che, tuttavia, la società convenuta si fosse rifiutata di addivenire alla conclusione del contratto definitivo e chiese, perciò, l'emanazione di una sentenza che tenesse luogo di tale contratto, nonché la condanna della controparte al risarcimento del danno per la ritardata consegna del bene. Instauratosi il contraddittorio, la società convenuta, oltre a contestare l'autenticità della firma del presidente del consiglio di amministrazione sull'atto prodotto in causa dalla controparte, eccepì che detto legale rappresentante non disponeva dei poteri occorrenti per deliberare l'assegnazione di porzioni immobiliari ai soci della cooperativa, appartenendo tale potere al consiglio di amministrazione nel suo complesso, onde nessun diritto era validamente sorto al riguardo in capo all'attore, che della cooperativa era socio. La Costanza, dichiarandosi comunque disposta a regolarizzare la posizione di assegnatario del sig. F. , affermò che costui avrebbe si potuto conseguire la proprietà dell'immobile da lui preteso, ma alle stesse condizioni previste per gli altri soci, e perciò previa determinazione del maggior costo sostenuto al riguardo dalla cooperativa. Il tribunale rigettò le domande di parte attrice, essendo stata disconosciuta e non provata l'autenticità della scrittura negoziale posta a fondamento delle domande stesse. Gli eredi del sig. F. , frattanto deceduto, interposero gravame, insistendo nell'accoglimento delle medesime domande già formulate in primo grado e La Costanza, a propria volta, propose impugnazione incidentale per far condannare gli eredi F. al pagamento della maggior somma da loro dovuta per l'acquisto dell'immobile di cui si discute, pervio accertamento dei costi sostenuti dalla cooperativa. Con sentenza resa pubblica il 3 aprile 2006, la Corte d'appello di Firenze rigettò sia l'impugnazione principale sia quella incidentale. Quanto alla posizione degli, eredi F. , la corte fiorentina ritenne che la qualità di socio del loro dante causa, subentrato nella posizione di altri soggetti, i quali avevano in precedenza stipulato l'atto negoziale con la cooperativa, implicasse l'avvenuta acquisizione, da parte del medesimo sig. F. , della veste di preassegnatario della porzione immobiliare di cui si discute ma che, proprio in quanto socio, egli non avrebbe potuto invocare a proprio favore il principio dell'affidamento per sottrarsi all'invalidità di quell'atto di preassegnazione, posto in essere dal presidente della cooperativa senza disporre dei necessari poteri. Aggiunse poi la corte che alle medesime conclusioni si sarebbe dovuti pervenire anche se, aderendo ad una diversa impostazione giuridica dei rapporti tra cooperativa edilizia e propri soci, si fosse ipotizzato che l'attribuzione in proprietà esclusiva di porzioni immobiliari in favore di questi ultimi possa avvenire soltanto all'esito della liquidazione della società. Quanto poi alla domanda proposta dalla cooperativa con l'appello incidentale, essa fu disattesa sul rilievo che, alla stregua degli accertamenti svolti dal consulente tecnico d'ufficio, i maggiori costi dei quali si pretendeva il rimborso non risultavano provati. La società La Costanza ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza prospettando quattro motivi di doglianza. Gli eredi F. , nel depositare un controricorso, hanno formulato anche tre motivi di ricorso incidentale, ai quali la cooperativa ha replicato, a propria volta, con un controricorso. Entrambe le parti hanno anche depositato memorie. Motivi della decisione 1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l'art. 335 c.p.c 2. Il ricorso principale, benché articolato in una pluralità di motivi, è in sostanza riconducibile ad un'unica doglianza la corte d'appello non avrebbe fornito un'adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha rigettato la domanda della cooperativa volta ad ottenere l'accertamento della somma dovuta dagli eredi F. per ottenere l'assegnazione dell'immobile in contesa e la loro condanna al relativo pagamento. La motivazione, anzi, sarebbe a tal punto carente da comportare un vizio di omessa pronuncia sull'anzidetta domanda. La doglianza è in parte inammissibile ed in parte infondata. Essa è inammissibile sotto il profilo dell'art. 360, n. 5, c.p.c., perché, pur essendo il ricorso soggetto ratione temporis alla disciplina dettata dal'art. 366 bis c.p.c., le censure afferenti alla motivazione sono talora impropriamente cumulate con quelle in tema di asseriti errores in iudicando e comunque non risultano chiaramente corredate da quel momento di sintesi omologo del quesito di diritto che, in relazione al fatto controverso o al dedotto vizio di motivazione, valga a circoscriverne puntualmente i limiti, così come richiesto da consolidata giurisprudenza di questa corte si veda, per tutte, Sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603 . Manifestamente infondato è, invece, l'assunto secondo il quale la corte d'appello sarebbe incorsa in un vizio di omessa pronuncia, lasciando insolute alcune delle questioni sottoposte al suo esame onde le parti si vedrebbero costrette ad intraprendere in proposito un nuovo giudizio . Soddisfacente o meno che sia la motivazione addotta, non v'è infatti alcun dubbio - e se ne trae inequivocabilmente conferma anche dal tenore del dispositivo della sentenza qui impugnata - in ordine all'esistenza in proposito di una pronuncia con la quale è stato rigettato l'appello incidentale, proposto dalla cooperativa avverso la sentenza di primo grado, per difetto di elementi idonei a stabilire l'eventuale maggior somma, rispetto a quella già a suo tempo versata, dovuta dal socio cui dovesse essere assegnato in proprietà l'immobile di cui si discute. 3. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto dagli eredi F. è ugualmente infondato. 3.1. L'affermazione secondo cui la corte d'appello sarebbe incorsa in una contraddizione logica - consistente nell'aver ritenuto invalido l'atto di preassegnazione dell'immobile, per difetto dei necessari poteri in capo al presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa, e nell'avere al tempo stesso ravvisato nella relativa scrittura privata gli estremi di una ricevuta della somma versata in acconto dall'aspirante assegnatario - non appare assolutamente condivisibile. Non è dato infatti comprendere in che cosa la pretesa contraddizione risiederebbe posto che la ricevuta di pagamento o quietanza , pur se materialmente contenuta in un contratto, resta di per sé un atto unilaterale cui eventualmente può esser riconosciuta valenza confessoria , destinato ad attestare l'avvenuta consegna del denaro in essa menzionato, indipendentemente dall'essere il contestuale contratto valido o meno. Né la circostanza che il presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa non avesse il potere di obbligare contrattualmente l'ente alla futura cessione dell'alloggio comporta che la sua dichiarazione unilaterale di aver ricevuto quel denaro - circostanza del resto incontestata nella sua realtà storica - sia priva di effetti. Immune da vizi giuridici si appalesa, poi, il ragionamento in base al quale la corte d'appello ha escluso che l'aspirante assegnatario potesse invocare a proprio vantaggio una situazione di incolpevole affidamento nell'esistenza, in capo al presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa di quei poteri negoziali dei quali costui era invece sfornito. Correttamente la corte distrettuale ha osservato che, se il principio dell'affidamento incolpevole può eventualmente giovare al terzo che contratti con un amministratore di società privo in realtà di legittimazione negoziale, non può invece avvalersene chi della medesima società sia egli stesso socio. Non si tratta, in questo caso, di stabilire se nel modo di funzionamento di una cooperativa edilizia siano o meno individuabili due distinti rapporti giuridici, l’uno propriamente societario e l'altro di scambio avente ad oggetto il trasferimento in proprietà al socio dell'alloggio originariamente appartenente alla società. Si tratta, più semplicemente, di considerare come l'inesistenza dei suindicati poteri negoziali in capo al presidente dell'organo amministrativo dipendeva, nella specie, dalle previsioni dello statuto della società previsioni che, appunto in quanto contenute in detto statuto, non potrebbe sostenersi siano state incolpevolmente ignorate dal socio. Né occorre dire che l'affidamento nella sussistenza di una situazione apparente diversa da quella reale può giovare alla controparte soltanto se sia incolpevole. Giova solo aggiungere che alla medesima conclusione si perviene anche facendo riferimento alla previsione dell'art. 2384 c.c., perché il particolare regime ivi previsto d'inopponibilità ai terzi dei limiti apposti statutariamente ai poteri degli amministratori di società è applicabile, per l'appunto, quando coloro con i quali l’amministratore abbia interagito siano dei terzi, e non anche quando si tratti di soci della medesima società, anch'essi tenuti, al pari dell'amministratore, al rispetto delle clausole dello statuto. 3.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto volto a censurare un'ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata, che appare però priva di decisiva rilevanza, perché l'altra autonoma ratio , non scalfita dal motivo di ricorso già sopra esaminato, risulta di per sé sola idonea a sorreggere il decisum . 3.3. Inammissibile, infine, è altresì l'ultimo motivo del ricorso incidentale, con cui si lamenta un preteso vizio di motivazione dell'impugnata sentenza, essendo anche tale motivo sfornito del momento di sintesi che, come già dianzi ricordato a proposito del ricorso principale, nel vigore dell'art. 366 bis c.p.c. deve necessariamente corredare censure di questo tipo. 4. Il rigetto tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità.