Abuso di alcool e droga, molestie verso genitori e fratelli: nessun vizio di mente, condannato

Confermata la pena di 16 mesi di reclusione per un uomo, resosi ‘protagonista’ di episodi di violenza, a scadenza quotidiana, verso la propria famiglia. Nessun dubbio sul clima da incubo in cui sono stati costretti a vivere genitori e fratelli dell’uomo. E le precarie condizioni psico-fisiche dell’uomo, provocate dall’abuso di alcool e droga, non rappresentano certo un vizio di mente.

Vita da incubo per una famiglia a costituire il problema è, purtroppo, uno dei figli, protagonista di atti violenti, praticamente a scadenza quotidiana, nei confronti della madre, del padre e dei fratelli. Come si spiega questa condotta? Anche collo stato di ubriachezza abituale – aggravato dall’uso di droga – dell’uomo. Questa difficile condizione, però, non può rappresentare un alibi, o una giustificazione per rendere meno gravi le accuse corretta, quindi, la condanna per il reato di maltrattamenti”. Cass., sent. n. 47078/2013, Sesta Sezione Penale, depositata oggi Paura. Davvero difficile immaginare di poter vivere così Ogni giorno, difatti, i componenti della famiglia sono vittime dei comportamenti aggressivi e violenti di uno dei figli, resosi ‘protagonista’, tra l’altro, di minacce, percosse, danneggiamento nei confronti della madre, del padre e dei fratelli . Nessun dubbio, quindi, sulla vicenda, ricostruita anche grazie ai resoconti fatti dai Carabinieri, costretti a intervenire diverse volte nell’abitazione della famiglia. E, di conseguenza, nessun dubbio sul clima persecutorio e di sopraffazione psicologica subito dai genitori e dai fratelli dell’uomo. Per questo, è logica la condanna – messa ‘nero su bianco’ prima dal Giudice dell’udienza preliminare e poi dalla Corte d’Appello – per il delitto di maltrattamenti in famiglia . Alcool e droga. A contestare la condanna – alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione – è, ovviamente, l’uomo, che richiama, come giustificazione, la propria condizione di alcolista. Più precisamente, egli sostiene, tramite il proprio legale, che la fonte dei dissidi familiari risiedeva nella sua situazione di abuso etilico , e che, quindi, nei suoi comportamenti, determinati da eventi imprevisti e segnati dall’occasionalità, non è ravvisabile la coscienza e la volontà di ledere l’integrità fisica e psichica dei soggetti passivi . Ma questa visione viene considerata, dai giudici del ‘Palazzaccio’, assolutamente non plausibile. Innanzitutto perché è acclarato il clima da incubo in cui la famiglia è stata costretta a vivere, subendo prevaricazioni e pesanti vessazioni a cui non c’è stata opposizione per la paura di reazioni inconsulte ed incontenibili, legate all’abuso , da parte dell’uomo, di alcool e di sostanze stupefacenti . Per giunta, gli episodi violenti si sono verificati con cadenza quotidiana . Nessun dubbio è possibile, quindi, sulla concretezza dei maltrattamenti – fisici e morali – subiti dai genitori e dai fratelli dell’uomo. E rispetto a questo chiarissimo quadro, è inutile il richiamo al precario – per usare un eufemismo – stato psico-fisico dell’uomo, provocato dall’ abuso di alcool e di sostanze stupefacenti perché non si può parlare di vizio di mente , laddove, come in questa vicenda, le anomalie e le forme di degenerazione del sentimento , manifestate dall’uomo, non sono frutto di uno stato patologico – legato all’uso smodato di alcool e stupefacenti – ossia di alterazioni psicologiche permanenti .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 ottobre – 26 novembre 2013, n. 47078 Presidente Lanza – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto Con sentenza del 31 maggio 2012 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa il 1° dicembre 2011 dal G.u.p. presso il Tribunale di Bergamo nei confronti di R.S., condannato, all’esito di rito abbreviato, alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di maltrattamenti in danno della madre, del padre e dei fratelli, di cui agli artt. 94, 572 c.p. capo sub A , con l’aggravante di aver commesso il fatto in stato di ubriachezza abituale , e di danneggiamento dell’autovettura della madre, di cui agli artt. 635, comma 2, n. 3, in relazione all’art. 625, comma 1, n. 7, c.p. [capo sub B , aggravato dall’aver commesso il fatto su cosa esposta per necessità alla pubblica fede]. 2. Avverso la suddetta pronuncia della Corte d’appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di R.S., prospettando due motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto. 2.1. Violazioni di legge e carenze motivazionali ex art. 606, lett. b e lett. e , c.p.p., in relazione agli artt. 572 c.p. e 530 - 125 comma 3, c.p.p., nella parte in cui è stata ritenuta la consumazione dei delitto di maltrattamenti in famiglia, i cui elementi costitutivi, sulla base di quanto rappresentato nel relativo motivo d’appello, non potevano essere ritenuti sussistenti nel caso di specie, in particolare, la fonte dei dissidi familiari risiedeva nella situazione di abuso etilico del R., nei cui comportamenti, determinati da eventi imprevisti e segnati dall’occasionalità, non è ravvisabile la coscienza e volontà di ledere l’integrità fisica e psichica dei soggetti passivi. 2.2. Violazioni di legge e carenze motivazionali ex art. 606, lett. c e lett. e , c.p.p., in relazione all’art. 530, commi 1-2, c.p.p., non avendo il Giudice dei gravame preso in esame i relativi motivi, nè argomentato sulle specifiche deduzioni in essi sviluppate, con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto dal delitto in rubrica ascrittogli. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile in quanto non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dalla Corte d’appello, sostanzialmente reiterando, peraltro, le medesime censure già sollevate dinanzi ai Giudici di merito, che ne hanno conformemente escluso la fondatezza sulla base di un congruo e lineare percorso argomentativo, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una completa ed approfondita disamina delle risultanze processuali. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata nelle deduzioni e nei rilievi sollevati dalla difesa, ponendo in evidenza a da un lato, che sulla base degli elementi desumibili dagli atti acquisiti nel corso dei l’istruttoria, ed utilizzabili per la scelta del rito, i Carabinieri risultano essere intervenuti in numerose occasioni presso l’abitazione dei Rota a seguito di comportanti violenti ed aggressivi reiteratamente posti in essere dall’imputato nei confronti dei suoi familiari a mezzo di minacce, percosse, costrizioni, atti di danneggiamento, ecc. , ingenerando un clima persecutorio e di sopraffazione psicologica della loro personalità, connotato da prevaricazioni e pesanti vessazioni cul essi non si sono opposti in modo deciso, per la paura di reazioni inconsulte ed incontenibili, legate all’abuso di alcool e sostanze stupefacenti b dall’altro lato, che gli episodi oggetto dei tema d’accusa, verificatisi con cadenza pressoché quotidiana, hanno trovato ampie conferme negli atti di denuncia presentati nel corso degli anni dai fratelli dell’imputato, nelle sommarie informazioni e nelle annotazioni di servizio redatte dai Carabinieri in occasione dei numerosi interventi effettuati a seguito di segnalazioni provenienti dai suoi familiari. Al riguardo, pertanto, l’impugnata sentenza ha fatto buon governo dei principii più volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di maltrattamenti familiari, correttamente il giudice di merito desume dalla ripetitività dei fatti di percosse e di ingiurie l’esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente, consapevolmente instaurato dall’agente, a seguito di iniziali stati di degenerazione del rapporto familiare. Per la configurabilità del reato non è richiesta una totale soggezione della vittima all’autore del reato, in quanto la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza Sez. 6, n. 4015 del 04/03/1996, dep. 17/04/1996, Rv. 204653 . Nella nozione di maltrattamenti”, invero, rientrano i fatti lesivi della integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto passivo, sì da rendere abitualmente dolorose le relazioni familiari, e manifestantisi mediante le sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento o con atti o parole che offendono il decoro e la dignità della persona, ovvero con violenze capaci di produrre sensazioni dolorose, ancorché tali da non lasciarne traccia Sez. 6, n. 3020 del 16/10/1990, dep. 08/03/1991, Rv. 186593 . Per la configurabilità della fattispecie, inoltre, si richiede il dolo generico, consistente nella mera coscienza e volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza Sez. 6, n. 15680 del 28/03/20 12, dep. 23/04/2012, Rv. 252586 . Né, del resto, può tralasciarsi di considerare, al riguardo, il risalente principio secondo cui l’abuso di alcool o di sostanze stupefacenti influisce sulla capacità di intendere e di volere solo se ed in quanto, per il suo carattere ineliminabile e per l’impossibilità di guarigione, provoca alterazioni psicologiche permanenti, tali da far apparire indiscutibile che ci si trova di fronte ad una vera e propria malattia, dovendosi escludere dal vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. la presenza di anomalie e forme di degenerazione del sentimento non conseguenti ad uno stato patologico Sez. 1, n. 3191 del 24/01/1992, dep. 18/03/1992, Rv. 189660 . Condizioni, quelle or ora indicate, che in nessun modo possono dirsi emerse dagli atti processuali, ovvero compiutamente dedotte e comprovate dal ricorrente. 4. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione dei delitti oggetto del tema d’accusa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti. La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna iricursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo ivi tracciato, e a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logivi ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali. 5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo quantificare nella misura di euro mille. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.