Carcere non vivibile: non può bastare la protesta del detenuto...

Rigettate completamente le proteste di un uomo, che aveva lamentato l’insufficienza dello spazio minimo vitale in cella. Confermata la legittimità della scelta del Magistrato di sorveglianza sarebbe stato necessario dettagliare la denuncia, facendo riferimento ai diritti soggettivi violati.

‘Allarme rosso’ per le carceri italiane lo raccontano, a più riprese, i media, e lo testimoniano anche le sanzioni minacciate dall’Europa. Ma la sostanza è che, di fronte a condizioni di vivibilità precarie, a rimetterci sono, ogni giorno, i detenuti. Che, peraltro, non possono limitarsi a denunciare, ma debbono dettagliare le violazioni subite. Altrimenti la loro protesta è destinata a sciogliersi come neve al sole Cassazione, sentenza n. 36686, Prima sezione Penale, depositata oggi Spazio vitale. Riflettori puntati, in questa vicenda, è il carcere di Monza un giovane detenuto si lamenta per l’insufficienza dello spazio minimo vitale in cella . Ma tale doglianza viene archiviata dal Magistrato di sorveglianza. Quest’ultimo, per la verità, riconosce le oggettive difficoltà strutturali ed organizzative dell’istituto penitenziario , ma, allo stesso tempo, alla luce di una relazione ad hoc firmata dalla direzione del carcere , sostiene che è stata assicurata la dignità personale dell’uomo, essendo, peraltro, operativo il trattamento rieducativo finalizzato alla risocializzazione dei detenuti . Diritti e violazioni. Ma la battaglia di civiltà viene condotta, dal giovane detenuto, fino alle aule del Palazzaccio. Proprio nel contesto della Cassazione, difatti, l’uomo ribadisce la propria protesta, evidenziando carenze strutturali notevoli più precisamente, mancano, a suo dire, le aule dove svolgere attività paraculturale e l’area trattamentale . Ciò che emerge, ad avviso del giovane detenuto, è che quel carcere non consente che l’espiazione della pena sia finalizzata al recupero sociale dei reclusi ed alla restituzione alla società di persone migliori . E tale quadro, afferma ancora, non può essere smentito, come fatto invece dal Magistrato di sorveglianza, basandosi solo sulla relazione della direzione carceraria , senza effettuare alcuna doverosa verifica . Quadro assolutamente chiaro, e per nulla positivo, secondo il giovane detenuto. Ma ciò non basta Perché, viene stabilito in Cassazione, non sono stati indicati, in concreto, i diritti soggettivi violati dal personale penitenziario . Assolutamente legittima, quindi, la decisione del Magistrato di sorveglianza, ossia la archiviazione delle doglianze . Peraltro, viene aggiunto, non è neanche pensabile aprire il fronte risarcitorio, perché la competenza del Magistrato di sorveglianza, sul fronte della violazione dei diritti dei condannati , va intesa solo nel senso che egli deve vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e pena ai fini della corretta esecuzione della pena o della misura di sicurezza .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 luglio - 6 settembre 2013, n. 36686 Presidente Chieffi – Relatore Capozzi Ritenuto di fatto 1. R.G., detenuto nel carcere di Monza, impugna personalmente innanzi a questa Corte il decreto del 26 ottobre 2012, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Milano ha disposto l'archiviazione delle doglianze da lui formulate ex art. 35 Ord. Pen. avverso l'insufficienza dello spazio minimo vitale di cui poteva disporre in cella. 2. Il Magistrato di sorveglianza, acquisita una relazione della direzione dei carcere, ha ritenuto che, nonostante le oggettive difficoltà strutturali ed organizzative dell'istituto penitenziario in cui il reclamante era recluso, era stata assicurata la sua dignità personale ed era operativo il trattamento rieducativo finalizzato alla risocializzazione dei detenuti. 3. Deduce il ricorrente che nella casa circondariale di Monza, ove egli era recluso, non era assicurato il rispetto della dignità ed erano carenti le opere trattamentali applicate dopo attenta osservazione scientifica del recluso mancavano le aule dove svolgere attività paraculturale ed era altresì mancante la stessa area tratta mentale. Inoltre il Magistrato di sorveglianza non aveva effettuato alcuna doverosa verifica in ordine a quanto da lui denunciato, essendosi limitato ad acquisire una relazione della direzione carcerarla in realtà nel carcere di Monza l'espiazione della pena non era finalizzata al recupero sociale dei reclusi ed alla restituzione alla società di persone migliori. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da R.G. è infondato. 2. Correttamente invero il Magistrato di sorveglianza di Milano ha disposto l'archiviazione delle doglianze da lui formulate, non avendo il ricorrente indicato quali siano stati in concreto i diritti soggettivi in concreto violati dal personale penitenziario. 3. Qualora poi le doglianze del ricorrente fossero state finalizzate ad ottenere il risarcimento dei danni da lui sofferti per le inadeguate modalità con cui la carcerazione veniva esercitata nei suoi confronti, va rilevato che, in materia risarcitoria ed indennitaria il sistema normativo vigente prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile e le attribuzioni al giudice penale di competenze in materia risarcitoria costituiscono eccezioni alla ripartizione anzidetta e devono essere previste da specifiche previsioni normative, come l'art. 74 cod. proc. pen., che attribuisce al giudice penale il potere di pronunciarsi sulla domanda risarcitorta del danneggiato da un reato costituitosi parte civile. 4. La legge penitenziaria poi non attribuisce alcuna competenza al Magistrato di sorveglianza In materia risarcitoria od indennitaria, atteso che la competenza di detto Magistrato In materia di violazione dei diritti dei condannati e degli internati nel corso del trattamento, cui fa riferimento l'art. 69 comma 5 u.p. Ord. Pen., va intesa solo nel senso che egli deve vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e pena ai fini della corretta esecuzione della pena o della misura di sicurezza, con una proiezione ripristinatoria volta al futuro, si da escludere alcuna sua competenza In materia di ristoro risarcitorio, per sua natura rivolta al passato cfr., in termini, Cass. Sez. 1 n. 4772 del 15/1/2013, Vizzari, Rv. 244271 . 5. Da quanto sopra consegue Il rigetto dei ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M . Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.