L’assegno di mantenimento non viene messo in discussione con la delibazione della sentenza ecclesiastica

La delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità non rimette in discussione l'assegno di mantenimento riconosciuto al coniuge in virtù di sentenza di separazione passata in giudicato.

La Corte di Cassazione, sez. VI -1 Civile, con la sentenza numero 5133 del 13 marzo 2015, si pronuncia sul tema della rilevanza della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale ecclesiastico e regolarmente delibata, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Afferma la Corte che, una volta accertata in sede di separazione, la spettanza dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, con pronuncia passata in giudicato, il diritto in questione non può essere rimesso in discussione a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della decisione ecclesiastica. Il caso. Un uomo chiedeva ex articolo 710 c.p.c. al Tribunale di Roma la caducazione ex tunc di ogni provvedimento relativo al mantenimento della coniuge separata per qualunque titolo e per qualsiasi importo in virtù del passaggio in giudicato della pronuncia della Corte d'Appello di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti, evidenziando che, con decreto della Corte d'Appello di Roma emesso ex articolo 710 c.p.c., era stato precedentemente revocato il contributo al mantenimento della donna e che non vi era mai stata pronuncia di divorzio. Anche la Corte di appello, adita dall’uomo, riteneva corretta l’impostazione della sentenza di primo grado, osservando - che una volta accertata in giudizio la spettanza di un diritto con pronuncia passata in giudicato, il diritto in questione non poteva più essere rimesso in discussione - che tale conclusione espressamente affermata dalla Corte di Cassazione, con riferimento all'assegno divorzile riconosciuto con sentenza passata in giudicato, doveva ritenersi applicabile anche al giudicato separativo - che, nel caso in esame, la preesistenza del giudicato escludeva l'applicabilità degli articolo 129 e 129 bis c.c Avverso tale pronuncia l’uomo proponeva inutilmente ricorso per cassazione, con un unico motivo formulato ai sensi dell’articolo 360, numero 5, c.p.c., sostenendo che, in presenza di sentenza ecclesiastica di pronuncia della nullità del matrimonio, ritualmente delibata e passata in giudicato, il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, in quanto inidonea a sciogliere il vincolo, non poteva avere gli stessi effetti prodotti dall’intangibilità della sentenza di divorzio. Intangibilità degli effetti del giudicato. Il giudice di legittimità, con la sentenza in commento - qualificava la censura come violazione di legge articolo 360, numero 3, c.p.c. essendo la dedotta omissione relativa alla mancanza della sentenza di divorzio qualificabile come un difetto del percorso logico giuridico produttivo della decisione e non come l'omesso esame di un “fatto” - affermava che la Corte d'Appello aveva correttamente «fondato la propria statuizione di rigetto sulla preminenza del giudicato preesistente sulla debenza dell'assegno di mantenimento, ritenendo che il predetto giudicato s'imponga a qualsiasi pronuncia successiva» conclusione che non deriva dall'equiparazione degli effetti tra separazione personale e divorzio ma che si fonda sull'intangibilità degli effetti del giudicato - riteneva, conseguentemente, inammissibile il motivo di gravame proposto dall’ex marito, sotto il profilo dell'inidoneità della censura a colpire la ratio decidendi della pronuncia impugnata - ricordava che l'orientamento citato nella relazione era stato confermato, di recente, dalla sentenza numero 21331/2013 della Prima Sezione della Corte di Cassazione “La nullità del matrimonio concordatario non rimette in discussione l'assegno divorzile passato in giudicato” , secondo cui, una volta che venga accertato il diritto di una delle parti all’assegno di divorzio ed una volta che si sia formato il giudicato sul punto, la relativa statuizione si rende intangibile, ai sensi dell’articolo 2909 c.c., anche nel caso in cui successivamente ad essa sopravvenga la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 24 febbraio – 13 marzo 2015, numero 5133 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Fatto e diritto Rilevato che è stata depositata la seguente relazione nel procedimento r.g. 16231/2013 A.A. ha richiesto ex articolo 710 cod. proc. civ. al Tribunale di Roma la caducazione anche formale di ogni provvedimento relativo al mantenimento della coniuge separata R.M. per qualunque titolo e per qualsiasi importo in virtù del passaggio in giudicato della pronuncia della Corte d'Appello numero 5483 del 2003 di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti. Il ricorrente ha evidenziato che, con decreto della Corte d'Appello di Roma emesso ex articolo 710 cod. proc. civ., era stato revocato il contributo al mantenimento della M. a far data dal novembre 2000 e che non vi era stata pronuncia di divorzio. Pertanto, in virtù della pronuncia numero 5483 del 2003, dovevano essere caducate tutte le statuizioni patrimoniali con effetto ex tunc disposte in sede di separazione personale e che la delibazione doveva considerarsi fatto nuovo. In via subordinata ha richiesto la caducazione di tali statuizioni almeno dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'Appello del 2003. Il Tribunale rigettava il ricorso. La Corte d'appello è pervenuta alla medesima conclusione, per quel che ancora interessa, sulla base delle seguenti argomentazioni a Una volta accertata in giudizio la spettanza di un diritto con pronuncia passata in giudicato, il diritto in questione non può più essere rimessa in discussione b Tale conclusione espressamente affermata dalla Corte di Cassazione con riferimento all'assegno divorzile contenuto in sentenza passata in giudicato, doveva ritenersi applicabile anche al giudicato separativo. c Nella specie la preesistenza del giudicato esclude l'applicabilità degli articolo 129 e 129 bis cod. civ. d In ordine alla domanda subordinata la Corte d'Appello ne ravvisa l'infondatezza dal momento che l'assegno di mantenimento era stato revocato fin dal 2000 anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della decisione ecclesiastica. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione A.A Ha resistito con controricorso R.M Nell'unico complesso motivo di ricorso, formulato ex articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. il ricorrente evidenzia l'omessa considerazione della mancanza di un giudizio divorzile tra le parti. E' soltanto la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio a potersi imporre se passata in giudicato prima della sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica e non quella di separazione perché inidonea a sciogliere il vincolo. Premessa la preventiva necessità di qualificare la censura come violazione di legge articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. essendo la dedotta omissione relativa alla mancanza della sentenza di divorzio qualificabile come un difetto del percorso logico giuridico produttivo della decisione e non come l'omesso esame di un fatto deve rilevarsi l'inammissibilità del motivo sotto il profilo dell'inidoneità della censura a colpire la ratio decidendi della pronuncia impugnata. La Corte d'Appello ha fondato la propria statuizione di rigetto sulla preminenza del giudicato preesistente sulla debenza dell'assegno di mantenimento, ritenendo che il predetto giudicato s'imponga a qualsiasi pronuncia successiva. Tale conclusione non deriva dall'equiparazione degli effetti tra separazione personale e divorzio ma sull'intangibilità degli effetti del giudicato. In conclusione, ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere ritenuto inammissibile. Il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione, osservando, in ordine alla memoria depositata dalla parte ricorrente, che - la documentazione prodotta è inammissibile ex articolo 372 c.p.c. - i rilievi riproducono le argomentazioni del ricorso senza alcun elemento di sostanziale novità - infine, l'orientamento citato nella relazione è stato confermato di recente dalla sentenza di codesta Corte numero 21331/2013. Le spese processuali del presente procedimento seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente procedimento, nei confronti della parte contro ricorrente, da liquidarsi in Euro 3000,00 per compens4& gt , 100,00 per esborsi oltre accessori di legge, in favore del procuratore antistatario avvocato M.M