La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di una cittadina con doppia cittadinanza, arrestata ai fini estradizionali. Il Collegio sottolinea che il principio del ne bis in idem internazionale invocato dalla ricorrente non trova sostegno normativo nella materia cautelare.
Sul tema, la Suprema Corte con la sentenza numero 10085/21, depositata il 15 marzo. Una cittadina con doppia cittadinanza, moldava e rumena, ricorre in Cassazione impugnando l’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna che ne convalidava l’arresto provvisorio ai fini estradizionali e ne disponeva la custodia cautelare in carcere per i reati di sequestro di persona e furto. La ricorrente denuncia, tra i vari motivi, la violazione del principio del ne bis in idem internazionale in quanto l’attrice si trova tutt’ora sottoposta a procedimento estradizionale, per gli stessi fatti, dinanzi all’autorità giudiziaria francese, dove è stata prima arrestata e poi rimessa in libertà, a causa del mancato inoltro da parte dello Stato richiedente nei termini previsti dalla Convenzione europea di estradizione del 1957 della documentazione necessaria. Il motivo di doglianza è privo di fondamento in quanto l’invocata operatività del divieto del ne bis in idem internazionale nella materia cautelare non trova sostegno normativo. Infatti, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede che «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge», non occupandosi delle misure cautelari. La limitazione dell’operatività di tale principio rappresenta inoltre una vera costante delle norme internazionali pattizie. Essa si rinviene, infatti, sia nell’articolo 9 della Convenzione europea di estrazione in cui viene sottolineato che «l’estradizione non sarà accordata quando la persona richiesta è stata giudicata in forma definitiva dalle autorità competenti della Parte richiesta, per il fatto od i fatti per i quali l’estradizione è domandata» sia nella Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee che prevede eccezioni solo se espressamente stabilite da disposizioni nazionali più ampie. Anche il d.lgs. numero 29/2016 prevede che «il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero sia computato ai fini della durata della custodia cautelare e delle pena applicate in Italia, ma opera soltanto nell’ipotesi di procedimenti penali paralleli, instaurati all’estero e nel nostro Stato per gli stessi fatti, ma non anche nei procedimenti estradizionali a quest’ultimi, infatti, tale disciplina non contiene il benchè minimo riferimento». Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricordo e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 gennaio – 15 marzo 2021, numero 10085 Presidente Petruzzelis – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con atto del proprio difensore, B.E. , titolare di doppia cittadinanza, moldava e rumena, impugna l’ordinanza resa il 23 ottobre scorso dal Consigliere delegato del Presidente della Corte di appello di Bologna, che - a norma dell’articolo 716 c.p.p., comma 3, - ne ha convalidato l’arresto provvisorio a fini estradizionali e ne ha disposto la custodia cautelare in carcere, in esecuzione di mandato di arresto del 10 luglio 2019, emesso dalla Corte penale di Chisnau Repubblica di Moldavia , perché indagata per i reati di sequestro di persona e furto, previsti e puniti dall’articolo 164, sez. 2, e articolo 187, sez. 4, del codice penale di quel Paese, con la pena della reclusione pari nel massimo a dodici anni. 2. Il ricorso è sorretto da due motivi. 2.1. Il primo denuncia la violazione del principio del ne bis in idem internazionale, di cui all’articolo 50 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea c.d. Carta di Nizza , in quanto la ricorrente si trova tutt’ora sottoposta a procedimento estradizionale, per gli stessi fatti, dinanzi all’autorità giudiziaria francese, essendo stata già tratta in arresto in quello Stato nell’ambito di tale procedura, ma essendo stata successivamente rimessa in libertà, in ragione del mancato inoltro, da parte dello Stato richiedente, nei termini previsti dalla Convenzione Europea di estradizione del 1957, della documentazione necessaria. Sostiene la difesa ricorrente che l’anzidetto principio debba trovare applicazione anche in caso di c.d. giudicato cautelare , in relazione all’applicazione delle misure cautelari coercitive. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia, invece, la violazione delle norme interne sull’estradizione e di quelle generali in materia cautelare personale, dalle prime richiamate, sostenendosi che non sussistano nè gravi indizi di colpevolezza, essendo stata la misura applicata sulla base di mere presunzioni nè un concreto pericolo di fuga nè, comunque, la necessità dell’applicazione della custodia in carcere e non di altra misura meno afflittiva, su cui la sentenza non motiva. A tale proposito, la difesa deduce che la ricorrente si trova regolarmente nel territorio dello Stato che gode di libertà di circolazione nel territorio della UE in quanto cittadina - anche - di uno Stato membro, come la Romania che non si è sottratta al giudizio di estradizione in Francia, ove si è recata a luglio per partecipare ad un’udienza che ha denunciato ai Carabinieri lo smarrimento del proprio passaporto, di cui è tutt’ora priva, così mostrando di non volersi sottrarre a controlli che in Italia dispone di una dimora e di un lavoro che lo Stato moldavo non ha comunicato quale sia la pena minima prevista per il reato oggetto di procedimento e, dall’informativa dell’Interpol, si rileverebbe che ella sia chiamata a rispondere solo del furto di un computer, essendo invece estranea al sequestro di persona sicché si rivela sostanzialmente congetturale l’assunto della Corte d’appello circa la probabilità di fuga, motivata in prospettiva di una possibile pena molto severa . 3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Ha depositato memoria di replica e conclusioni scritte la ricorrente, che, in particolare sulla scorta di quanto statuito dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, numero 29, articolo 11, comma 1, insiste, anzitutto, per il riconoscimento dell’operatività del principio del ne bis in idem cautelare, avendo ella già interamente sofferto, nel corso della procedura estradizionale avviata in Francia per gli stessi fatti e sulla base del medesimo mandato d’arresto, la custodia cautelare per il termine massimo consentito in relazione alla fase del procedimento in corso. Segnala, in proposito, che, in applicazione di tale regola, la Germania si è limitata a negarle l’ingresso nel proprio territorio, mentre l’Austria, dopo averla tratta in arresto in esecuzione del medesimo mandato, l’ha rimessa in libertà, con divieto di soggiorno in quello Stato. Sul versante del merito, invece, ribadisce le ragioni già addotte in ricorso a sostegno dell’inesistenza di un concreto pericolo di fuga e, comunque, della possibilità che esso sia adeguatamente salvaguardato attraverso una misura cautelare meno incisiva di quella carceraria. La ricorrente ha altresì depositato corrispondenza con il difensore da lei nominato nella procedura di estradizione francese, per dimostrare che quest’ultima sarebbe ancora pendente. Considerato in diritto 1. Le doglianze proposte sono prive di fondamento giuridico. 2. L’invocata operatività di un divieto di bis in idem internazionale nella materia cautelare, e tanto più con riferimento alle procedure estradizionali, non trova sostegno normativo. 2.1. Tale non può essere, anzitutto, quello individuato dalla difesa ricorrente, ovvero l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea c.d. carta di Nizza , firmata il 7 dicembre 2000 e con correzioni sottoscritte a Strasburgo il 12 dicembre 2007, recepita nel nostro ordinamento, con valore giuridico di trattato, attraverso l’articolo 6 del Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 e ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, numero 130, in vigore dal 1 dicembre 2009. Quella disposizione, sotto la rubrica Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato , prevede, infatti, che nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge , mentre non si occupa affatto delle misure cautelari. 2.2. La limitazione dell’operatività di tale principio all’esistenza di un accertamento definitivo, e quindi alla presenza di una pronuncia giudiziaria irrevocabile, rappresenta, peraltro, una vera e propria costante delle norme internazionali pattizie. Essa si rinviene, infatti, pure nell’articolo 9 della Convenzione Europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ratificata anche dalla Moldavia il 2 ottobre 1997 ed ivi in vigore dal 31 dicembre successivo. Si legge in tale disposizione, rubricata non bis in idem , che l’estradizione non sarà accordata quando la persona richiesta è stata giudicata in forma definitiva dalle autorità competenti della Parte richiesta, per il fatto od i fatti per i quali l’estradizione è domandata di qui, pertanto, l’esclusiva rilevanza ostativa delle sentenze definitive e, per di più, solo di quelle pronunciate dallo Stato richiesto, non anche, invece, di quelle eventualmente rese dalle autorità giudiziarie di uno Stato terzo Sez. 6, numero 3747 del 18/12/2013, Dyrmyshi, Rv. 258250 . Un riferimento espresso ed esclusivo alle sentenze definitive si ritrova, ancora, nella Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità Europee relativa all’applicazione del principio ne bis in idem , sottoscritta a Bruxelles il 25 maggio 1987 e ratificata dall’Italia con la L. 16 ottobre 1989, numero 350, articolo 1, 3, 4 e 5, che prevede eccezioni solo se espressamente stabilite da disposizioni nazionali più ampie come pure nella L. 30 settembre 1993, numero 388, di ratifica ed esecuzione della convenzione di Schengen del 1990 articolo 54 . Del resto, sull’assenza di efficacia ostativa alla consegna dell’estradando di un provvedimento insuscettibile di dar luogo a giudicato ed adottato nei suoi confronti, per i medesimi fatti, da uno Stato diverso da quello richiedente l’estradizione, anche la Corte di cassazione si è già espressa Sez. 6, numero 6241 del 29/01/2020, S., Rv. 278709, in riferimento specifico ad un decreto di archiviazione . 2.3. Inconferente, poi, è il richiamo - contenuto nel motivo aggiunto presentato dalla difesa - del D.Lgs. 15 febbraio 2016, numero 29, il quale prevede che il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero sia computato ai fini della durata della custodia cautelare e della pena applicate in Italia, ma opera soltanto nell’ipotesi di procedimenti penali paralleli, instaurati all’estero e nel nostro Stato per gli stessi fatti, ma non anche nei procedimenti estradizionali a questi ultimi, infatti, tale disciplina non contiene il benché minimo riferimento. Peraltro, perché il computo della custodia all’estero trovi applicazione, l’articolo 11 di tale decreto presuppone l’avvenuta concentrazione in Italia dei procedimenti, all’esito di una complessa procedura, che è del tutto estranea ai principi regolatori della materia estradizionale. 2.4. In conclusione, dunque, deve escludersi l’operatività del divieto di un secondo giudizio in àmbito internazionale in assenza di una pronuncia giurisdizionale estera definitiva sulla responsabilità dello stesso individuo per un medesimo fatto di reato, rimanendo perciò sempre estranei al relativo campo di applicazione i procedimenti estradizionali. Nessuna rilevanza, pertanto, nello specifico caso in esame, può accordarsi a quelle che si deducono essere state le determinazioni delle autorità tedesche ed austriache, le cui ragioni, peraltro, dalle produzioni difensive non si evincono. 3. Il secondo motivo di ricorso si rivela manifestamente infondato. 3.1. Per l’applicazione delle misure cautelari a fini estradizionali, non è richiesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, secondo quanto espressamente dispone l’articolo 714 c.p.p., comma 2. 3.2. In relazione al pericolo di fuga, poi, dietro lo schermo della violazione delle norme processuali di riferimento, il ricorso in realtà lamenta sostanzialmente un vizio di motivazione, evidenziando circostanze asseritamente deponenti in senso contrario. Al di là del fatto che tale deduzione non sarebbe consentita in sede di legittimità articolo 719 c.p.p. , è agevole comunque osservare che il provvedimento impugnato si presenta, invece, compiutamente e ragionevolmente motivato, avendo la Corte di appello evidenziato, con indiscutibile pertinenza, come la ricorrente non solo sia fuggita dalla Moldavia, ma sia altresì andata in giro per mezza Europa Francia, Belgio, e poi, come indica la sua stessa difesa, anche Austria e Germania prima di giungere nel nostro Paese dove - ad onta di quanto addotto in ricorso - ella non risulta avere nè una stabile ed adeguata dimora nè un’occupazione lavorativa. Quanto, poi all’ulteriore indice valorizzato da quei giudici, ovvero la severa pena prevista per i reati addebitatile, l’avversa argomentazione difensiva, secondo cui ella sarebbe imputata soltanto di furto e non anche di sequestro di persona, costituisce una mera enunciazione, non confortata dal alcun riscontro probatorio. 4. Il ricorso dev’essere, pertanto, respinto, con conseguente condanna alle spese di giudizio, a norma dell’articolo 616 c.p.p P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 203 disp. att. c.p.p