Diritto alla partecipazione degli utili: il giudizio va incardinato contro la società e non contro l’unanimità dei soci

Il diritto alla partecipazione-ripartizione degli utili, come anche il diritto dell’amministratore-socio a percepire un compenso per l’attività di gestione, vede contrapposti i singoli soci alla società e non anche i soci tra loro, quindi, il relativo giudizio deve interessare i soci e la società, sicché, la citazione in giudizio di tutti i soci con esclusione della società è errata.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2551 del 5 febbraio 2014. Il caso. Due persone fisiche costituivano una società in nome collettivo per lo svolgimento di attività in ambito turistico. La società veniva sciolta per insanabili contrasti tra i soci. Per diversi anni a seguire, uno dei soci, con decisione unilaterale, aveva proseguito l’attività attribuendosi una retribuzione elevata e non provvedendo alla ripartizione degli utili. Il secondo socio, conveniva in giudizio il socio gestore affinché fosse condannato al versamento in suo favore di una quota pari alla metà degli utili effettivamente realizzati. Il socio gestore articolava la propria difesa rilevando che la gestione era successiva allo scioglimento della società, quindi, nessun utile era dovuto alla controparte, inoltre, in riconvenzionale, chiedeva che il socio uscente fosse condannato a risarcire i danni derivanti dallo scioglimento della società. Il tribunale respingeva la domanda formulata da parte attrice. La corte d’appello, riformando la decisione del tribunale, condannava parte convenuta a versare una somma in favore dell’attrice a titolo di utile. La Corte chiariva che la società poteva ritenersi estinta soltanto nel momento in cui veniva effettivamente terminata la liquidazione con conseguente chiusura di tutti i rapporti giuridici detta chiusura, nel caso di specie, non era mai intervenuta. Il socio gestore ha proposto ricorso per cassazione. Prosecuzione dell’attività sociale. Il socio gestore, ha osservato la S.C., ha proseguito - senza alcuna interruzione – l’attività svolta dalla società in nome collettivo e, da quanto risultato nel corso dei due gradi di giudizio, senza variazione del soggetto giuridico operante. Sul punto, pare verosimile ritenere che l’attività sia proseguita a nome della compagine sociale atteso che proprio parte convenuta si è difesa chiedendo l’attribuzione in suo favore di un compenso per l’attività gestoria svolta, dunque, ha dato per assunto che non lavorava per se stesso ma nell’interesse di altro soggetto la società in nome collettivo. Contese societarie, citare in giudizio la società o i singoli soci? Quando si instaura un giudizio tra società e soci, si devono distinguere le situazioni giuridiche direttamente imputabili ai soci da quelle imputabili alla sola società. L’instaurazione di un giudizio contro l’unanimità dei soci non esclude l’obbligo di citare in giudizio la società. Nel caso in commento, il diritto alla partecipazione-ripartizione degli utili vede contrapposti i singoli soci alla società e non anche i soci tra loro, quindi, il relativo giudizio deve interessare i soci e la società, sicché, la citazione in giudizio di tutti i soci con esclusione della società è errata. Identica osservazione va fatta per la contesa avente ad oggetto il diritto del socio amministratore di percepire un compenso per l’attività svolta. La cassazione ha osservato che parte attrice aveva convenuto in giudizio soltanto il socio gestore e non anche la società cosicché parte convenuta era effettivamente priva della legittimazione processuale passiva essendo la società in nome collettivo soggetto tenuto a rispondere delle pretese formulate da parte attrice. Sotto questo profilo, i giudici di legittimità hanno chiarito che la causa non deve essere cassata con rinvio ad altro giudice territoriale potendo, invece, essere decisa nel merito. Infatti, così come si è svolto il doppio grado di giudizio e così come formulato il ricorso, la pronuncia della cassazione non è volta ad accertare la carenza di legittimazione passiva del socio convenuto ma statuisce che parte convenuta non aveva alcun obbligo di versare utili in favore del socio attore essendo tale obbligazione esistente in capo alla società totalmente estranea ai tre gradi di giudizio. Con queste argomentazioni la cassazione ha deciso la lite con compensazione delle spese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre 2013 - 5 febbraio 2014, numero 2551 Presidente Rordorf – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 13 luglio 1994 la signora P.M.F. conveniva dinanzi al Tribunale di Sassari la propria sorella P.M. , esponendo - che esse avevano costituito nel 1984 una società in nome collettivo per la gestione di un albergo in omissis , scioltasi per contrasto irriducibile tra le sode, accertato con sentenza passata in giudicato - che per oltre sei anni la convenuta aveva proseguito da sola la gestione dell'azienda, senza alcun controllo e attribuendosi unilateralmente un compenso sproporzionato rispetto agli utili, mai ripartiti. Tutto ciò premesso, chiedeva la condanna della convenuta a corrisponderle la metà degli utili della predetta attività. Costituitasi ritualmente, P.M. eccepiva l'avvenuto scioglimento, nel 1988, della società e quindi l'inesistenza di alcun ulteriore utile redistribuibile nonché la congruità del compenso percepito, inferiore a quanto previsto dai contratti collettivi per i prestatori d'opera del settore. In via riconvenzionale, chiedeva il risarcimento dei danni cagionati alla società. Con sentenza 3 giugno 2003 il Tribunale di Sassari rigettava la domanda, revocando il sequestro conservativo concesso ante causam . In riforma della decisione, la Corte d'appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari, esperita Ctu, condannava P.M. al pagamento della somma di Euro 20.914,73, con gli interessi legali e la rifusione delle spese del grado di appello, compensate quelle di primo grado. Motivava - che la società cessava solo con l'estinzione di tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo e quindi, alla socia spettava la quota di utili fino all'apertura del procedimento di liquidazione della società - che questa doveva essere liquidata sulla base della consulenza tecnica d'ufficio esperita, escludendo dal calcolo il prelievo di somme trattenute a titolo di compenso, che, costituivano, in ipotesi, un credito restitutorio della società e non del socio - che sulla somma liquidata erano dovuti gli interessi legali, trattandosi di obbligazioni di valuta. Avverso la sentenza, non notificata, P.M. proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Deduceva 1 la violazione degli articoli 2272 e 2308 cod. civ. per aver ritenuto distribuibili gli utili maturati dopo lo scioglimento della società 2 la violazione degli articoli 2262, 2366, 2272 e 2308 cod. civ. nonché il vizio di motivazione per omesso rilievo della carenza di legittimazione passiva della socia in ordine ad una domanda che andava proposta nei confronti della società 3 la violazione dei articoli 198 e 157 cod. proc. civ. e il difetto di motivazione perché la liquidazione degli utili sarebbe stata operata sulla scorta di una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente acquisito documenti forniti direttamente dalla parte. Resisteva con controricorso P.M.F. , che svolgeva altresì ricorso incidentale, affidato a sei motivi. Deduceva 1 la violazione degli articoli 2251 e segg. e la carenza di motivazione nell'omesso rilievo che sulla ricorrente incombeva certamente l'obbligo di informare e rendere il conto del suo operato, nonché di far conseguire alla sorella i risultati utili derivati dall'attività proseguita 2 la violazione degli articoli 2028 segg. ed il vizio di motivazione nel mancato accertamento dell'inadempimento dell'obbligo di rendere il conto e di corrispondere l'utile relativo 3 la violazione degli articoli 1224, 1283 e 2041 cod. civ. per non aver riconosciuto l'arricchimento senza causa derivato dall'utilizzazione dei beni materiali e immateriali della società 4 la violazione dell'articolo 2043 cod. civ. e 96 cod. proc. civ. per omesso accertamento dell'illecito compiuto per effetto della perdurante utilizzazione dei beni sociali 5 la violazione degli articoli 1224, 1282-1283 cod. civ. ed il vizio di motivazione nell'omessa liquidazione degli interessi legali ed anatocistici 6 la violazione dell'articolo 91 cod. proc. civ. nel regolamento delle spese processuali di primo grado, ingiustamente compensate. All'udienza del 13 novembre 2013, il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Dev'essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e del ricorso incidentale, proposti entrambi avverso la medesima sentenza articolo 335 cod. proc. civ. . Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione di legge nella ritenuta sussistenza di utili distribuirli, maturati dopo lo scioglimento della società. Il motivo è infondato. È circostanza incontroversa che la signora P.M. abbia proseguito, di fatto, l'esercizio dell'azienda alberghiera che costituiva oggetto della società in nome collettivo. In carenza di prova della sua diversa imputazione ad un'impresa individuale - di cui non viene nemmeno allegato il presupposto formale dell'iscrizione nell'ufficio del registro delle imprese, dopo la cancellazione della società articolo 2312 cod. civ. , e che appare comunque in contrasto con la pretesa della stessa ricorrente al compenso per l'attività gestionale svolta - tutti gli utili maturati nel periodo in questione appartengono alla società e in linea di principio vanno redistribuiti tra i soci secondo le rispettive quote di partecipazione. Con il secondo motivo si censura la violazione di legge e l'omessa motivazione sulla questione della carenza di legittimazione passiva della socia in ordine ad una domanda di pagamento di utili che andava proposta nei confronti della società. Il motivo è fondato. È certamente esatta la premessa che legittimata passiva per una domanda di pagamento di un credito derivante ex causa dalla titolarità di una partecipazione sociale - abbia ad oggetto la liquidazione della quota per recesso o per esclusione o per morte del socio , o come nella specie, per omessa distribuzione di utili di esercizio - sia la società, e non i singoli soci Cass., sez. unite, 26 aprile 2000 numero 291 Cass., sez. 1^, 16 gennaio 2009 numero 1040 Cass., sez. 1^, 16 gennaio 2009, numero 1036 . Cosa diversa è che il contraddittorio possa ritenersi ritualmente instaurato nei confronti della società in nome collettivo una volta citati in giudizio tutti i soci Cass., sez. 1^, 2 aprile 2012, numero 5248 Cass., sez. 1^, 2 dicembre 2011 numero 25.860 Cass., sez. 1^, 16 gennaio 2009 numero 1036 . Nella specie, si tratta di una società di due sole persone, parti contrapposte del giudizio, e dunque non v'è dubbio circa il rispetto dell'integrità del contraddittorio. Resta però fermo il requisito che l’ edictio actionis sia indirizzata nei confronti della società, e non dell'altro socio, personalmente. Sotto questo profilo, la domanda di P.M.F. appare invece inequivocabilmente volta ad ottenere la condanna dell'altra socia, P.M. , in proprio, al pagamento degli utili pro quota maturati e non ripartiti. Né, del resto, è stata diversamente interpretata dalla Corte d'appello di Cagliari come si evince sia dal dispositivo di condanna di P.M. , senza ulteriori riferimenti alla sua qualifica di legale rappresentante della società, sia da un passo della motivazione in cui si espunge dal thema decidendum il credito vantato dalla medesima socia a titolo di compenso per le mansioni direttive svolte sotto il profilo che obbligata a corrisponderlo sarebbe stata, in ipotesi, la società non evocata in giudizio . Resta assorbito il terzo motivo, relativo alla dedotta nullità della consulenza tecnica d'ufficio, le cui conclusioni in punto quantum debeatur sono state recepite in sentenza. Passando ora alla disamina del ricorso incidentale, si osserva come i motivi nnumero 1 - 4 siano inammissibili, risolvendosi nella prospettazione di domande di merito, disancorate da una puntuale critica di violazione di legge o di carenza di motivazione della sentenza. Oltre a ciò, la questione dei prelievi e dell'utilizzazione dei beni sociali da parte di P.M. concerne, ancora una volta, il rapporto sociale, e non quello personale tra le socie. Restano assorbiti il quinto e il sesto motivo, relativi al mancato riconoscimento degli interessi anatocistici e della rivalutazione monetaria ed al regolamento delle spese processuali. La sentenza deve essere quindi cassata e la causa, in carenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito, con rigetto della domanda. Al riguardo, è appena il caso di chiarire che non si verte in tema di carenza di legittimazione passiva, bensì di rigetto nel merito, in virtù dell'esclusione di un'obbligazione personale della socia convenuta in giudizio. In considerazione della complessità della vicenda e della disputabilità di talune questioni, appare equo compensare le spese dei tre gradi di giudizio. P.Q.M. - Riunisce ricorsi - accoglie il secondo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda - dichiara inammissibili i motivi nnumero 1-4 del ricorso incidentale, assorbiti i nnumero 5 e 6 compensa tra le parti le spese di giudizio.