Rabbia ad alta voce contro l’Italia: sfogo personale in privato; reato di vilipendio in pubblico

Confermata la condanna nei confronti di un uomo, che, a causa di una contravvenzione, ha apostrofato in malo modo il Paese. Espressione frutto non solo dell’episodio, ma probabilmente del malumore accumulato nel tempo, eppure espressione così grave, anche perché espressa dinanzi ai cittadini presenti in strada, da consentire di contestare il reato di vilipendio alla nazione italiana.

Vi sentite frustrati? Delusi? Disillusi? Ma ancora non assuefatti all’idea che questo Paese debba andare sempre male, gestito, spesso, in maniera dilettantesca? Provate a trattenere la rabbia, e se proprio dovete esprimerla, verbalmente, in maniera forte, poco ortodossa, con definizioni non da educande, allora fatelo in privato, a casa vostra! Perché in pubblico – in strada, magari – c’è sempre la possibilità di essere ascoltati, e ogni parola può essere fatale Cassazione, sentenza n. 28730, Prima sezione Penale, depositata oggi . Paese di m Scintilla che, metaforicamente, fa esplodere l’incendio è una contravvenzione comminata da una pattuglia di Carabinieri a un automobilista, beccato a viaggiare, a bordo della sua autovettura, con un solo faro acceso . Frutto di istinto – e, molto probabilmente, di malumore accumulato nel tempo – la reazione dell’uomo testuale chiarissimo, Invece di andare ad arrestare i tossici, pensate a fare queste str In questo schifo di Italia di m , invece di pensare alle cose serie, pensate a fare la contravvenzione per le luci”, su cui non è possibile alcun dubbio. Proprio per questo, l’uomo viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di vilipendio alla nazione italiana – come da articolo 291 del Codice Penale –, con una pena fissata in 1.000 euro di ammenda. Offesa all’Italia. E identica visione viene proposta anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, respingendo il ricorso dell’uomo, confermano la condanna per vilipendio alla nazione italiana . A sostegno di questa posizione la semplice considerazione che il reato non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione d’ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale , espressione frutto della coscienza e volontà di ledere il prestigio della nazione italiana . E ciò a prescindere dai veri sentimenti nutriti dal responsabile dell’espressione poco edificante nei confronti dell’Italia. Passando dalla teoria alla pratica, è logico, per i giudici, sanzionare il comportamento dell’uomo, alla luce della grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente – non solo dinanzi ai due carabinieri ma anche dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via –, parole tali da ledere oggettivamente il prestigio e l’onore della collettività nazionale .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 marzo - 4 luglio 2013, n. 28730 Presidente Bardovagni – Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. D.M.C. è stato imputato dei reati di cui agli artt. 290 e 291 cod. pen., per avere pubblicamente offeso la nazione italiana e l’arma dei carabinieri, in Montagano, il 2 novembre 2005, dopo che i carabinieri T.M. e P.A. lo avevano fermato per contestargli di viaggiare, a bordo della sua autovettura, con un solo faro accesso, affermando al loro indirizzo Invece di andare ad arrestare i tossici a Campobasso, pensate a fare queste stronzate e poi si vedono i risultati. In questo schifo di Italia di merda, invece di pensare alle cose serie pensate a fare la contravvenzione per le luci. Voi delle leggi non conoscete e non capite un cazzo”. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza del 1° giugno 2007, ha assolto il D.M. dal reato di vilipendio dell’Arma del carabinieri, di cui all’art. 290 cod. pen., perché il fatto non costituisce reato, ritenendo che le espressioni offensive fossero rivolte ai verbalizzanti come tali e non all’intero corpo dei carabinieri mentre ha condannato l’imputato per il delitto di vilipendio della nazione italiana, di cui all’art. 291 cod. pen., alla pena di euro 1.000,00 di multa, con le attenuanti generiche, interamente condonata ai sensi della legge n. 241 del 2006. La Corte di appello di Campobasso, investita dell’impugnazione proposta dall’imputato, con sentenza dal 26 aprile 2012, in parziale riforma della prima decisione, ha assolto il D.M. dal reato di vilipendio dell’Arma dei carabinieri con la diversa formula perché il fatto non sussiste mentre ha confermato la condanna per il delitto di vilipendio alla nazione italiana. La Corte territoriale ha ritenuto che la condotta dall’imputato integrasse il contestato vilipendio inteso come reato di pericolo, a dolo generico, poiché le parole di disprezzo dello Stato italiano, urlate dall’imputato sulla pubblica via, erano percepibili dalle numerose persone presenti nel luogo in cui furono pronunciate, vicino alla fermata degli autobus e in una situazione di via vai continuo di gente che saliva e scendeva dai mezzi pubblici o si recava a prendere le autovetture parcheggiate nei paraggi. La Corte ha, inoltre, sottolineato che i due verbalizzanti, T. e P., avevano effettivamente udito le espressioni offensive della nazione italiana proferite dal D.M., provandone imbarazzo ed umiliazione, e tale circostanza, ad avviso della Corte, era sufficiente ad integrare l’oggettività giuridica del reato senza la necessità che le medesime parole fossero state effettivamente percepite dalle altre numerose persone presenti sul posto né poteva ritenersi che l’imputato avesse agito nel legittimo esercizio del suo diritto di critica, per difetto palmare del limite della continenza. La condotta, inoltre, era stata contraddistinta dal dolo generico postulato dalla norma incriminatrice, poiché il D.M. non poteva non rendersi conto del carattere grossolano dell’offesa, pronunciata senza alcuna necessità e senza alcuna relazione con una obiettiva critica, e del significato vilipendioso di essa. L’entità della pena, infine, è stata confermata dal giudice di appello perché determinata nella misura di euro 1.000, corrispondente al minimo edittale, con la diminuzione massima per le attenuanti generiche applicate sulla pena base di euro 1.500, nel corretto esercizio del potere discrezionale del giudice. 2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente, il quale, con unico motivo, denuncia il vizio della motivazione nel triplice profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, poiché la frase in questo schifo di Italia di merda” non avrebbe rilevanza penale e non integrerebbe, dunque, il reato di cui all’art. 291 cod. pen. in ogni caso, il contesto in cui essa fu pronunziata, nell’ambito della vivace critica nei confronti dei verbalizzanti impegnati, secondo il D.M., nella contestazione di una lieve infrazione stradale a suo carico, anziché nella repressione del dilagante fenomeno della tossicodipendenza, ritenuto causa di degrado della città di Campobasso, dimostrerebbe che le parole incriminate non intendevano disprezzare lo Stato italiano, ma costituivano esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero l’espressione incriminata, comunque, non avrebbe determinato l’insorgenza di alcun pericolo concreto di lesione del prestigio della nazione italiana mancherebbe il dolo specifico richiesto per la penale rilevanza della condotta la determinazione dell’entità della pena sarebbe carente di motivazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Va premesso che il reato di vilipendio alla nazione italiana, previsto dall’art. 291 cod. pen., non è in contrasto con i principi della Costituzione della Repubblica e, in particolare, non si pone in contraddizione con l’art. 21 Cost., perchè il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo, sancito in tale articolo, non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva Cass., 7 aprile 1952, Battisti, Giustizia penale 52, 11, 828 v., anche, con specifico riguardo all’art. 290 cod. pen., Corte cost. 30 gennaio 1974, n. 20, che ha ritenuto non fondate le questioni di illegittimità costituzionale del suddetto articolo, nella parte in cui prevede il reato di vilipendio del Governo, dell’ordine giudiziario e delle Forze armate dello Stato, in riferimento agli artt. 3, comma 1 21, comma 1 e 25, comma 2, Cost. . L’elemento oggettivo del delitto previsto dall’art. 291 cod. pen. non richiede che la manifestazione di vilipendio sia specifica e che essa sia indirizzata a determinate persone, alle quali cagioni un certo turbamento psichico per integrare il reato de quo è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione - da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura - effettuata pubblicamente Cass., 11 ottobre 1954, Scompo, in Giustizia penale 55, II, 61 . In particolare, il reato in esame non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione d’ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall’autore, mentre l’elemento psicologico consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di ledere il prestigio e l’onore della nazione italiana Cass., 26 febbraio 1959, Liebe, in Giustizia penale 60, II, 69 Cass., sez. 1, 8 ottobre 1963, Bosco, in Cassazione penale massimario annotato 1964, 531 . Tanto premesso, il comportamento dei D.M., il quale, in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione, gridando In questo schifo di Italia di merda”, sia pure nel contesto di un’accesa contestazione della contravvenzione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un’autovettura con un solo faro funzionante, integra il delitto di vilipendio previsto dall’art. 291 cod. pen. sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l’onore della collettività nazionale sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall’autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l’agente a compiere l’atto di vilipendio. Tutte le censure mosse dal ricorrente, quindi, intese a contestare la legittimità costituzionale della norma incriminatrice e la ricorrenza degli elementi costitutivi - oggettivo e soggettivo - del reato contestato, sono destituite di fondamento mentre è inammissibile, perché involgente un giudizio di puro merito, la pur censurata entità della pena inflitta, peraltro corrispondente al minimo edittale. 2. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.