Costituzione in mora dopo l’inizio del giudizio di risoluzione: ulteriore conferma della volontà di adempiere

Un’affermazione contenuta nella sentenza di appello che non abbia spiegato alcuna influenza sulla decisione, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25596 del 14 novembre 2013. Il caso. Un’anziana signora conveniva in giudizio la propria controparte contrattuale assumendo che con atto di cessione di immobile con obbligo di vitalizio ed assistenza, aveva trasferito alla convenuta un appartamento di sua proprietà e che a titolo di corrispettivo la donna si era obbligata ad assistere materialmente e moralmente l’attrice, vita natural durante, nonché a fornirle gli alimenti al fine di assicurarle una vita salutare e dignitosa. In giudizio la cedente sosteneva che la convenuta, dopo pochi anni dalla stipula non aveva più ottemperato agli obblighi assunti, nonostante i diversi solleciti rivoltale. Sulla base di quanto sopra parte attrice chiedeva dichiararsi che il contratto in questione doveva ritenersi risolto per inadempimento e che per l’effetto la cessione dell’immobile era venuta meno. Parte convenuta nel contestare la ricostruzione dei fatti così come ex adverso operata, chiedeva in via riconvenzionale la restituzione per equivalente di tutte le prestazioni effettuate in favore della donna, nonché la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subiti. Nelle more del giudizio, deceduta l’attrice, si costituivano i suoi eredi. In primo grado entrambe le domande venivano rigettate, ed anche in appello la decisione del giudice di prime cure veniva confermata. La Corte territoriale difatti, nel qualificare il contratto intercorso tra le parti come contratto atipico c.d. vitalizio alimentare, rilevava che non risultava in alcun modo provato l’inadempimento contrattuale di parte convenuta agli obblighi assunti in sede di stipula, anzi di contro, risultava essere stata l’anziana signora a rifiutare l’assistenza materiale. Gli eredi soccombenti proponevano ricorso per cassazione. Onere della prova incombe sul debitore. I ricorrenti in primo luogo ritengono che erroneamente la corte d’appello abbia addossato a parte attrice l’onere della prova dell’inadempimento della convenuta, richiamando a tal uopo un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui al creditore che agisce in giudizio per la risoluzione del contratto incombe solo l’onere di fornire la prova della fonte legale o negoziale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte sulla quale incombe invece l’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’inadempimento. La Suprema Corte non smentisce tale orientamento giurisprudenziale, anzi nel riconfermarne il contenuto ritiene che nel caso di specie la Corte d’appello non si sia per nulla discostata da questo principio, in quanto non ha addossato alla parte attrice l’onere probatorio dell’inadempimento della convenuta. Dalle risultanze istruttorie sono emerse delle circostanza che hanno dimostrato la volontà della giovane donna di adempiere alle obbligazioni assunte con il contratto di vitalizio e che parte attrice, le ha reso impossibile l’esecuzione della prestazione, impedendole l’accesso nell’appartamento e manifestando nei suoi riguardi un comportamento ostile. Non c’è inadempimento se parte convenuta con ogni mezzo prova ad adempiere agli obblighi assunti. Ulteriore motivo di doglianza da parte dei ricorrenti si incentra sulla circostanza che la convenuta anche dopo l’instaurazione del giudizio aveva più volte costituito in mora l’anziana signora ingiungendole di cooperare in modo da consentirle l’agevole adempimento della propria prestazione. Così facendo, a dire dei ricorrenti, la cessionaria avrebbe violato l’art. 1453 c.c. a mente del quale dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere alla propria obbligazione e le offerte di adempimento dopo l’inizio del presente giudizio sono prive di rilevanza e inidonee a mettere in mora il creditore. In altri termini - sostengono i ricorrenti - l’offerta ad adempiere dopo l’inizio del giudizio di risoluzione, non può avere l’effetto della costituzione in mora. La Corte di cassazione ritiene che tale argomentazione non sia opportunamente richiamata nel caso di specie posto che dalle risultanze istruttorie è emerso che parte convenuta aveva con ogni mezzo provato ad adempiere ai propri obblighi contrattuali e pertanto, la costituzione in mora rappresenta ulteriore conferma di tale circostanza. La Suprema Corte sulla base delle suesposte ragioni rigetta il ricorso con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione , sez. II Civile, sentenza 1 ottobre - 14 novembre 2013 n. 25596 Presidente Goldoni – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 29-4-1995 M.A. conveniva dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata A.M. , assumendo che con atto di cessione di immobile con obbligo di vitalizio ed assistenza del 16-5-1985 per notaio Vanacore, aveva trasferito alla convenuta l'appartamento sito in omissis che a titolo di corrispettivo la Ammirati si era obbligata ad assistere materialmente e moralmente la M. vita natural durante, nonché a fornirle gli alimenti e a tenerla con sé per consentirle una vita salutare e dignitosa che l'A. dopo pochi anni dalla stipula non aveva ottemperato agli obblighi assunti, nonostante i solleciti inoltrati anche a mezzo raccomandata del 10-11-1994. Tanto premesso, l'attrice chiedeva dichiararsi che il contratto in questione era risolto per inadempimento della A. e che, per l'effetto, la traditio dell'immobile era venuta meno e l'appartamento doveva rientrare nella proprietà della M. . Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda attrice e chiedeva in via riconvenzionale, per l'ipotesi di accoglimento di tale domanda, la restituzione per equivalente di tutte le prestazioni effettuate in favore della M. , nonché la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni subiti. Essendo nelle more deceduta l'attrice, si costituivano in giudizio gli eredi B.A. nato il omissis , B. , P. ed Al. nato l' , riportandosi a quanto richiesto con l'atto di citazione. Con sentenza n. 503/2003 il Tribunale rigettava sia la domanda attrice che la riconvenzionale, compensando le spese di giudizio. Avverso la predetta decisione proponevano appello principale i B. e appello incidentale l'A. . Con sentenza in data 19-2-2007 la Corte di Appello rigettava entrambi i gravami, compensando le spese del grado. La Corte territoriale, in particolare, dopo aver qualificato il contratto in oggetto come contratto atipico di c.d. vitalizio alimentare, distinto dalla rendita vitalizia di cui all'art. 1872 c.c., e dato atto dell'ammissibilità della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. di tale contratto, rilevava che, nella specie, non risultava provato l'inadempimento dell'A. agli obblighi dalla medesima assunti nei confronti della M. con l'atto notarile, essendo emerso dalle concordi e precise deposizioni rese dai testi escussi per conto della convenuta che quest'ultima aveva sempre prestato assistenza materiale e morale alla M. , e che solo dal 1994 la M. aveva rifiutato la sua presenza, assistenza e coabitazione, precludendole l'accesso nell'appartamento e manifestando nei suoi confronti un comportamento ostile. Aggiungeva che nonostante ciò la A. non si era sottratta ai suoi impegni, esperendo ogni mezzo per poter adempiere ai propri obblighi contrattuali, tanto che dopo la instaurazione del giudizio aveva più volte costituito in mora la M. . Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso B.A. nato il 16-4-1947 , B. , P. ed Al. nato l' , sulla base di quattro motivi. La A. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa interpretazione degli artt. 1218 e 1455 c.c., nonché l'omessa e insufficiente motivazione. Deducono che la Corte di Appello, nel rigettare la domanda attrice di risoluzione sul rilievo che non risultava provato l'inadempimento della A. agli obblighi dalla medesima assunti con l'atto notarile nei confronti della M. , ha erroneamente addossato all'attrice l'onere della prova dell'inadempimento della convenuta. Rilevano, infatti, che al creditore che agisce in giudizio per la risoluzione del contratto incombe solo l'onere di fornire la prova della fonte legale o negoziale del suo diritto, limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, sulla quale incombe, invece, l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'inadempimento. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. Dica la Corte quale sia, nell'ipotesi di domanda diretta alla risoluzione per inadempimento di un contratto di vitalizio alimentare con trasferimento di immobile, la distribuzione dell'onere della prova, cioè se la prova dell'inadempimento incombe sul cedente o sul cessionario . Il motivo è infondato. È vero che, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento Cass. S.U. 3-10-2001 n. 13533 Cass. 12-4-2006 n. 3373 Cass. 12-2-2010 n. 3373 Cass. 14-6-2012 n. 9764 . Nella specie, tuttavia, la Corte di Appello si è correttamente attenuta a tale principio, in quanto, nell’affermare che non risulta provato l'inadempimento dell'A. agli obblighi dalla medesima assunti nei confronti della M. con l'atto notarile , non ha affatto inteso addossare alla parte attrice l'onere probatorio dell'inadempimento della convenuta. Dalla lettura della motivazione, infatti, si evince chiaramente che la domanda di risoluzione è stata rigettata perché il giudice del gravame ha ritenuto positivamente accertato, sulla base delle concordi e precise deposizioni dei testi escussi di parte convenuta, per nulla scalfite da quelle di parte attorea , che l'A. aveva sempre prestato assistenza materiale e morale alla M. , e che dal 1994 quest'ultima improvvisamente aveva rifiutato la sua presenza, assistenza e coabitazione, precludendole l'accesso nell'appartamento e manifestando nei suoi confronti un comportamento ostile. Tanto è ribadito in un successivo passaggio della motivazione, in cui è stato rilevato che le inoppugnabili risultanze porobatorie dedotte dalla convenuta, per nulla scalfite dalle generali affermazioni dei testi di parte attrice, confermano l'opera di assistenza morale e materiale effettuata dall'A. a favore della M. . 2 Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 2697 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deducono che la Corte di Appello, dopo aver dato atto che l'A. , con il contratto di vitalizio alimentare del 16-5-1985, si era obbligata a fornire alla M. gli alimenti, non ha speso una parola relativamente alla mancata prestazione degli alimenti. E, poiché l'attrice aveva allegato che l'A. era completamente venuta meno agli obblighi come sopra assunti , in base al principio dell'onere probatorio la domanda di risoluzione andava accolta anche sulla sola base dell'inadempimento dell'obbligo assunto di prestare gli alimenti. Il quesito di diritto posto è il seguente Dica la Corte se, nell'ipotesi di domanda di risoluzione del vitalizio alimentare con l'obbligo assunto di prestare gli alimenti, la mancata prestazione degli alimenti vada o no provata dall'attore e sia causa di risoluzione del contratto di cessione di immobile . Il motivo è formulato in termini generici, limitandosi alla mera affermazione secondo cui l'attore aveva allegato che l'A. era completamente venuta meno agli obblighi come sopra assunti , ma non precisando nemmeno se con l'atto di appello era stato specificamente dedotto anche l'inadempimento della prestazione degli alimenti. In ogni caso, si osserva che il giudice del gravame, nel ritenere provato che la convenuta, finché le era stato consentito dalla M. , aveva sempre adempiuto gli obblighi assunti nei confronti di quest'ultima con l'atto notarile, ha chiaramente inteso fare riferimento a tutte le obbligazioni derivanti dal contratto in questione, nessuna esclusa. 3 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte di Appello ha affermato apoditticamente che sin dal 1970 la A. aveva sempre prestato assistenza materiale e morale alla M. , e che dal giugno 1994 quest'ultima improvvisamente aveva rifiutato la sua presenza, assistenza e coabitazione, precludendole l'accesso nell'appartamento e manifestando nei suoi confronti un comportamento ostile. Deducono, in particolare, che il giudice del gravame non ha precisato in che modo si sia concretizzata l'assistenza, ha omesso la valutazione critica complessiva della prova testimoniale e non ha fatto alcuna menzione della lettera del 10-11-1994 della M. e dell'avv. Montella, con cui l'A. veniva invitata ad adempiere gli obblighi assunti con il contratto per cui è causa. Il motivo non è meritevole di accoglimento. La Corte di Appello ha basato il proprio convincimento circa il puntuale adempimento delle prestazioni contrattuali da parte dell'A. e l'impossibilità per quest'ultima di adempiere, a far data dal 1994, a causa del rifiuto opposto dalla M. , sulle dichiarazioni rese dai testi escussi per conto della convenuta, che ha definito concordi e precise , e per nulla scalfite dalle generiche affermazioni dei testi indotti dall'attrice. Il giudice del gravame, pertanto, ha proceduto ad una valutazione complessiva delle risultanze della prova testimoniale raccolta, mostrando di aver tenuto conto anche della deposizioni dei testi indotti da parte attrice, alle quali, tuttavia, ha ritenuto di attribuire minore valenza probatoria rispetto a quelle dei testi escussi per conto della controparte. Ciò posto, si osserva che i ricorrenti, nel sostenere che le deposizioni rese dai testi di parte attorea di cui, peraltro, riportano nel ricorso solo alcune dichiarazioni, estrapolate dall'intero contesto , se correttamente apprezzate dalla Corte territoriale, avrebbero dovuto portare ad un diverso convincimento, mirano sostanzialmente ad ottenere una nuova e diversa valutazione delle risultanze probatorie, in spregio ai limiti istituzionali di cognizione riservati a questa Corte. Come è noto, infatti, la valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti considerati nel loro complesso Cass. 25-10-2003 n. 16087 . I vizi di motivazione denunciabili in cassazione ai sensi dell'art. 360 n, 5 c.p.c., pertanto, non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova Cass. 14-10-2010 n. 21224 Cass. 5-3-2007 n. 5066 Cass. 21-4-2006, n. 9368 Cass., 20-4-2006, n. 9234 Cass., 16-2-2006, n. 3436 Cass. 20-10-2005 n. 20322 . Quanto alla doglianza di omesso esame della lettera di messa in mora del 10-11-1994, inviata per conto della M. all'A. , la stessa si palesa inammissibile, ai sensi del novellato art. 366, comma 6 cpc, non avendo i ricorrenti indicato dove il documento in questione sia stato prodotto nel giudizio di merito, né la sede dove il medesimo sia rinvenibile cfr. Cass. S.U. 2-12-2008 n. 28547 Cass. SU. 25-3-2010 n. 7161 . 4 Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1453 e 1306 ss. c.c Deducono che la Corte di Appello, nel ritenere che la Ammirati non si era sottratta ai suoi impegni, esperendo ogni mezzo per poter adempiere ai propri obblighi contrattuali , in quanto dopo la instaurazione del giudizio aveva più volte costituito in mora la M. , ingiungendole di cooperare in modo da consentire ad essa obbligata l'agevole adempimento della propria prestazione , ha violato l'art. 1453 c.c., a mente del quale dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere alla propria obbligazione. Sostengono, pertanto, che le asserite offerte effettuate dopo l'inizio del presente giudizio sono prive di rilevanza ed inidonee a mettere in mora il creditore. Subordinatamente, rilevano che la sentenza impugnata ha violato gli artt. 1206 e 1199 c.c. sulla costituzione in mora del creditore, che nella specie poteva prodursi, ai sensi dell'art. 1317 c.c., solo mediante l'intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti da parte sua necessari per renderla possibile. Il quesito di diritto formulato è il seguente Dica la Corte se, nell'ipotesi di inadempimento alle obbligazioni nascenti da un contratto di vitalizio alimentare, l'offerta di adempiere dopo l'inizio del giudizio di risoluzione, possa avere l'effetto della costituzione in mora . Il motivo è inammissibile. La Corte di Appello ha accertato, in punto di fatto, che l'A. aveva sempre prestato assistenza materiale e morale alla M. che dal giugno 1994 e, quindi, prima della introduzione del presente giudizio, la M. , improvvisamente, aveva rifiutato la sua presenza, assistenza e coabitazione, precludendole l'accesso nell'appartamento e manifestando nei suoi confronti un comportamento ostile che, nonostante ciò, l'A. non si era sottratta ai propri impegni, esperendo ogni mezzo per poter adempiere ai propri obblighi contrattuali. Il successivo riferimento agli atti di costituzione in mora rivolti dalla convenuta all'attrice dopo l'instaurazione del giudizio costituisce un argomento ulteriore, che si aggiunge a quello - di per sé idoneo a sorreggere la decisione - inerente all'accertamento compiuto dal giudice di merito circa il diligente attivarsi dell'A. , prima dell'inizio del giudizio, ed all'impossibilità per la stessa di adempiere la sua prestazione, a causa del comportamento della M. , la quale le aveva impedito l'accesso nell'appartamento. Ciò posto, si rammenta che, secondo un principio più volte affermato dalla giurisprudenza, un'affermazione contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sulla decisione, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse tra le tante v. Cass. 22-11-2010 n. 23635 Cass. 5-6-2007 n. 13068 Cass. 23-11-2005 n. 24591 . Anche la censura di violazione di legge proposta in via subordinata si palesa inammissibile, non essendo accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto, così come prescritto dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis . 5 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.