L’appaltante – delegato alla sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro – risponde degli eventi dannosi dell’altrui incolumità anche in ipotesi di appalto e successivo subappalto, quando vi sia un’ingerenza nell’esecuzione dell’opera, tale da aver concorso a determinare l’inosservanza di regole cautelari aventi comportato effetti dannosi.
Con la sentenza numero 13351 del 30 maggio 2013, la Cassazione ribadisce la responsabilità penale del committente dei lavori in ordine al decesso di un lavoratore impegnato in un’opera di demolizione di un fabbricato. Il caso. In un cantiere edile del Nord Italia, a seguito del crollo di parte di un cornicione di un edificio industriale, pietre e calcinacci rovinavano addosso ad un operaio intento, con altri, alla demolizione di muri nel corso di opere di ristrutturazione di una costruzione al fine di adibirla a civile abitazione a seguito dell’impatto, l’uomo riportava lesioni che ne cagionavano la morte. La gestione. La proprietà dell’immobile – qualificabile anche come committente dei lavori – si identificava in una società amministrata dal ricorrente odierno l’attività ricostruttiva era stata appaltata ad altra società il cui legale rappresentante è stato giudicato e condannato separatamente , la quale, a sua volta, aveva sottoscritto plurimi contratti di subappalto con imprese terze, tra cui quella facente capo al datore di lavoro della povera vittima imputato anch’egli, ma poi assolto . Il ricorrente, è stato tratto a giudizio, e conformemente condannato in primo e secondo grado, per il delitto di cui all’articolo 589, comma 2, c.p. omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche , in quanto titolare di una posizione di garanzia, essendo stato delegato alla sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro da parte della società di cui era il legale rappresentante direttore di cantiere soggetto che di fatto gestiva e sovraintendeva alla esecuzione delle opere e che, nello specifico, aveva disposto le demolizioni aventi determinato il crollo del cornicione che travolse l’operaio, fornendo, addirittura, direttive per la materiale attuazione. Avverso la condanna di appello ricorre per cassazione il condannato, denunciando violazione di legge, quanto alla sussistenza di una valida delega, e censurando la quantificazione sanzionatoria. Caratteri della delega. Ad avviso della difesa, nei fatti, la delega posta a fondamento delle sentenze di merito sarebbe inidonea a fondare una posizione di garanzia, in quanto la stessa sarebbe connotata da genericità e sfornita del necessario potere di spesa questa si sostanzierebbe, quindi, in un’attribuzione di potere senza la correlativa disponibilità di spesa atta a garantire la corretta esecuzione della medesima. E ciò anche sulla considerazione che l’opera di restauro era stata appaltata ad altra società, il cui legale rappresentante è già stato reputato colpevole, alla luce della sua personale posizione di responsabile per la sicurezza, gravando solo su questo soggetto avente peraltro affidato i lavori ad altri subappaltatori l’obbligo di vigilare sul cantiere e di coordinare le maestranze. L’appalto non esclude la responsabilità. La Suprema Corte ha rilevato la manifesta infondatezza delle doglianze difensive, dichiarando l’inammissibilità del ricorso. In realtà, la questione sollevata dal condannato – prospettata come violazione di legge – non attiene alla carenza dei presidi antinfortunistici aventi comportato la morte dell’operaio, bensì la sussistenza in capo allo stesso della posizione di garanzia. Ad avviso difensivo, la responsabilità per l’evento mortale sarebbe riconducibile soltanto all’appaltatore ed al subappaltatore, ma non al committente, anche in considerazione del fatto che egli non tenne una concreta azione di ingerenza. Invero – come già esplicitato nella sentenza del secondo giudicante – non si può obliterare il principio secondo cui il trasferimento del rischio a carico dell’appaltatore e del subappaltatore avviene solo laddove i lavori siano appaltati in toto, di modo che possa escludersi qualsivoglia ingerenza del committente. Dalle risultanze istruttorie, è emerso come nella situazione concreta l’imputato rivestisse non solo la qualità di Vice Presidente del Consiglio di amministrazione dell’immobiliare proprietaria/committente, ma anche quella di delegato alla sicurezza, di capo cantiere, ma soprattutto che egli gestiva di fatto e sovraintendeva l’esecuzione delle opere edili, tanto che era stato proprio lui a dare le direttive ed istruzioni per la demolizione. Quindi, nei fatti, in capo al committente era rimasto un effettivo potere di ingerenza nel processo lavorativo, di cui, peraltro, la Corte di Appello ha fornito ampia dimostrazione, attraverso un’ineccepibile argomentare. Le censure difensive si sono risolte, in estrema sintesi, nella richiesta di nuova valutazione della prova da parte della Suprema Corte rispetto alla decisione impugnata ciò, a fronte di congrua e logica motivazione, non è ammesso in sede di legittimità. Per questa ragione, gli Ermellini dichiarano l’inammissibilità del ricorso, ricordando il principio secondo cui la ditta appaltante risponde penalmente di eventi dannosi comunque verificatisi, alla luce dell’attività svolta anche da subappaltatori, quando la stessa si sia concretamente ingerita nell’esecuzione dei lavori, determinando l’inosservanza delle norme poste per la tutela dell’altrui incolumità.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 marzo - 30 maggio 2013, numero 23351 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto 1. L.M. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d'appello di Milano di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Busto Arsizio il 16.07.2010 in ordine al delitto di cui all'articolo 589, 2^ comma cod. penumero aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. 1. Un breve il fatto. In data omissis presso il cantiere di Via omissis , a causa del crollo di una porzione di cornicione di un fabbricato, pietre e calcinacci rovinavano addosso all'operaio Q.B. , intento insieme ad altri alla demolizione e taglio di muri nel corso di opere di ristrutturazione di un edificio industriale da destinare a civili abitazioni le lesioni riportate dall'operaio ne cagionavano la morte. La proprietaria dell'immobile e committente dei lavori si identificava nella società Immobiliare Mulino s.r.l. amministrata dal ricorrente. La ricostruzione dell'intero immobile era stata affidata, a mezzo di contratto di appalto, alla società Progetto Immobiliare s.a.s. di Grazzi Leonardo Marco Alfonso e & amp , di cui il G. risultava essere socio accomandatario e legale rappresentante. Quest'ultima società aveva sottoscritto, prima dell'inizio dei lavori, altri contratti di sub-appalto con società ed imprese terze tra le quali la ditta di B.J. datore di lavoro della vittima. Il L.M. , rinviato a giudizio insieme ad altri B.J. , condannato, e Li.Mi. e V.C. poi assolti ed al G. , la cui posizione veniva stralciata avendo richiesto procedersi con rito abbreviato, all'esito del quale veniva condannato, è stato ritenuto dal Tribunale responsabile del delitto ascritto in quanto titolare di una posizione di garanzia, essendo stato delegato in materia di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro della società di cui era anche legale rappresentante, di direttore del cantiere e di soggetto che di fatto gestiva e sovrintendeva l'esecuzione dei lavori e che, nel caso specifico, aveva disposto le demolizioni che determinarono il crollo che travolse l'operaio, dando altresì direttive per la loro esecuzione. La Corte d'appello, nel far proprio l'iter motivazionale della sentenza di primo grado, nel confutarle ha ritenuto infondate le ragioni poste a base del gravame proposto dal ricorrente. 1. 3 Con il primo motivo si denuncia violazione di legge. Si argomenta che la delega cui si fa riferimento in sentenza non deve essere letta secondo una interpretazione estensiva della sua reale portata. Al ricorrente non derivava alcuna posizione di garanzia nel cantiere atteso che la suddetta delega risultava generica e sfornita di una specificazione del necessario relativo potere di spesa. Trattatasi di un'attribuzione di potere senza però avere di fatto la disponibilità di autonomia finanziaria per poter garantire la corretta esecuzione della pretesa delega. Per altro, l'intera opera di recupero dell'immobile, teatro dell'infortunio, era stato appaltata all'impresa Progetto Immobiliare s.a.s., il cui legale rappresentante è stato ritenuto colpevole, essendo egli gravato dalla posizione di responsabile in materia di prevenzione all'interno del cantiere avendone la gestione. Si assume che, quindi, il L. non aveva alcun potere ed, a sua volta, l'appaltatore principale aveva stipulato contratti di subappalto per l'esecuzione di opere frazionate. Dunque, si assume che non era il ricorrente a dover assicurare il coordinamento tra le maestranze presenti in cantiere, bensì il G. , legale rappresentanza della impresa aggiudicataria della realizzazione di tutte le opere. Erra, poi, la Corte a ritenere che esso ricorrente rivestisse un ruolo sovraordinato che lo poneva in condizioni di effettuare concreti interventi a tutela della incolumità dei lavoratori. Dall'istruttoria è, invece, emerso che un po' tutti davano ordini senza che questo possa aver comportato l'asserita ingerenza del L. nell'esecuzione dei lavori. Il contratto di appalto importa che del rispetto delle norme antinfortunistiche risponda, di norma, l'appaltatore, spettando a costui l'organizzazione del lavoro e la predisposizione di misure antinfortunistiche. È pur vero che anche il committente può essere destinatario delle norme antinfortunistiche, ma solo quando riduca l'autonomia dell'appaltatore e si ingerisca nell'esecuzione delle opere, circostanza non verificatasi nel caso di specie. Con il secondo motivo si censura la quantificazione della pena. Ritenuto in diritto 2. I motivi esposti sono manifestamente infondati e, dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile. La questione portata al vaglio del Collegio, prospettata come violazione di legge, non riguarda la carenza dei presidi antinfortunistici che hanno determinato la morte dell'operaio Q.B. , ma la sussistenza in capo al L. della posizione di garanzia. Essa già è stata oggetto di esame dei giudici del gravame di merito nella sostanza, l'appellante pose in evidenza il fatto che, trattandosi di successivo e parziale subappalto, la responsabilità circa l'accadimento era da circoscriversi al subappaltatore ed all'appaltatore e non certamente a lui quale committente, tanto più nel difetto di sue concrete azioni di ingerenza. La corte di appello disattese il motivo di gravame richiamando il principio secondo cui il trasferimento del rischio a carico dell'appaltatore e, quindi, del subappaltatore possa avvenire soltanto ove i lavori siano appaltati per intero, cosicché non possa darsi alcuna ingerenza del committente in confronto dei primi due. Rilevava la Corte che ciò è quanto è avvenuto nella specie, in cui alla ditta individuale B.J. , di cui il Q.B. era dipendente, vennero subappaltati solo i lavori di demolizione dei muri. E, quanto alla posizione del L. , evidenzia che dalla svolta istruttoria è emerso che non solo il ricorrente rivestisse la qualità di Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione della Immobiliare Mulino s.r.l. , committente dei lavori e con specifica delega in materia di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro e di direttore di cantiere della società committente, proprietaria del complesso immobiliare oggetto della ristrutturazione, ma, soprattutto, che egli di fatto gestiva e sovrintendeva l'esecuzione delle opere edili e che, nel caso specifico, aveva disposto le demolizioni che determinarono il crollo del cornicione che travolse la vittima, dando altresì direttive in merito. Della circostanza, significativa e determinante, che al committente fosse rimasto un effettivo potere di ingerenza nel processo lavorativo la Corte d'appello ha fornito ampia dimostrazione, circa l'analisi delle prove a supporto dell'assunto la Corte meneghina richiama la sentenza di primo grado, prove costituite dalle plurime dichiarazioni testimoniali di operai ed di altre persone interessate ai lavori e presenti sul cantiere . In definitiva l'assunto difensivo oggetto del ricorso non è condivisibile. Con congruenza argomentativa i giudici di appello hanno, innanzitutto affermato la sussistenza del nesso di causalità tra la morte dell'operaio e la violazione di norme antinfortunistiche, condividendo su quest'ultimo punto l'affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, dell'inosservanza delle prescritte cautele, descritte nella parte narrativa. Per altro, come già rilevato, il ricorrente non contesta le omesse misure antinfortunistiche ma solo la posizione di garanzia. Dunque, le censure mosse dal L. , essendo volte a contestare l'omessa od errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa relativamente alla provata sua concreta ingerenza nella esecuzione dei lavori svolti dal subappaltatore , si sostanziano nella richiesta a questa corte di legittimità di un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata ed ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella congrua e logica cui sono pervenuti i giudici del merito. Al di là dell'inammissibile carattere di prospettazione in fatto delle doglianze formulate, si tratta, comunque, di censure già disattese dal collegio di appello con considerazioni coerenti all'insegnamento del Supremo Collegio in punto di responsabilità per ingerenza, che va tenuto presente, sia pure considerando la peculiarità della fattispecie in esame, e secondo cui il committente, vale a dire, nel caso de quo, la società Immobiliare Mulino s.r.l. e per essa il L. , risponde penalmente degli eventi dannosi comunque determinatisi, in ragione dell'attività di esecuzione svolta dal subappaltatore B. , quando si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l'inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali, poste a tutela dell'altrui incolumità. Come si vede, si tratta di principi che il collegio ha ritenuto attagliarsi alla fattispecie in esame in cui con un accertamento in fatto, rappresentante il risultato di una valutazione delle risultanze acquisiste, della quale è stato dato conto in maniera adeguata e coerente, è emerso il mantenimento da parte dell'imputato dei poteri direttivi generali in ordine all'organizzazione del cantiere. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.