Per i reati colposi, l’imputato deve comunque prospettare il proprio comportamento diligente, al di là di ogni contestazione successivamente introdotta in giudizio.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza numero 21055 del 16 maggio 2013. Il caso. Un imputato anestesista veniva assolto in primo grado dall’accusa di omicidio colposo, avrebbe adeguatamente vigilato una paziente poi deceduta per complicanze cardiache dovute al mix di farmaci selezionato. In appello, i giudici acquisiscono la perizia del parallelo processo civile e contestano all’imputato degli ulteriori comportamenti colpevoli di sua iniziativa avrebbe adottato un macchinario vetusto comunque mal utilizzato. Si giunge a condanna. L’imputato ricorre ai giudici di legittimità la contestazione sarebbe stata radicalmente mutata, il fatto era nuovo ed il processo doveva iniziare daccapo. La Cassazione dichiara maturata la prescrizione. Altresì motiva su alcune statuizioni almeno ai fini dell’accertamento del fatto per cui è processo civile. La contestazione muta la condotta commissiva sostituisce quella omissiva. Il fatto è lo stesso, è valida la sentenza che decide. A seguito dell’acquisizione della consulenza disposta in sede civile, pareva altro e nuovo l’elemento causale a carico dell’imputato e determinante il decesso l’utilizzo di un macchinario vetusto – condotta commissiva - anziché la solo parziale sorveglianza della paziente – condotta omissiva -, la quale decedeva per insufficienza respiratoria. La Cassazione pare adeguarsi al più consolidato orientamento in punto di reati colposi. L’eventuale introduzione di una specifica ipotesi di colpa non menzionata nell’originario capo di imputazione non muta la più generica contestazione di colpa – intesa come nucleo di comportamenti esigibili al professionista -. Da questa l’imputato si difende prospettando un comportamento in toto aderente allo stato dell’arte, per ogni aspetto operativo della condotta, dunque in grado di disinnescare qualsiasi altro addebito colposo, anche se non esplicitamente menzionato o successivamente emerso per le nuove acquisizioni probatorie. Non c’è dunque “fatto nuovo”, la sentenza non viola il principio di correlazione fra accusa e decisione ex articolo 521 c.p.p. Quando la evidente “causa di non punibilità” ex articolo 129, secondo comma, c.p.p. prevale sulla declaratoria di intervenuta prescrizione. L’articolo 129, secondo comma, c.p.p. è norma informata ad economia processuale e detta una regola di condotta e di giudizio. Ogni qual volta il giudice penale, in ogni stato e grado del processo, riconosce l’ evidenza della causa di non punibilità già agli atti, senza ulteriore indagare o acquisizione probatoria, deve pronunciarla con tempestività, precedendo qualsiasi altra determinazione giudiziale, divenuta superflua processualmente e per la definizione del fatto. Un forte argomento sistematico l’articolo 531 c.p.p., quando prescrive al giudice la declaratoria di intervenuta prescrizione, se intanto maturata, fa salva l’ipotesi ex articolo 129 cit., più favorevole per l’imputato e dunque preferibile in un contesto processuale garantista ed ispirato al favor rei . Perché quest’ultima operi, occorre che i relativi presupposti - l’inesistenza del fatto, l’irrilevanza penale dello stesso o il non averlo l’imputato commesso - risultino dagli atti in modo incontrovertibile , tanto da non necessitare di alcuna ulteriore dimostrazione, per la chiarezza del quadro processuale. Nel caso in oggetto, le titubanze consulenziali sul peso causale dell’imputato nel decesso della paziente, hanno imposto la meno favorevole soluzione della declaratoria di intervenuta prescrizione.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 marzo - 16 maggio 2013, numero 21055 Presidente Brusco – Relatore Grasso Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Mantova, con sentenza del 18/12/2009, assolse perché il fatto non sussiste R.P. , medico anestesista in servizio presso l'Ospedale omissis , dal delitto di omicidio colposo in danno di C.E. , la quale, sottoposta ad intervento chirurgico per la riduzione di ernia ombelicale, veniva trattata al fine di ottenere sedazione generale e anestesia locale, con un'associazione di farmaci, taluni dei quali particolarmente attivi sui centri respiratori si contesta al professionista di non essersi accorto tempestivamente, per colpa, dell'insorgere di uno stato di anossia, che portò rapidamente alla bradicardia e all'arresto cardiaco e, quindi, a morte la paziente . 1.1. La Corte d'appello di Brescia, investita della cognizione impugnatoria dall'appello proposto dal locale Procuratore Generale e dalle parti civili, con sentenza dell'1/12/2011, ritenne la penale responsabilità dell'imputato, condannandolo alla pena stimata di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, ponendo provvisionale in favore di quest'ultime. 1.2. Prima di affrontare il merito delle censure impugnatorie occorre, seppure in sintesi, riprendere gli argomenti sulla base dei quali il giudice di primo grado ha reputato di assolvere l'imputato e quello d'appello, di condannarlo. Partendo dal presupposto fermo che i dati autoptici militavano univocamente per una morte improvvisa da arresto cardiocircolatorio ed escluse pregresse patologie cardiocircolatorie, i consulenti del P.M. e delle PP. CC, avevano espresso il convincimento che la vittima fosse deceduta a causa di un effetto paradosso del cocktail farmacologico, il quale aveva condotto all'insufficienza respiratoria, alla bradicardia e all'arresto cardiaco. Di conseguenza, la colpa dell'imputato avrebbe dovuto individuarsi nel ritardo con il quale si sarebbe accorto dell'insufficienza respiratoria durata almeno dieci minuti , il che aveva impedito trattamento tempestivo con il palloncino di Ambu o intubazione. Al contrario, il consulente della Difesa aveva ricondotto la morte ad una insufficienza cardiaca acuta da bradicardia sinusale, evoluta in blocco atrio-ventricolare le cause potevano essere state le più varie, ma secondo il detto consulente, il grave squilibrio cardiaco non venne affatto preceduto dall'anossia e, quindi, l'imputato non aveva avuto modo di rendersi conto del precipitare della situazione. Il perito nominato dal giudice, dopo aver premesso che l'arresto cardiaco da anestesia presenta un'insorgenza rara 0,5/1 caso ogni 10.000, con positiva evoluzione sul tavolo operatorio di 4 casi su 5 , confermata la causa farmacologica inaspettata, escludeva potersi concludere in termini di certezza per la previa insorgenza della difficoltà respiratoria, pur in presenza di un cuore sano e giovane e nonostante il fallimento delle pronte manovre rianimatorie. A parere del perito l'arresto cardiaco da anestesia con maggior frequenza si presenta come bradicardia-asistolia, senza essere preceduto da depressione respiratoria. A ciò aggiungendo che dai dati emersi processualmente doveva escludersi disattenzione dell'anestesista, aveva concluso per l'insorgenza di una primaria bradicardia, che incolpevolmente il medico non percepì. Facendo proprie le dette conclusioni il giudice, pertanto, addivenne alla sentenza assolutoria. In grado d'appello venivano acquisite, previa rinnovazione dibattimentale, copia della consulenza tecnica collegiale d'ufficio disposta nel giudizio civile instaurato per il medesimo fatto, della quale faceva parte specialista in anestesia nonché i contributi tecnici di parte depositati in quella sede. Inoltre i detti consulenti tecnici del giudice civile venivano personalmente sentiti dalla Corte territoriale. Il giudice d'appello faceva proprie le conclusioni a cui era giunto il detto collegio a escluse reazioni allergiche e tossiche, il grave effetto pregiudizievole, probabilmente da ricollegarsi ad un effetto inconsueto della mistura farmacologica, doveva reputarsi dipendere da una combinazione di più meccanismi fisiopatologici che avevano portato ad un arresto respiratorio con complicanza cardiaca su base anossica. Deleterio doveva reputarsi essere stato l'uso, da parte dell'anestesista, di un circuito di ventilazione improprio ed obsoleto, il quale imponeva un attento assiduo controllo, che in concreto non si era avuto. Si trattava, invero, di un sistema di ventilazione ad ossigeno del tipo va e vieni erogato mediante maschera aderente al viso e non attraverso il pallone di Ambu , dotato di valvola di scarico e non in grado di indicare il volume minimo diffuso, privo di spirometro, che avrebbe potuto essere utilizzato solo per pochi minuti, nella fase dell'induzione dell'effetto dell'anestesia e al risveglio. Nel caso in esame, essendo stato usato per almeno 45 minuti, con alta probabilità causò un accumulo abnorme di CO2, cioè ipercapnia, che aumentò a dismisura l'eccitabilità del muscolo cardiaco. Il fenomeno di gravissimo degrado fisico poteva essere rimasto mascherato dalla somministrazione di ossigeno puro, che impedendo la cianosi, aveva reso non evidente l'ipossia alla quale si era aggiunto l'effetto depressivo centrale degli oppiacei e l'effetto sedativo da mal ventilazione e ipercapnia. Quindi, concludeva il giudice d'appello “secondo le suddette considerazioni, del tutto condivisibili, la decisione di utilizzare durante l'intervento di ernioplastica un sistema di ventilazione va e vieni in ossigeno puro in associazione all'utilizzo di un farmaco oppiaceo, potenzialmente deprimente il respiro, ha determinato importanti alterazioni degli scambi respiratori, quale ipercapnia, che hanno, infine, portato all'arresto respiratorio con conseguente stato ipossico”. Precisava ulteriormente quel giudice, che le poche misurazioni della saturazione di ossigeno avevano dato risposte ingannevoli a causa della somministrazione in maschera di ossigeno puro come ingannevole doveva reputarsi il movimento della maschera, simulante l'atto respiratorio, trattandosi, come avevano chiarito i periti, di un pseudo - movimento, dovuto all'afflusso dell'ossigeno, che distende il palloncino, fino a che questo non si svuota attraverso la valvola. 2. L'imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra prospettando quattro motivi di censura. 2.1. Con il primo motivo vengono denunziati violazione di legge e vizio motivazionale in questa sede rilevabile a riguardo del nesso di causalità. Il perito nominato dal Tribunale aveva escluso potersi con certezza ricostruire il succedersi degli eventi cioè se l'arresto cardiaco sia stato secondario alla depressione respiratoria, o viceversa, se la bradicardia avesse preceduto le difficoltà respiratorie , evidenziando taluni punti che rendevano del tutto opinabile l'opzione. Inoltre, il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza di elementi che potevano far propendere per l'inattendibilità della cartella clinica, la quale riportava il 97% di saturazione d'ossigeno alle ore 8,55 la teste M. infermiera che collaborava l'anestesista doveva considerarsi pienamente attendibile si era attivato per primo l'allarme sonoro della bradicardia e solo dopo quello che segnalava la penuria di ossigeno nel sangue la paziente non presentava le labbra cianotiche, tipiche di chi ha difficoltà respiratorie. Aveva errato la Corte d'Appello a fondare il proprio convincimento sulle conclusioni dei consulenti d'ufficio del giudizio civile morte causata dalla combinazione di più meccanismi fisiopatologici uso di una macchina di ventilazione obsoleta, impiego di farmaci capaci di procurare depressione respiratoria centrale, ipotonia muscolare da sedazione . Trattavasi, invero, di mere ipotesi e, per quel che concerneva la macchina per la ventilazione, di vera e propria congettura, stante che i periti avevano espressamente ammesso di non essere a conoscenza delle effettive caratteristiche del sistema di ventilazione utilizzato. Il fatto che si trattasse di ipotesi lo si ricavava dalle stesse dichiarazioni degli esperti acquisite all'udienza dell'1/12/2011. In definitiva, la detta incertezza implicava l'ignoranza sull'effettiva causa della morte della paziente. Tanto è vero che la Corte territoriale scriverà “Rimane la ipotesi, che ha un elevato grado di credibilità razionale, che la causa del decesso della signora C. sia dovuta ad una combinazione di più meccanismi fisiopatologici che hanno comportato un arresto respiratorio con complicanza cardiaca su base anossica”. Si sarebbe potuta affermare la penale responsabilità dell'imputato, secondo l'impostazione data dalla Corte territoriale, “solo ove fosse stato provato con pratica certezza che la depressione e l'arresto respiratorio della paziente erano avvenuti prima della bradicardia”. Inoltre, per confermare il proprio assunto, il giudice di secondo grado aveva ingiustificatamente disatteso le risultanze testimoniali, le quali avevano univocamente dimostrato che l'anestesista non era mai uscito dalla sala operatoria, vigilando le condizioni della paziente. 2.2. Con il secondo motivo il R. denunzia violazione di legge, assumendo di essere stato condannato per un fatto diverso rispetto a quello contestatogli nell'imputazione. Il detto capo recava, invero, il rimprovero di avere omesso di “prestare la dovuta, ininterrotta e assidua vigilanza diretta, sia nel corso dell'intervento sia nelle fasi immediatamente successive alla fine dello stesso omettendo di prestare assidue e diligenti attenzioni e sorveglianza, non si avvedeva tempestivamente dell'insorgere dell'anossia e dell'arresto respiratorio della paziente in respiro spontaneo, ometteva un tempestivo ed immediato intervento che causava la grave e prolungata anossia e interveniva tardivamente e solamente dopo alcuni minuti quando era insorta la bradicardia, seguita dall'arresto cardiaco ”. Tutto il dibattito e le difese si erano svolte, quindi, in relazione alla contestazione sopra ricapitolata. La Corte territoriale, alla luce dell'apporto dei periti nominati nel processo civile, assumeva che, nel concorso delle altre condizioni predisponenti somministrazione di farmaci con attività deprimente il sistema nervoso centrale e ipotonia dei muscoli ipofaringei e della lingua, dovuta alla sedazione , a scatenare l'evento letale era stato l'uso, per un tempo eccessivamente prolungato, di un macchinario per la ventilazione non adeguato ed obsoleto. Quindi, l'imputato era stato condannato sulla base di un rimprovero del tutto nuovo, stante che “ciò che viene quindi addebitato ex novo all'anestesista non è di non aver vigilato come doveva, ma di avere scelto uno strumento improprio ed obsoleto per ventilare e controllare la paziente durante l'operazione che, per come strutturato, ha impedito di verificare i sintomi della crisi ipercapnica”. Con l'ulteriore conseguenza che, in siffatto modo, era stato addebitato all'imputato un comportamento attivo la scelta e l'uso della macchina , piuttosto che uno omissivo non aver adeguatamente vigilato . Trattavasi, all'evidenza, di fatto del tutto nuovo, mai contestato per tutto il corso del procedimento indagini preliminari e i due gradi del giudizio , con la conseguenza che la Corte d'appello avrebbe dovuto trasmettere gli atti al P.M. per la nuova contestazione. I periti, ai quali la Corte d'appello di Brescia da pieno affidamento ed in particolare, l'anestesista, Dott. D.F. , avevano affermato che il macchinario che ipotizzavano fosse stato utilizzato soddisfaceva una capacità respiratoria di 12/15 litri al minuto, mentre solo l'uso di un macchinario Kion avrebbe assicurato una capacità d'erogazione di 18 litri al minuto, giudicata sicura. A questo punto risultava evidente che l'imputato aveva il diritto di ottenere la verifica del macchinario di cui è dotata la sala operatoria nella quale si svolse l'intervento e la sua capacità di erogazione. 5.3. Con il terzo motivo viene denunziato vizio motivazionale a riguardo dell'omessa esaustiva confutazione degli argomenti che avevano portato il giudice di primo grado ad assolvere l'imputato. Una tale confutazione non avrebbe potuto esimersi dal prendere in analitico esame le deduzioni scientifiche del perito, fatte proprie dal tribunale, nonché il compendio testimoniale. Il giudice di secondo grado invece di far ciò si era limitato a contrapporre alla puntuale ricostruzione del tribunale la nuova ricostruzione scientifica suggerita dai consulenti del giudice civile. Tornando all'apporto testimoniale il ricorrente precisa che non v'era motivo di considerare inattendibile la teste M. con superficialità era stato affermato che nessuno dei testi aveva potuto escludere con certezza una distrazione temporanea dell'imputato, né avrebbe potuto confermare la correttezza dei dati trascritti nella cartella anestesiologica, ecc, così da giungere alla non condivisibile conclusione che “dal testimoniale non emergono prove certe che smentiscono la tesi accusatoria in ordine alla condotta colposa dell'imputato”, che aveva sancito una vera e propria inversione dell'onere della prova. 5.4. Con l'ultimo motivo il ricorrente lamenta la mancata assunzione di prove decisive. All'udienza del 19/9/2011 la Difesa aveva chiesto la parziale rinnovazione del dibattimento al fine di acquisire la relazione tecnica e la documentazione allegate a memoria difensiva, lo stesso giorno depositata in cancelleria trattavasi di estratto dal manuale del macchinario Kion . La Corte rigettò l'istanza per ragioni procedurali quella udienza era oramai destinata alla discussione , trascurando che la riserva posta all'udienza del 26/5/2011 in ordine alla scelta tra la nomina di nuovo collegio peritale o l'acquisizione della relazione della consulenza espletata in sede civile , era stata sciolta il 30/6/2011, disponendosi l'acquisizione e rinviando alla udienza del 19/9. Alla detta udienza, quella corte ritiratasi per la pronuncia della decisione, con ordinanza dispose esaminarsi gli autori della acquisita relazione, all'esito della detta venne pronunciata la sentenza. Poiché ragione fondante della condanna era l'assunto utilizzo di macchinario per ventilazione inadeguato andava assicurato il diritto a controbattere sul punto, consentendo il deposito delle osservazioni del proprio consulente, nonché del manuale d'istruzioni Kion “rappresentativo delle caratteristiche strutturali/funzionali del sistema di ventilazione va e vieni in uso presso l'ospedale OMISSIS al tempo del fatto”. Ove ciò fosse stato consentito si sarebbe accertato che quel macchinario, capace di produrre fino 118 litri al secondo di ossigeno, non poteva aver determinato la compromissione delle capacità respiratorie della C. , siccome già affermato dai consulenti del giudice civile. 6. Con memoria dell'11/1/2013 le pari civili hanno concluso per l'inammissibilità o il rigetto del ricorso. 7. In data 1/10/2012 il ricorrente depositava motivi aggiunti, con i quali, in definitiva, insistendo sulla manifesta fondatezza dell'impugnazione invoca sentenza assolutoria nel merito, che, ai sensi dell'articolo 129, cod. proc. penumero , doveva prevalere sulla maturata prescrizione. Considerato in diritto 8. Va osservato che dopo la sentenza di secondo grado è venuto a maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato contestato, in relazione ad un quadro impugnatorio che non appare inammissibile per manifesta infondatezza. Il fatto risale al 25/9/2004 e, pertanto, secondo il testo del comb. disp. degli articolo 157 e 160, cod. penumero allora vigente, avuto riguardo al reato contestato delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, tenuto conto delle concesse attenuanti generiche , allo scadere del 17/5/2012 si è compiuto il termine massimo previsto dalle norme citate, escluso che la novella operata con la legge 5/12/2005, n, 251, conduca ad un risultato più vantaggioso per l'imputato. 9. La delibazione dei motivi sopra presi in analitica rassegna fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza dell'imputato. Sul punto univoche si mostrano le valutazioni di legittimità. In tema di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso con cause estintive del reato, il concetto di “evidenza” dell'innocenza dell'imputato o dell'indagato presuppone la manifestazione di una verità processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di assoluzione con formula ampia Cass. 19/7/2011, numero 36064 . Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex articolo 129 c.p.p. quando le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile Cass. 14/11/2012, numero 48642 , tanto da non da imporsi come evidenza, senza la necessità di procedere all'esame delle censure. Invero, nel caso di specie, restando al vaglio previsto dal comma 2 dell'articolo 129, cod. proc. penumero , la certa dipendenza della morte della vittima dalla complessiva gestione dell'aspetto anestesiologico e rianimatorio, fa escludere che, senza il necessario approfondimento critico, emerga l'innocenza dell'imputato, che impedisca l'accesso alla declaratoria di cui detto. Di conseguenza, deve disporsi annullamento della sentenza gravata, ai fini penali, essendo il reato contestato estinto per prescrizione. 10. A questo punto non resta che prendere in esame le proposte censure solo agli effetti civili. La stretta correlazione tra i profili di criticità sottoposti al vaglio di questa Corte consiglia di non frammentare l'analisi. Inducono ad un sindacato di merito che non può essere richiesto in questa sede le critiche mosse alla vantazione delle fonti testimoniali e dell'adesione della Corte territoriale alle conclusioni del collegio di consulenti di cui si era avvalso il giudice civile al quale, evidentemente, si erano rivolti soggetti diversi da quelli qui costituiti p.c. . In questa sede non è consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità. Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza numero 15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione Il nuovo testo dell'articolo 606, comma 1, lett. e , c.p.p., come modificato dalla I. 20 febbraio 2006 numero 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli atti del processo , non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no veicolato , senza travisamenti, all'interno della decisione. 10.1. “in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione” Sez. IV, 16/2/17069, massima in senso conforme, fra le tante, IV, 22/11/2011, numero 47474 IV, 28/6/2011, numero 36891 S.U., 15/7/2010, numero 36551 . Ciò premesso doverosamente devesi precisare che se è pur vero che il R. non può pretendere che, nel formalistico rispetto di una contestazione rigida e ingessata, il giudice resti obbligato a limitare l'indagine sul fatto colposo, anche quando questa non comporti uno stravolgimento essenziale dell'ipotesi d'accusa, allo stesso tempo, non deve essergli posta preclusione difensiva di sorta, che ne menomi le possibilità di difesa. Nel caso in esame deve rilevarsi che, escluso che il dovere di speciale vigilanza al quale il medico anestesista è tenuto possa fare a meno di tener conto del tipo di macchinario utilizzato per la ventilazione e, a maggior ragione, di rifiutare l'impiego di attrezzatura impropria ed obsoleta, la quale non consenta di tenere sotto sicuro controllo l'attività respiratoria del paziente, tuttavia, l'impiego di un tale tipo d'inadeguato macchinario risulta essere stato solo congetturato, ma non provato, essendosi, financo, esclusa l'acquisizione del manuale tecnico indicato dall'imputato, come quello relativo alla macchina in uso presso la sala operatoria ove la C. era stata sottoposta ad intervento chirurgico, che, a dire di costui, avendo capacità di produrre fino a 18 litri al secondo di ossigeno, era ben diversa da quella giudicata inidonea. Palesi, quindi, i vizi della statuizione, sul punto gravemente illogico deve considerarsi l'affermato uso del macchinario in parola, solo ipotizzato dai consulenti del giudice civile, e non riscontrato in alcun modo violato risulta il dovere di assumere prova che appaia decisiva, anche d'ufficio, se del caso. 10.2. I vizi riscontrati impongono l'annullamento della sentenza anche ai fini civili. Il giudice civile competente regolerà anche le spese legali di questo giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla inoltre la medesima sentenza, ai fini civili, e rinvia per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.