Condannato il medico fiscale palpeggiatore: le dichiarazioni della vittima bastano

Nessuna rabbia e nessun rancore della lavoratrice e il medico fiscale viene condannato per averla palpeggiata.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 40143/2012 depositata l’11 ottobre, ha confermato la condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione nei confronti di un medico legale per violenza sessuale articolo 609-bis c.p. . Il caso. Il medico, con il compito di effettuare la visita fiscale ad una lavoratrice presso il suo domicilio, la costringeva a subire atti sessuali, strofinandosi sul corpo della donna e tentando a più riprese di baciarla. Per il sanitario, però, non c’è scampo e, anche se con la concessione delle attenuanti, viene condannato a 1 anno e 8 mesi di reclusione. La lavoratrice non aveva rancore nei confronti dell’imputato. Nemmeno il ricorso per cassazione presentato dall’imputato cambia il finale della storia. Il giudice, infatti, secondo costante giurisprudenza, può trarre il proprio convincimento «circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa». Anche perché, nel caso di specie, le dichiarazioni della stessa – secondo quanto affermato dai giudici di legittimità – sono risultate «chiare e precise nella complessiva dichiarazione dei fatti, nonché logiche e coerenti e prive di elementi di incertezza». Il ricorso, dunque, è da ritenersi inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 giugno – 11 ottobre 2012, numero 40143 Presidente Lombardi – Relatore Rosi Fatto e diritto Ritenuto che, con sentenza del 12 ottobre 2010, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli, che ha dichiarato R. V. colpevole del reato, di cui agli articolo 609 bis, 61 numero 9, c.p., perché in violazione dei doveri connessi alla funzione di medico Incaricato di effettuare la visita fiscale al lavoratore G. D. presso il suo domicilio, approfittando della sorpresa della vittima e della fiducia riposta in ragione del ruolo, con violenza consistita nell'appoggiare terminata la visita medica una mano dietro la schiena della vittima chiedendole dove avesse dolore, nel massaggiarle il fondoschiena ed i fianchi fino alla parte bassa del ventre, nonché nello strofinarsi sul corpo della donna, nonostante le proteste della stessa, che a più riprese tentava di baciare la costringeva a subire atti sessuali, e concessa l'attenuante di cui all'articolo 609 bis, ult. comma, c.p., prevalente rispetto alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione che, avverso la sentenza l'Imputato ha proposto, tramite Il proprio difensore, ricorso per cassazione deducendo la violazione dell'articolo 606 lett. b ed e in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, nonché In relazione all'articolo 603 c.p.p. A parere del ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe illogica nella parte In cui ha escluso la necessità della rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale Il fatto che le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte come fonti di prova senza necessità di riscontri esterni, purché ne sia valutata la credibilità soggettiva ed oggettiva, non esimerebbe il giudice dal compito di acquisire ulteriori elementi probatori idonei ad inficiare l'attendibilità di tali dichiarazioni. La difesa avrebbe richiesto, infatti, l'esame del portiere dello stabile in cui la persona offesa abitava, Il quale avrebbe potuto offrire un contributo sull'atteggiamento tenuto dall'Imputato e dalla persona offesa all'uscita dello stabile. Considerato che, il ricorso è manifestamente Infondato, atteso che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità cfr. Sez. 4, Sentenza numero 4981 del 05/12/2003, PG in procomma Ligresti, Rv. 229666 Sez. 4, Sentenza numero 18660 del 19/02/2004, Montanari e altro, Rv. 228353 , nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603, comma primo, c.p.p., è subordinata alla verifica dell'Incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria e tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, Incensurabile In sede di legittimità se correttamente motivata che, nel caso di specie, la sentenza Impugnata ha adeguatamente motivato in ordine al diniego della rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale, evidenziando con motivazione priva di smagliature logiche, come le acquisizioni processuali fossero complete e deponessero per la responsabilità dell'imputato, concludendo per la superfluità delle testimonianze richieste, dal momento che i testi indicati non erano stati neppure presenti ai fatti accaduti che, è ben possibile, per giurisprudenza costante, che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell'imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'articolo 192, comma 3 e 4 c.p.p., le quali richiedono la presenza di riscontri esterni cfr., per tutte, Sez. 1, numero 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016 che, facendo applicazione del principio sopra richiamato, la sentenza impugnata ha evidenziato come le dichiarazioni della persona offesa siano risultate chiare e precise nella complessiva dichiarazione dei fatti, nonché logiche e coerenti e prive di elementi di incertezza, valutandone la coerenza interna ed escludendo qualsiasi motivo di rancore nei confronti dell'imputato, dal momento che in occasione del controllo fiscale il medico aveva confermato lo stato di malattia e l'Inidoneità a riprendere il lavoro, con una prognosi di sette giorni che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato, ex articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di mille euro in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.