Amministrazione contestata, buco da colmare. La lettera al tutore provvisorio dà ragione all’erede

Documento legato a libretto postale e buoni postali fruttiferi. Esso ha valore confessorio, e legittima quindi la valutazione compiuta in Appello. Censurati i conteggi dell’amministratore, che dovrà rimediare all’ammanco.

Amministratore sotto accusa i conti nella gestione dei beni di fratello e sorella non tornano E proprio l’atto di ricognizione effettuato dall’amministratore risulta decisivo per la condanna a porre rimedio agli ammanchi Cassazione, sentenza numero 2473, Seconda sezione Civile, depositata oggi . Tesoretto. Alla morte di fratello e sorella cominciano i conteggi sull’eredità. E il nipote, quale «erede universale», contesta l’operato dell’amministratore dei beni dei suoi due parenti. Più precisamente, viene chiesta la restituzione di «danaro e titoli». Praticamente un ‘tesoretto’, che, secondo il nipote, era parzialmente ancora nelle mani dell’amministratore Ripianare. Per i giudici l’accusa è fondata, nonostante l’amministratore si difenda affermando, tra l’altro, che alcuni beni «erano cointestati». Così, in primo grado l’amministratore viene dichiarato debitore per quasi 7mila euro, a cui si aggiungono i buoni postali fruttiferi identificati nella lettera di ricognizione effettuata in occasione della consegna al tutore provvisorio di uno dei due amministrati poi, in secondo grado, la cifra viene ridotta a poco più di 5mila euro, quale «saldo della gestione patrimoniale». Peso specifico. A contestare la pronuncia di condanna è, ovviamente, l’amministratore, che, nel ricorso in Cassazione, critica il «valore confessorio» attribuito all’«atto di ricognizione», affermando che «su questa base i giudici non potevano, in presenza di contestazione di valori mobiliari, attribuire la proprietà esclusiva ad un solo soggetto». A sostegno di questa tesi, poi, viene anche richiamato un principio giurisprudenziale «la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria dell’altra parte». Errore. Ma il ‘pilastro’, richiamato dal ricorrente, fa riferimento, sottolineano i giudici, ai trasferimenti della proprietà immobiliare. Di conseguenza, è legittima la valutazione della Corte d’Appello, che «sulla scorta del documento» di ricognizione «ha attribuito l’appartenenza dei beni contesi», così come, a margine, sono dichiarati anche corretti i conteggi effettuati. Ciò significa che il ricorso dell’amministratore deve essere rigettato, ed egli dovrà provvedere a ripianare il ‘buco’ nel rendiconto complessivo sulla gestione dei beni.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 novembre 2011 – 21 febbraio 2012, numero 2473 Presidente Piccialli – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo D. E. e M. C., nel 1998 il nipote G.P. G., proclamandosi loro erede universale, agiva contro I.G. C., chiedendo che, previo rendiconto, costui restituisse le somme di denaro e i titoli di proprietà dei defunti che il convenuto ancora deteneva, essendo stato amministratore dei loro beni, anche durante lo stato di interdizione di E Il convenuto resisteva, deducendo tra l'altro che parte dei beni erano cointestati. Il tribunale di Alessandria riteneva il convenuto C. debitore di circa euro 6.674,83 nonché dei buoni postali fruttiferi di cui alla lettera 21 marzo 1991. La Corte di Torino il 17 novembre 2005 si pronunciava, previa perizia contabile, sui contrapposti appelli. Condannava I.G. C. a versare al G., quale saldo della gestione patrimoniale la somma di 5.402,76 euro, dalla quale dovevasi detrarre l’importo già corrisposto. Respingeva la richiesta del C. di riconoscimento della parziale proprietà dei buoni postali. I. C. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 2 gennaio 2007. G. G. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo I. C. denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 e 2700 c.c Sostiene che i giudici di merito hanno erroneamente attribuito valore confessorio ad un atto di ricognizione effettuato da C. I. la lettera 21 3 1991, accompagnatoria dei buoni postali e del libretto postale consegnati al tutore provvisorio di C. E. . Afferma che i giudici su questa base non potevano, in presenza di contestazione di valori mobiliari, attribuire la proprietà esclusiva ad un solo soggetto. Invoca a sostegno Cass. 9687/07, a mente della quale “la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti la quale concorre alla formazione del negozio con efficacia pari alla volontà dell’altro non può essere sostituita da una dichiarazione né quale elemento integrante in contratto né – quand’anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto – come prova del medesimo”. La censura è priva di fondamento. Come ha rilevato anche il controricorso, l’insegnamento di cui si aggrappa il ricorso non si attaglia al caso di specie, poiché si riferisce ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare, per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam”. La Corte di appello non è incorsa quindi in alcuna violazione delle norme indicate allorquando, sulla scorta del documento de quo, ha attribuito l’appartenenza dei beni contesi. Il secondo motivo, sempre afferente ai buoni postali fruttiferi, lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione, vi si sostiene che sarebbe stato omesso il conteggio degli importi già restituiti al tutore provvisorio, concludendo erroneamente per l’esistenza di una “posizione di debito a carico del ricorrente”. La doglianza è infondata. La sentenza impugnata, al punto a , che si sviluppa a pag. 6 e 7, ha svolto una puntuale ricostruzione delle somme oggetto di conteggio. La censura afferma che il conteggio di quanto restituito sarebbe stato parziale, con un errore di circa 24 milioni di lire. Trattasi di critica apoditticamente portata alla sentenza, giacché non indica, né riporta integralmente e testualmente, come richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le risultanze decisive dalle quali dovrebbe emergere l’errore nella ricostruzione contabile. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in euro 2.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.