Quando l’investigatore privato supera il limite

Risponde per i reati di corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio il socio di un’agenzia investigativa che, in concorso con altri, retribuisce pubblici ufficiali per ottenere l’accesso a dati personali sensibili, quali precedenti di polizia, disponibilità patrimoniale e tabulati telefonici.

Il caso. Due soci di un’agenzia investigativa venivano condannati dal GUP del Tribunale di Milano, in concorso, per corruzione di pubblico ufficiale e rivelazione di segreti d’ufficio. La Corte d’Appello ambrosiana confermava la responsabilità penale dei condannati, per aver acquisito, da archivi di polizia e banche dati, informazioni su precedenti di polizia e tabulati telefonici retribuendo allo scopo e illecitamente un altro incaricato di polizia giudiziaria. Inoltre, veniva confermata la condanna per il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio, sempre in relazione all’illecita rivelazione di dati sensibili. Cui prodest? Uno dei due condannati proponeva ricorso per cassazione, ritenuto inammissibile dalla S.C., che tuttavia coglie l’occasione per richiamare alcuni principi di diritto in materia. Premesso che i motivi di ricorso attengono alla valutazione di elementi di merito, la cui considerazione è preclusa al giudice di legittimità, è possibile trarre spunti dalla conferma della correttezza della decisione di secondo grado. Il ricorrente ha prospettato delle spiegazioni alternative a quella adottata dalla Corte territoriale riguardo al ritrovamento di un file contenente l’elenco dei pubblici ufficiali, con relativa annotazione dei pagamenti effettuati per i ‘servizi’ illeciti. Tale elenco, secondo la tesi difensiva, sarebbe solo un ‘listino prezzi’ delle prestazioni illecite, che non implica automaticamente la corresponsione del prezzo. Ebbene, la Cassazione considera sufficiente, per escludere l’ ammissibilità delle valutazioni alternative come aveva fatto il giudice del merito, che nella fattispecie concreta il ricorrente avesse tutto l’interesse a secondare il flusso di informazioni illecitamente raccolte su dati sensibili e che la presenza dell’elenco rappresenti la lampante dimostrazione del giovamento tratto dal condannato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 maggio – 11 giugno 2012, numero 22883 Presidente De Roberto – Relatore Fazio Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Milano ha ribadito la responsabilità affermata con sentenza del 4 dicembre 2008 dal Gup di quel Tribunale, di M.R. per i delitti di corruzione di pu, in concorso con Me.Vi. , finalizzati alla acquisizione in archivi di polizia e banche dati, informazioni su precedenti di polizia e disponibilità patrimoniali di vari soggetti, e tramite un incaricato di pu, anch'esso illecitamente retribuito, copia dei tabulati telefonici intestati a numerose persone. Inoltre veniva confermata la condanna per il delitto di rivelazione di segreti di ufficio, in quanto al fine di procurare alla agenzia investigativa di cui erano socio un indebito profitto patrimoniale, istigavano i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico sevizio a compiere gli accessi a reti telematiche riservate per ottenere i detti dati sensibili. 2. Ricorre il M. e deduce il vizio di cui all'articolo 606 lett. E c.p.p., poiché il percorso della sentenza presenta evidente illogicità e travisamento del dato processuale la pronuncia di appello, conformandosi a quella di primo grado, ha quale punto nodale il rinvenimento nel computer del ricorrente di un elenco che è stato reputato una annotazione dei compensi via via corrisposti ai pubblici funzionari per la loro corruzione tale imputazione a pagamenti sarebbe illogicamente desunta dalla speculare corrispondenza tra le cifre ivi scritte e gli eguali importi che il coimputato Me. aveva ammesso aver pagato ai corrotti, laddove la spiegazione alternativa offerta ossia che si trattasse del prezziario corrente usato dalle agenzie investigative per ottenere i detti servizi illeciti era altrettanto logica e confermata dal titolare di un'altra società investigativa, coinvolto nella medesima indagine. Peraltro il M. sottolinea che l'elenco non indica gli effettivi pagamenti e esso è solo una sorta di promemoria e non un foglio per il calcolo delle erogazioni. Con il secondo motivo, ribadisce la indispensabilità della riapertura della istruzione dibattimentale, per dimostrare la natura e funzione del documento, tramite la testimonianza di una segreteria e si duole della decisione non motivata di rigetto con il terzo lamenta il difetto di adeguata motivazione per il diniego delle generiche. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente vorrebbe che in questa sede si procedesse ad una rinnovata valutazione della ricostruzione fattuale della vicenda operata dai giudici di merito, la cui motivazione presenta una coerenza strutturale in sé priva di vizi. 2. Il compito del Giudice di legittimità è quello di stabilire se il Giudice di merito abbia nell'esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre Cass. 6^, 6 giugno 2002, Ragusa . Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al Giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate Cass. S.U. 2.7.97 numero 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone . 3. Nella concreta fattispecie, infatti, i Giudici di merito hanno, rispondendo a tutti i motivi di gravame, messo in evidenza come fosse certo che il M. tradisse la sua funzione pubblica, e tenesse i contatti con altri funzionari pubblici, che, unitamente al suo socio retribuiva, al fine di acquisire le informazioni riservate, essenziali per lo svolgimento della attività investigativa della agenzia di cui era socio e ciò lo ha desunto logicamente dalle annotazioni tenute proprio nella memoria del computer del M. , considerando che costui aveva non solo predisposto una sorta di prezziario, ma anche appostato, con una sigla specifica, i pagamenti effettuati. È stato poi rilevato che secondo il criterio del cui prodest il M. aveva tutto l'interesse a secondare tale flusso di informazioni per la sua qualità di socio con il Me. e come la sua condotta costituisce un rilevante apporto concorsuale. 4. Il giudice di appello ha dato, quindi, una adeguata spiegazione, cui il M. oppone mere ipotesi tendenti ad indurre il dubbio in relazione all'interpretazione degli appunti ritrovati a suo carico, che si sostanziano in inammissibili versioni alternative. Né il giudice di appello ha l'onere di indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello, quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiché in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dai giudice di secondo grado, come nella specie avvenuto. 5. Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo di impugnazione, poiché la richiesta di riapertura del dibattimento è stata respinta con ampia ed esplicita motivazione sulla non indispensabilità della prova richiesta, come peraltro è implicitamente confermato dal contesto della motivazione, non sottoponibile, quindi al vaglio di questa corte di legittimità. 6. Infine, la doglianza in ordine al diniego delle invocate generiche, perché implica una valutazione di merito, è preclusa al giudice di legittimità. Motivando sul punto, il giudice distrettuale ha fatto riferimento, alle modalità della condotta ed alla gravità della stessa, con risposta adeguata alle osservazioni mosse dal ricorrente che in questa sede, non ha peraltro indicato vizi della motivazione, ma ha solo invocato un trattamento più mite. 7. In conseguenza della inammissibilità il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuale ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.