Il commercialista paga se l'errore è grossolano

di Enzo Di Giacomo

di Enzo Di Giacomo *Il commercialista incaricato di compilare la dichiarazione dei redditi deve farlo secondo le regole della corretta denuncia dei redditi ed in caso di errore nella compilazione è tenuto a risarcire il danno. Quanto precede è contenuto nella recente sentenza numero 8860, del 18 aprile 2011, della Cassazione da cui emerge che il professionista nell'espletamento dell'incarico ricevuto deve usare la diligenza e la perizia in osservanza del principio contenuto nell'articolo 1176 c.c Richiesta la diligenza del padre di famiglia. L'articolo 1176 c.c. prevede che il debitore, nell'adempimento dell'obbligazione, debba usare la diligenza del buon padre di famiglia. Inoltre, il comma 2 prevede, in modo specifico, che nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.Relativamente alla condotta del debitore nell'adempimento dell'obbligazione, la diligenza deve essere intesa come l'impegno adeguato delle energie e dei mezzi utili al fine del soddisfacimento dell'interesse del creditore l'ordinaria diligenza è quella tipica riscontrabile nell'uomo medio, da valutare in relazione alla specificità dell'obbligazione.In ogni obbligazione avente per oggetto un'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell'esecuzione della prestazione e la diligenza assurge a parametro di imputazione del mancato adempimento e criterio di determinazione del contenuto dell'obbligazione Cass. 9 novembre 2006, numero 23918 13 gennaio 2005, numero 583 .La negligenza del commercialista fa scattare il risarcimento al cliente. In tema di responsabilità del professionista, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata a più riprese in senso favorevole al contribuente. E' emerso, infatti, che il comportamento del professionista deve essere improntato al rispetto degli obblighi di correttezza e lealtà professionale previsti dalla normativa vigente e dal codice di deontologia professionale per cui il contribuente non può essere sanzionato per violazioni imputabili al professionista che ha redatto la dichiarazione dei redditi Cass. numero 25136 del 2009 . La valutazione dell'esistenza e dell'entità della colpa del professionista è rimessa alla valutazione del giudice di merito e risulta sindacabile dinanzi al giudice di legittimità unicamente per il profilo dell'esistenza della motivazione che deve risultare completa ed adeguata. Cass. 9 giugno 2004, numero 10966 .La fattispecie. I ricorrenti avevano costituito una società di fatto affidando la contabilità e gli adempimenti fiscali ad un ragioniere, il quale gli aveva consigliato di formare con i rispettivi coniugi due imprese familiari, partecipanti alla società di fatto, per ottenere un maggior risparmio fiscale. Il professionista aveva sbagliato nell'imputare a reddito d'impresa familiare i proventi della società di fatto. A seguito di ciò i ricorrenti lo hanno citato in giudizio e il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attrice, condannando il ragioniere a rifondere le spese processuali. Stessa sorte subiva quest'ultimo in appello e conseguentemente il professionista ha proposto ricorso per cassazione.I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, che il reddito prodotto dalla società non poteva essere quantificato come reddito di partecipazione e come tale esposto pro-quota nella dichiarazione di ciascuno dei due soci senza possibilità di suddividerlo ulteriormente tra i soggetti partecipanti alle due costituite imprese familiari. Infatti l'impresa familiare si realizza con la collaborazione prestata dai familiari all'attività svolta dall'imprenditore nell'impresa, il quale tuttavia rimane l'unico titolare.Al professionista si richiede diligenza e perizia. I giudici di legittimità hanno ritenuto, quindi, avallando la tesi della Corte di Appello competente, che il commercialista incaricato della compilazione della dichiarazione dei redditi è tenuto a redigere le dichiarazioni in base alle regole che presiedono alla corretta denuncia dei redditi del singolo dichiarante. Pertanto i giudici hanno accertato che nel caso specifico il commercialista non aveva adempiuto nell'assolvimento dell'incarico di predisporre le dichiarazioni dei redditi dei clienti con la diligenza, espressamente prevista dall'articolo 1176 c.c., e la perizia che si richiedono al professionista nell'espletamento dell'incarico ricevuto.* Esperto tributario

Corte di Cassazione,sez. III Civile, sentenza 7 marzo 18 aprile 2011, numero 8860Presidente Morelli Relatore CarleoSvolgimento del processoCon citazione affidata per la notificazione al servizio postale il 24 aprile 1998 A. B., M. G. G. e Go. St., quest'ultimo in proprio e quale erede di Bu. Au., esponevano che, alla morte di G B. titolare di un'azienda commerciale, A. B. ed Au. Bu., tra i quali si era costituita una società di fatto, avevano proseguito l'attività del loro padre affidando la contabilità e gli adempimenti fiscali al rag. O. C., il quale aveva loro consigliato, ai fini del risparmio fiscale, di costituire ciascuno di essi con il rispettivo coniuge due imprese familiari partecipanti alla società di fatto. Le denunce dei redditi relative al 1989 e 1990 erano state redatte dal C. imputando i redditi della società ad ognuno dei due soci nella misura del 50% ed imputando a ciascuno dei loro rispettivi coniugi la metà del reddito percepito dalle due imprese familiari. L'Ufficio delle II DD aveva quindi provveduto a notificare per ciascuno dei due anni due avvisi di rettifica rilevando l'erroneità dell'imputazione, a reddito d'impresa familiare, del reddito proveniente dalla società di fatto. In esito al procedimento tributario era rimasto accertato il maggior debito di lire 59.690.000 a titolo di maggiori imposte, interessi e penalità. Ciò premesso, A B., M. G. G. e Go. St., quest'ultimo in proprio e quale erede di Au. Bu., convenivano in giudizio il C. chiedendone la condanna al pagamento della somma suddetta oltre lire 7.200.000 corrisposta ad altro professionista che li aveva seguiti nel contenzioso tributario. In esito al giudizio, in cui il C. non si costituiva, il Tribunale adito accoglieva parzialmente la domanda attrice e condannava il convenuto contumace alla rifusione delle spese processuali.Avverso tale decisione proponevano appello Br. Co., Ca. Go. e C. G., quali eredi di C. O., ed in esito al giudizio di impugnazione, in cui si costituivano tutti gli appellati proponendo a loro volta appello incidentale in ordine alla misura delle spese processuali, la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 8 luglio 2004 dichiarava inammissibile l'impugnazione proposta dalla Co., respingeva l'appello proposto dagli altri due appellanti principali ed, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava gli appellati alle maggiori spese di primo grado liquidandole in Euro 4.602,08.Avverso la detta sentenza C.G. e Ca. Go. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono B. A., M. G. G. e St. Go. con controricorso. I ricorrenti hanno infine depositato memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c. e successivamente brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero.Motivi della decisioneCon la prima doglianza, deducendo il vizio di omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex articolo 2236 c.c., i ricorrenti hanno lamentato che la Corte territoriale non avrebbe motivato in maniera adeguata sul fatto che, secondo parte della giurisprudenza, la nozione di impresa familiare non comporta necessariamente l'esistenza di un soggetto imprenditoriale collettivo. Né inoltre avrebbe tenuto presente che la questione era quanto meno controvertibile così da escludere la responsabilità del professionista.La censura è inammissibile oltre che infondata. A riguardo, deve sottolinearsi che la ratio decidendi della sentenza impugnata si fondava sulla considerazione che al C. non poteva sfuggire che il reddito prodotto dalla società non poteva che essere quantificato come reddito di partecipazione e come tale per intero esposto pro quota nella dichiarazione di ciascuno dei due soci senza possibilità di ulteriormente suddividerlo tra i partecipanti alle due imprese familiari cfr pag.13 della sentenza impugnata . E ciò, in quanto l'impresa familiare si realizza a mezzo della collaborazione prestata dai familiari all'attività svolta dall'imprenditore nell'impresa stessa, di cui questi risulta però titolare in via esclusiva.Ne derivava questa la conclusione della Corte territoriale che il commercialista incaricato della compilazione delle denunce dei redditi doveva redigere le dichiarazioni secondo le regole che presiedono alla corretta denuncia dei redditi del singolo dichiarante, forte della basilare nozione sopra riportata. Pertanto, appariva corretto il richiamo, da parte del primo giudice, al canone della diligenza contenuto nell'articolo 1176 c.c. e del tutto condividibile la considerazione che il commercialista non avesse adempiuto all'incarico di predisporre le dichiarazioni dei redditi dei clienti con la diligenza e la perizia che si richiedono al professionista nell'espletamento dell'incarico ricevuto.Ciò posto, è appena il caso di premettere che sussiste il vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omissione e/o dell'insufficienza, dedotto dai ricorrenti, quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabile d'ufficio. Al contrario, deve ritenersi che nella specie la Corte territoriale ha argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica e rispettosa della normativa in questione.Né d'altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo della decisione, laddove censura la sentenza per non aver spiegato con ampia e convincente motivazione che la nozione di impresa familiare non comporta necessariamente l'esistenza di un soggetto imprenditoriale collettivo familiare e che l'istituto ha natura residuale, venendo nel suo ambito regolati i diritti corrispondenti alle prestazioni svolte dal soggetto partecipante a favore del familiare che se ne avvale cfr pag.9 .Ed invero, le considerazioni riportate non si correlano in alcun modo con la motivazione della sentenza e non sono quindi idonee ad incrinarne il fondamento logico-giuridico affrontando una questione assolutamente estranea alle ragioni della decisione. Ma se le ragioni di gravame non si contrappongono in maniera specifica alle considerazioni svolte nella sentenza impugnata la censura deve essere ritenuta inammissibile per difetto della necessaria specificità', attesa la non riferibilità della censura alla sentenza d'appello impugnata. Ne deriva che la censura deve essere pertanto ritenuta, altresì, inammissibile.Passando all'esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli articolo 395 numero 4 e 339 c.p.c. nonché dell'articolo 2909 c.c., va osservato che, ad avviso dei ricorrenti, posto che l'affermazione del giudice di primo grado in ordine al mancato deposito della nota spese era frutto di un evidente errore di fatto rilevato dalla Corte d'Appello dagli atti di causa, il rimedio esperibile era la revocazione della sentenza e non l'appello. Quindi la Corte d'Appello avrebbe errato nell'accogliere l'impugnazione incidentale proposta.La censura non va esaminata. Ed invero, con la memoria difensiva depositata nella cancelleria di questa Corte a norma dell'articolo 378 del c.p.c., il difensore dei ricorrenti ha espressamente rinunciato al secondo motivo di doglianza in quanto frutto di errore . Tale rinuncia, essendo riconducibile alla scelta dei mezzi tecnici ritenuti più idonei alla tutela dell'interesse della parte rappresentata e rientrando quindi tra le facoltà del difensore, esonera questo Collegio dalla trattazione della doglianza.Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione in solido delle spese del giudizio di legittimità che liquida in 2.700,00 Euro di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.