L’imputato non ha discrezionalità ed autonomia decisionale: non è incaricato di pubblico servizio

La lettera del novellato articolo 358 c.p. esclude dall’attività di pubblico servizio lo svolgimento di semplici mansioni di ordine e la prestazione d’opera meramente materiale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 43464/15, depositata il 28 ottobre. Il caso. Nella vicenda oggetto della pronuncia in commento, il Supremo Collegio è chiamato ad esprimersi rispetto alla posizione di un soggetto addetto alla lavorazione della posta prioritaria presso un centro di meccanizzazione postale con mansioni di smistamento e ripartizione dei plichi, imputato per il delitto di peculato. Nel procedere alla riqualificazione del fatto, la Corte ha svolto delle interessati considerazioni in relazione all’attribuzione della qualità di incaricato di pubblico servizio. Non è incaricato di pubblico servizio chi svolge prestazioni meramente materiali. Il Supremo Collegio, in primo luogo, ha chiarito che non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente di Poste Italiane che opera nel reparto di smistamento della corrispondenza, con il compito di sopperire all’occasionale malfunzionamento delle macchine, per la presenza di buste non regolamentari, sgualcite o male affrancate, dal momento che si tratta di «attività di semplice esecuzione e di prestazioni meramente materiali», ordinariamente compiute dal sistema meccanizzato e prive di ogni discrezionalità o autonomia decisionale. La lettera del novellato articolo 358 c.p., infatti, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, esclude dall’attività di pubblico servizio lo svolgimento di semplici mansioni di ordine e la prestazione d’opera meramente materiale. I Giudici di legittimità hanno ricordato che, in applicazione di tale innovazione, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha affermato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, ad esempio, l’impiegato di Poste Italiane addetto alla regolarizzazione, mediante affrancatura, dei bollettini dei pacchi da restituire al mittente, e alla tenuta di un apposito registro nel quale annotare i dati identificativi di ciascuna operazione, di attività di natura non meramente applicativa od esecutiva ancora, è incaricato di pubblico servizio il portalettere che si impossessi di un vaglia postale di cui abbia la disponibilità per ragioni del suo servizio, riscuotendone successivamente l’importo, svolgendo compiti di certificazione della consegna e della ricezione della specifica tipologia di corrispondenza in oggetto è poi incaricato di pubblico servizio anche il dipendente delle Poste che svolga mansioni di cedolista, in quanto tale attività comporta anche significativi compiti accessori quali quelli di apposizione di firma liberatoria di quanto ricevuto in consegna dalle ditte accollatarie della corrispondenza speciale. La qualifica di incaricato di pubblico servizio, dunque, riassumono gli Ermellini, è stata riconosciuta alle figure di dipendenti dell’ente Poste Italiane le cui attività esercitate sono connotate dall’esercizio di attività disciplinate nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza di poteri tipici d quest’ultima. Vanno, invece, esclusi dal novero degli incaricati di pubblico servizio coloro che esplicano semplici mansioni d'ordine, mansioni, cioè, meramente esecutive, prive di qualsiasi discrezionalità e autonomia decisionale. Le mansioni dell’imputato non implicavano nessuna decisionalità. Nel caso di specie, invece, secondo l’incontestata ricostruzione dei fatti, l’imputato è un soggetto addetto alla lavorazione dalla posta prioritaria presso un centro di meccanizzazione postale, con mansioni di smistamento e ripartizione dei plichi la cui attività, pertanto, rientra nelle sole mansioni esecutive e d’ordine, prive di qualsiasi carattere di autonomia e decisionalità. La relativa condotta, pertanto, concludono dal Palazzaccio, va ricondotta alla fattispecie di appropriazione indebita aggravata dall’abuso della relazione di ufficio e prestazione d’opera e non al peculato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 – 28 ottobre 2015, numero 43464 Presidente Ippolito – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18.2.2015 la Corte di appello di Genova, a seguito di gravame interposto dall'imputato L.C. e dal P.M. avverso la sentenza emessa il 20.3.2012 dal locale Tribunale, in parziale riforma di detta decisione ha rideterminato la pena inflitta confermando la responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di cui ai capi 1 articolo 61 numero 2,81 co. 2, 619 cod. penumero e 2 articolo 81, comma 2, 314 cod. penumero in relazione alla appropriazione di plichi postali e del loro contenuto. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato che, a mezzo del difensore, deduce 2.1. Violazione ai sensi dell'articolo 606 lett. b e c cod. proc. penumero in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni del teste di p.g. B.D. che, in quanto de relato e prive delle fonti di riscontro, dovevano ritenersi inutilizzabili ai sensi dell'articolo 195, commi 4 e 5 cod. proc. penumero , risultando insufficiente la motivazione resa sul punto dalla Corte che fa riferimento a notizie apprese dai responsabili della struttura, dei quali non v'è traccia, come pure alla testimonianza del teste R.F. , irrilevante e neanche pertinente all'oggetto della testimonianze del B. . 2.2. Vizio di illogicità della motivazione in ordine alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute in primo grado, sulla base della irrilevanza della missiva dell'imputato illogicamente ritenuta inincidente rispetto all'accertamento dei fatti alla irrilevanza del risarcimento effettuato dall'imputato per il solo presunto grave danno all'immagine sofferto da Poste italiane irrilevanza della condizioni di salute dell'imputato precedenti penali dell'imputato, nonostante la loro notevole risalenza costanza della condotta criminosa che tuttavia non ha definito il numero della condotte appropriative. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato nei sensi che seguono. 2. Il primo motivo è inammissibile per genericità. 2.1. La Corte ha rigettato la doglianza difensiva proposta in appello sul rilievo - da un lato - che l'oggetto della testimonianza del B. - ancorché apprese dei responsabili della struttura - erano notizie di carattere generale e di comune dominio nell'ambito del luogo di lavoro e che - in ogni caso - analoghe informazioni le aveva direttamente fornite altro teste dall'altro, ne ha affermato l'irrilevanza rispetto all'assenza di ricostruzione alternativa dei fatti da parte della difesa. 2.2. Pertanto, la doglianza non si confronta con il giudizio di resistenza operato dalla sentenza rispetto alla eventuale inutilizzabilità della testimonianza del B. , genericamente assumendo la irrilevanza dell'altra testimonianza assunta sul funzionamento delle operazioni e le mansioni svolte dall'imputato. 2.3. Ritiene, tuttavia, la Corte che il fatto sub 2 - sussunto nell'ambito del reato di peculato - debba essere diversamente qualificato, rientrando la questione sulla qualificazione giuridica del fatto nel novero di quelle su cui la Corte di Cassazione può decidere ex articolo 609 comma secondo, cod. proc. penumero Sez. 1, numero 13387 del 16/05/2013, Rossi, Rv. 259730 purché la qualificazione operi entro i limiti in cui il fatto sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito Sez. 1, numero 3763 del 15/11/2013, Rv. 258262 . 2.4. È stato già affermato - con orientamento che il Collegio condivide - che non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente dell'ente Poste italiane che opera nel reparto di smistamento della corrispondenza, con il compito di sopperire all'episodico malfunzionamento delle macchine, per la presenza di buste non regolamentari, sgualcite o male affrancate, poiché trattasi di attività di semplice esecuzione e di prestazioni meramente materiali, ordinariamente compiute dal sistema meccanizzato e prive di ogni carattere di discrezionalità o autonomia decisionale Sez. 6, numero 5064 del 19/11/2013, Guarneri e altri, Rv. 258768 ed in applicazione del principio, la Corte ha riqualificato il fatto, definito nella sentenza impugnata come peculato, sub specie di appropriazione indebita aggravata dall'abuso di relazioni d'ufficio. È stato condivisibilmente spiegato nella motivazione della richiamata decisione che “con la modificazione del testo dell'articolo 358 c.p., introdotta dalla L. 26 aprile 1990, numero 96, articolo 18, è stato escluso dall'attività di pubblico servizio lo svolgimento di semplici mansioni di ordine e la prestazione di opera meramente materiale . In applicazione di tale innovazione, con cui il legislatore ha voluto espressamente restringere le qualifiche pubblicistiche rilevanti nei reati propri contro la pubblica amministrazione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio l'impiegato dell'ente Poste italiane addetto alla regolarizzazione, mediante affrancatura, dei bollettini dei pacchi da restituire al mittente, e alla tenuta di un apposito registro nel quale annotare i dati identificativi di ciascuna operazione, di attività di natura non meramente applicativa od esecutiva cfr. Sez. 6, numero 39591 del 02/11/2010, Rv. 248532 Sez. 6, numero 37102 del 07/05/2004, Rv. 230374 il portalettere che si impossessi di un vaglia postale di cui abbia la disponibilità per ragioni del suo servizio, riscuotendone successivamente l'importo, assumendo egli la qualifica di incaricato di pubblico servizio in ragione dei compiti di certificazione della consegna e della ricezione della specifica tipologia di corrispondenza in oggetto Sez. 6, numero 27981 del 12/05/2011, Rv. 250543 il dipendente dell'ente Poste che svolga mansioni di cedolista , in quanto tale attività comporta non solo mansioni d'ordine o prestazioni materiali come il trasporto dei dispacci, ma anche significativi compiti accessori quali quelli di apposizione di firma liberatoria di quanto ricevuto in consegna dalle ditte accollatane della corrispondenza speciale Sez. 5, numero 22018 del 21/03/2003, Rv. 224671 . La qualifica di incaricato di pubblico servizio, dunque, è stata riconosciuta alle figure di dipendenti dell'ente Poste italiane sempreché le attività esercitate siano connotate, in concreto, dall'esercizio di attività disciplinate nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza di poteri tipici di quest'ultima. Per volontà del legislatore vanno, invece, esclusi dal novero degli incaricati di pubblico servizio coloro che esplicano semplici mansioni d'ordine, vale a dire mansioni meramente esecutive, prive di qualsivoglia carattere di discrezionalità e di autonomia decisionale” richiamandosi precedente conforme decisione secondo la quale non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente delle Poste italiane s.p.a. che risulti esclusivamente addetto, con mansioni di ripartitore , ad attività di mero smistamento della corrispondenza Sez. 6, numero 46245 del 20/11/2012, Rv. 253505 . 2.5. Nella specie, si versa - con ricostruzione incontroversa in fatto - nella analoga ipotesi di un soggetto - quale l'attuale imputato ricorrente - addetto alla lavorazione della Posta prioritaria presso il Centro di meccanizzazione postale di Genova - Aeroporto con le mansioni di smistamento e ripartizione dei plichi la cui attività, pertanto, rientra nelle sole mansioni esecutive e d'ordine, prive di qualsiasi carattere di autonomia e decisionalità. 2.6. La relativa condotta appropriativa deve, quindi, essere ricondotta alla meno grave ipotesi di cui all'articolo 646 cod. penumero aggravata dall'abuso della relazione di ufficio e prestazione d'opera ai sensi dell'articolo 61 comma 11 cod. penumero . 2.7. Pertanto, la sentenza - previa riqualificazione del fatto di cui al capo 2 come appropriazione indebita aggravata e continuata - deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che dovrà essere rideterminato alla stregua della predetta riqualificazione giuridica della condotta sub 2 , con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova. 3. Il secondo motivo è assorbito dal precedente rilievo. 4. Nel resto il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Riqualificato il fatto di cui al capo 2 come appropriazione indebita aggravata e continuata, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e trasmette gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova per la determinazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.