In tema di procedimento disciplinare la necessaria correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non rileva in termini puramente formali. La regola correlativa, infatti, mirando ad evitare che l’incolpato sia condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa, può ritenersi violata esclusivamente in presenza di modificazione di elementi essenziali della materialità del fatto addebitato, che si traduca in un effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11024 del 20 maggio 2014. Il fatto. Un avvocato veniva citato a comparire davanti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani per aver accettato mandato difensivo al fine di sporgere denuncia-querela a carico, tra gli altri, di due soggetti, in favore dei quali espletava attività defensionale. Gli veniva comminata, quindi, la sanzione della censura. Il legale ricorre per cassazione, denunciando difetto di correlazione tra incolpazione violazione dell’articolo 37 del codice deontologico che prevede l’obbligo di astenersi dal prestare la propria attività professionale quando determini conflitto con gli interessi di un assistito e decisione disciplinare violazione dell’articolo 51 del codice deontologico che prevede l’obbligo di astenersi dall’assunzione di un incarico professionale contro ex cliente prima di due anni dalla cessazione dell’incarico professionale . Modificata la qualificazione giuridica. Il ricorso va rigettato dalla sentenza impugnata emerge che il giudice di merito di è limitato a modificare la qualificazione giuridica dell’incolpazione, sussumendola nella previsione di cui all’articolo 51 del codice deontologico anziché in quella ex articolo 37. La correlazione tra addebito e decisione non rileva in termini formali. Occorre considerare che in tema di procedimento disciplinare la necessaria correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non rileva in termini puramente formali. La regola correlativa, infatti, mirando ad evitare che l’incolpato sia condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa, può ritenersi violata esclusivamente in presenza di modificazione di elementi essenziali della materialità del fatto addebitato, che si traduca in un effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa. La Corte di Cassazione, a sezioni unite, rigetta, quindi, il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 25 marzo – 20 maggio 2014, numero 11024 Presidente Rovelli – Relatore Cappabianca Svolgimento del processo Con atto del 4 maggio 2010, l'avv. C.M. fu citato a comparire davanti al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani per difendersi per quanto ancora rileva dall'incolpazione di aver violato gli articolo 6, 7 e 37 del codice deontologico forense, poiché, in data 28 febbraio 2008, aveva accettato da M.N. e Luciana Conti mandato difensivo al fine di sporgere denunzia-querela a carico, tra gli altri, di due soggetti, in favore dei quali, nel contempo, espletava attività defensionale, per uno, in due procedimenti penali e, per l'altra, in attività stragiudiziali. Con decisione 7 ottobre 2010, il Consiglio dell'Ordine territoriale, assolto il professionista da altro capo d'incolpazione, ne affermò la responsabilità in relazione a quello sopra indicato, previa riqualifica dell'addebito in riferimento agli articolo 6, 7 e 51 del codice deontologico forense gli comminò, quindi, la sanzione della censura. Con decisione 13 dicembre 2010, l'appello conseguentemente proposto dal C. , fu respinto dal Consiglio Nazionale Forense, che negò la ricorrenza delle prospettate irregolarità del procedimento decisorio ed, altresì, della pretesa difformità tra accusa e decisione. Avverso la decisione di appello l'avv. C.M. propone ricorso per cassazione in tre motivi. Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani non svolge difese. Motivi della decisione I 1. - Con il primo motivo di ricorso, l'avv. C. - premesso che l'articolo 64 r.d. 37/1934 richiede, a pena di nullità che la decisione del Consiglio nazionale forense riporti la sottoscrizione del presidente e del segretario - denunzia, in relazione alla previsione della succitata disposizione nonché degli articolo 132 e 360, comma 1 numero 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per mancanza della sottoscrizione del presidente del collegio. Il ricorrente rileva, in particolare, che la copia della decisione con attestazione di conformità all'originale notificatagli, recando in calce la dicitura Il Presidente f.f. f.to avv. V.C. , manca dell'effettiva apposizione della firma del presidente ed aggiunge che la mancanza della firma del presidente sull'originale della decisione risulterebbe incontestabilmente documentato dalla specifica attestazione rilasciata dalla segreteria del Consiglio nazionale forense il 3.10.2013 allegata al ricorso. 2. - La doglianza è del tutto priva di fondamento. Invero, la mancanza della sottoscrizione del giudice non costituisce motivo di nullità della sentenza ex articolo 161, comma 2, c.p.c., se si riferisce alla copia notificata e non all'originale del provvedimento cfr. Cass., ss.uu., 3292/93 e questa Corte ha, peraltro, già reiteratamente avuto modo di puntualizzare, che - ove, come nella specie, la conformità all'originale della copia notificata della decisione del Consiglio nazionale forense risulti attestata dal consigliere segretario, recando, con la dicitura firmato , l'indicazione a stampa del nome e cognome del presidente e del segretario - tale formulazione della copia è tutt'altro che idonea a dimostrare la mancanza di sottoscrizione dell'originale, asseverando, anzi, il contrario cfr. Cass., ss.uu. 11803/13, 17357/09, 9069/03 . D'altro canto, diversamente da quanto assume il ricorrente, l' attestazione ricevuta dalla segreteria del Consiglio nazionale forense il 3.10.2013 ed allegata al ricorso non documenta affatto l'asserita mancanza, nell'originale, della sottoscrizione del presidente. Essa, infatti, non è altro che pedissequa replica della copia della decisione impugnata già notificata al ricorrente munita d'identica certificazione di conformità all'originale, cui, in assenza di impugnazione nelle dovute forme, non può attribuirsi che il sopra evidenziato proprio significato. II 1. - Con il secondo motivo - deducendo violazione dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. in relazione all'articolo 521 c.p.p. - il ricorrente censura la decisione impugnata per non aver riscontrato il difetto di correlazione tra incolpazione riferita alla violazione dell'obbligo, previsto dall'articolo 37 del codice deontologico, di astenersi dal prestare la propria attività professionale quando determini conflitto con gli interessi di un assistito e decisione disciplinare riferita alla violazione dell'obbligo, previsto dall'articolo 51 del codice deontologico, di astenersi dall'assunzione di un incarico professionale contro ex-cliente in assenza delle indicate condizioni e, in particolare, prima del decorso di almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale . 2. - La censura è infondata. Al riguardo, deve, invero, rilevarsi che dalla sentenza impugnata emerge in termini inequivoci che, nel caso di specie, il giudice del merito, lasciato immutato il dato fattuale dell'incolpazione, si è limitato a modificarne la qualificazione giuridica sussumendolo nella previsione della norma di cui all'articolo 51 del codice deontologico anziché in quella della norma di cui al precedente articolo 37. Ciò posto deve, inoltre, considerarsi che secondo consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico, in tema di procedimento disciplinare anche specificamente a carico di esercente la professione forense cfr. Cass., ss.uu., 5038/04, 10014/01, 289/00 - la necessaria correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non rileva in termini puramente formali. La regola correlativa infatti - mirando a garantire pienezza ed effettività del contraddittorio sul contenuto dell'accusa e ad evitare che l'incolpato sia condannato per un fatto naturalisticamente inteso rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa - può ritenersi violata esclusivamente in presenza di modificazione degli elementi essenziali della materialità del fatto addebitato, che si traduca in effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa e, dunque, solo in caso di radicale trasformazione dei profili fattuali della fattispecie concreta che ingeneri incertezza sullo stesso oggetto dell'imputazione. III 1. - Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, il ricorrente - denunziando violazione dell'articolo 360, comma 1 numero 5, c.p.c. in relazione all'articolo 132 c.p.c. - censura la sentenza impugnata, rispettivamente, per motivazione assolutamente insufficiente, illogica o contraddittoria con riguardo alla ritenuta insussistenza del denunziato difetto di correlazione tra incolpazione e decisione disciplinare e per omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione con riguardo alla doglianza formulata in relazione alla eccessiva gravosità della sanzione irrogata dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Trani . 2. - I motivi vanno disattesi. Entrambi si rivelano chiaramente in dissonanza con il testo dell'articolo 360, comma 1 numero 5 c.p.c., come riformato dall'articolo 54, comma 1 lett. b, d.l. 83/2012, convertito in 1. 183/2012, che prevede l'esclusiva deducibilità dell' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . Tale disposizione - applicabile ratione temporis alla fattispecie, vertendosi in tema d'impugnazione di sentenza depositata, il 23 luglio 2013, successivamente alla data, 12 settembre 2012, di entrata in vigore della novella cfr. il comma 3 dell'articolo citato - ha, infatti, circoscritto il sindacato sulla motivazione, in sede di giudizio di legittimità, alla sola anomalia motivazionale, che, concretandosi in violazione di legge costituzionalmente rilevante, incida sull'esistenza stessa della motivazione risolvendosi nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed ha deprivato di ogni rilevanza l'insufficienza motivazionale, che non si risolva in omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere di decisività cfr. Cass. ss.uu. 8053/14 e 8054/14 . D'altro canto, anche nell'ottica dei previgenti canoni normativi, la doglianza di cui al terzo motivo si risolve, piuttosto che in vizio motivazionale, in una censura alla coerenza della soluzione giuridica adottata dalla sentenza sul tema della corrispondenza tra incolpazione e decisione e dunque inammissibilmente cfr. Cass., ss.uu., 28054/08 8612/06, 5595/03 - in errore di motivazione in diritto anziché sulla ricostruzione del fatto mentre il quarto motivo si rivela privo del requisito della specificità, giacché - ancorché l'indicazione si rendesse necessaria in rapporto ai limiti del controllo di legittimità sull'applicazione delle norme dontologiche - non fornisce precisazione alcuna sul perché la sanzione irrogata, risultando del tutto inconciliabile con le caratteristiche della fattispecie, si concreterebbe in palese sviamento di potere del giudice disciplinare cfr. Cass., ss.uu., 15873/13, 6215/05 ovvero travalicherebbe i limiti della ragionevolezza cfr. Cass., ss.uu., 190705/12 . IV - Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso. Stante l'assenza d'attività difensiva dell'intimato Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani, non vi è luogo a provvedere sulle spese. Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002, introdotto dall'articolo 1, comma 17, L. 228/2012. P.Q.M. la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso. Sussistono i presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002, introdotto dall'articolo 1, comma 17, L. 228/2012.