Nel caso di istanza di verificazione ex articolo 216 c.p.c., la richiesta di mezzi di prova previsti dalla norma, presuppone la legittima instaurazione della procedura di verificazione della scrittura disconosciuta. Fondamentale al riguardo è la produzione in giudizio, da parte del soggetto che intende avvalersi della scrittura, dell’originale del documento su cui verte l’istanza di verificazione, essendo irrilevante il fatto che il disconoscimento sia stato effettuato nei confronti di una semplice copia fotostatica.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 9971/14, depositata l’8 maggio scorso. Il caso. Con due scritture private autenticate in data 12.5.1976 e 30.7.1981 la ricorrente conferiva mandato di gestione di tutti i suoi beni a una persona di fiducia. Secondo la ricorrente, però, quest’ultima aveva omesso 1 di presentare la rendicontazione della gestione 2 di restituire i canoni locativi e i prezzi di vendita di alcuni immobili e 3 di versare la penale indicata nella scrittura 12.5.1976 prevista per l’ipotesi, poi effettivamente verificatasi, della mancata offerta della prelazione di acquisto sulle quote in comproprietà immobiliare messe in vendita. Iniziava così il giudizio di primo grado in cui si costituiva l’erede dell’incaricata contestando le pretese avversarie. Il Tribunale accoglieva tutte le richieste dell’attrice, mentre in secondo grado veniva rigettata la domanda relativa alla penale perché la verificazione della scrittura 12.5.1976, a fronte del disconoscimento dell’erede della de cuius, non aveva potuto avere seguito per mancata produzione in originale del documento stesso. La controversia giungeva così al cospetto della Suprema Corte. L’istanza di verificazione della scrittura privata era da ammettere? Elemento centrale della sentenza in commento è relativo alla questione della validità della penale contenuta nella citata scrittura 12.5.1976 disconosciuta dalla controparte. La tesi della ricorrente si basa essenzialmente sul fatto che l’istanza di verificazione della scrittura privata, proposta in primo grado ma rigettata dalla Corte d’appello, doveva essere ammessa con conseguente conferma della scrittura stessa e della penale ivi contenuta. Per quanto attiene al regime processuale delle scritture private occorre richiamare gli articolo 214, 215 e 216 c.p.c. Il codice stabilisce che il soggetto contro il quale è stata prodotta una scrittura privata, per disconoscerla, deve negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione. Gli eredi invece posso limitarsi a dichiarare di «non conoscere» la scrittura o la sottoscrizione del loro autore. Nel caso di specie, la ricorrente eccepiva in primo luogo l’irregolarità del disconoscimento poiché, a suo dire, il resistente non lo aveva coltivato dopo che il giudice di primo grado ne aveva dichiarato l’inammissibilità perché proposto contro una scrittura autenticata. In ordine a tali aspetti, la Cassazione ha chiarito invece che il disconoscimento del ricorrente era valido, poiché, essendo egli semplicemente erede della persona che avrebbe firmato la scrittura, doveva limitarsi affermare di «non conoscere» la firma del de cuius. Si trattava in questo caso quindi di una «dichiarazione negativa di scienza», come stabilito dal secondo comma dell’articolo 214 c.p.c. Così è avvenuto, dato che la norma citata non prescrive a tal fine forme sacramentali e la volontà della parte può essere desunta dal contegno inequivoco della parte. L’importante è che il disconoscimento o, come detto nel caso di specie, la dichiarazione negativa di scienza sia tempestivo cioè al primo momento successivo alla produzione della scrittura e definitivo cioè non sottoposto a condizioni, termini o riserva di qualsiasi tipo . Ovviamente tale possibilità è consentita solo se la scrittura non è stata precedentemente riconosciuta anche solo tacitamente , mentre a nulla valgono eventuali contestazioni effettuate prima della produzione del testo in giudizio. In ogni caso, la valutazione sull’idoneità del disconoscimento è un giudizio di fatto che, essendo stato congruamente motivato dal giudice di merito non poteva essere più rimesso in discussione in Cassazione. La ricorrente quindi ha dovuto incardinare il procedimento di verificazione prescritto dall’articolo 216 c.p.c. Tale istanza è infatti consentita alla parte che intende valersi comunque del testo disconosciuto, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo eventualmente altri documenti che possano servire di confronto per confermare la veridicità della scrittura. La richiesta può essere avanzata in via principale con atto di citazione o in via incidentale nel corso di un giudizio, come avvenuto nella fattispecie in commento. In questo secondo caso non sono richieste forme particolari, potendo essere anche sviluppata in via implicita o desumibile da comportamenti concludenti. L’importante è che sia richiesta entro i termini perentori previsti per le deduzioni istruttorie delle parti. La mancata proposizione dell’istanza implica di conseguenza la volontà di non avvalersi della scrittura. Accertare l’autenticità della scrittura. La funzione di questo “sub procedimento” è quella di accertare l’autenticità della scrittura, superando l’ostacolo del disconoscimento. Le prove richieste nell’ipotesi in esame si trattava di una prova testimoniale però venivano respinte dalla Corte d’Appello perché il procedimento di verificazione non era stato introdotto correttamente. È infatti essenziale la produzione in originale in causa del documento sul quale verterà il giudizio di verificazione, mentre nel caso deciso dagli Ermellini la scrittura era stata prodotta solo in copia. A nulla valeva invocare il fatto che il disconoscimento dell’avversario o la dichiarazione negativa di scienza in quanto erede fosse stato fatto sulla semplice copia. Del resto l’accertamento di cui all’articolo 216 c.p.c. mira a ribadire l’autenticità della scrittura e quindi non può che riguardare documenti originali che, in quanto tali, devono fare ingresso nel giudizio. L’istanza di verificazione quindi non andava a buon fine e la ricorrente non otteneva il pagamento della penale indicata nella scrittura 12.5.1976 disconosciuta dal resistente.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 febbraio – 8 maggio 2014, numero 9971 Presidente Salmè – Relatore Stalla Svolgimento del giudizio Nell'aprile 1991 G.G.A. , rappresentata dal suo procuratore generale C.G. , conveniva in giudizio S.B. , quale erede universale di M.M. , esponendo che quest'ultima, da lei investita con scritture private autenticate 12 maggio '76 e 30 luglio '81 del mandato di gestione di tutti i suoi beni in , aveva omesso - la rendicontazione della gestione - di rimettere a sue mani i canoni locativi ed i prezzi di vendita di taluni immobili - di corrisponderle la penale di 200 milioni di lire prevista nella citata scrittura privata del 12 maggio '76 per l'ipotesi, effettivamente verificatasi, della mancata offerta della prelazione di acquisto sulle quote in comproprietà immobiliare poste in vendita dalla M. medesima. Formulava quindi domande consequenziali di condanna a carico dell'erede. Nella costituzione in giudizio dello S. , interveniva la sentenza 6 luglio 2001 con la quale il tribunale di Roma condannava quest'ultimo al pagamento di lire 66.500.000 a titolo di mancata restituzione di canoni locativi e corrispettivi di vendita, nonché di lire 200 milioni per la penale su indicata oltre accessori e spese. Interposto gravame principale dalla G. ed incidentale dallo S. , veniva emessa sentenza non definitiva numero 4321 dell'11 ottobre 2005 fatta oggetto di riserva di ricorso per cassazione con la quale la corte di appello di Roma rideterminava nel minor importo di Euro 28.921,58 lire 56 milioni il credito della G. per canoni di locazione e corrispettivi di vendita - disponeva, per quanto concerneva la penale, la prosecuzione del giudizio al fine di dare corso alla verificazione della scrittura privata 12 maggio l76, in quanto legittimamente disconosciuta dallo S. perché autenticata dal segretario comunale in assenza del relativo potere ex l.15/68 e, pertanto, non assistita dal carattere di atto pubblico o scrittura privata autenticata facente fede, ex articolo 2703 cc, fino a querela di falso mai dallo S. proposta . Con sentenza definitiva numero 3539 del 22 settembre 2009, la corte di appello rigettava la domanda proposta dalla G. in ordine alla penale, atteso che la verificazione della scrittura privata in oggetto, da lei proposta a fronte del disconoscimento operato dallo S. , non aveva potuto avere seguito per mancata produzione da parte sua dell'originale del documento. Avverso entrambe le sentenze - non definitiva e definitiva - così rese dalla corte di appello di Roma, viene dalla G. proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, ai quali resiste lo S. con controricorso. Viene da questi altresì proposto ricorso incidentale tardivo, articolato su quattro motivi, assistito da memoria ex articolo 378 cod.proc.civ Motivi della decisione p.1. Con il primo motivo del ricorso principale, la G. lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 99, 189 e 345 cpc, poiché la corte di appello aveva ritenuto ammissibile il disconoscimento da parte dello S. della sottoscrizione apposta dalla sua dante causa sulla scrittura 12 maggio ‘76, senza considerare che tale disconoscimento non era stato reiterato - con conseguente presunzione di abbandono - dopo che il giudice di primo grado, con ordinanza istruttoria 12 dicembre ‘92, l'aveva dichiarato inammissibile perché proposto contro una scrittura privata autenticata facente prova fino a querela di falso. Il motivo è infondato. Va in primo luogo considerato che non risulta che quella di abbandono/rinuncia del disconoscimento sia eccezione ritualmente opposta dalla G. nel corso dei gradi di merito. Di tale circostanza non viene dato atto dalla corte territoriale, né se ne fornisce indicazione o riscontro alcuno nel ricorso. In ogni caso, non può dirsi che la decisione censurata abbia violato alcuna delle norme prese a riferimento nel motivo in esame. Nell'ambito dell'interpretazione della volontà della parte che spetta al giudice del merito, questi - delibando la questione della autenticità del documento - ha con ciò correttamente escluso che lo S. avesse rinunciato al disconoscimento prestando acquiescenza alla suddetta ordinanza istruttoria. Ciò sul presupposto che la contestazione della attribuibilità della scrittura alla propria dante causa - fatta oggetto di uno specifico motivo di appello incidentale - veniva ribadita anche nelle difese conclusive dello S. in primo grado v. conclusionale 16.2.01 . Difese dalle quali traeva conferma - nel richiamo al disconoscimento proposto ed all'adozione dei conseguenti provvedimenti - la volontà del convenuto di ottenere il rigetto della domanda attorea concernente la penale contrattuale “anche” ed in primo luogo sotto il profilo della suddetta contestazione di effettiva attribuibilità alla sottoscrittrice del documento contenente l'obbligo azionato. In definitiva, né la mancata formale riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, né la mancata proposizione da parte dello S. di “reclamo o impugnativa o contestazione” avverso l'ordinanza istruttoria 12 dicembre '92 potevano - in tale contesto - essere univocamente interpretate quale abbandono dell'eccezione di disconoscimento. La decisione della corte di appello di entrare nel merito dell'eccezione in questione ritenendola implicitamente “non abbandonata”, non appare dunque in contrasto con le norme invocate dalla ricorrente, peraltro astrattamente idonee a fondare una censura ex articolo 360 1 co. numero 4 e non numero 3 cod.proc.civ Va d'altra parte considerato che tale decisione si muove nell'ambito dell'orientamento di legittimità in base al quale la presunzione di abbandono di domande od eccezioni ingenerata dalla loro mancata riproposizione nelle conclusioni definitive non ha ragione di operare allorquando - nell'interpretazione della effettiva volontà della parte, demandata al giudice di merito - si ravvisino elementi sufficienti in considerazione del rapporto sussistente tra le domande ed eccezioni formalmente dedotte e quelle asseritamente abbandonate, ovvero del contegno processuale complessivamente tenuto dalla parte stessa per ritenere che quest'ultima abbia comunque inteso insistere nelle istanze già proposte Cass. numero 4794 del 06/03/2006 Cass. numero 2093 del 29/01/2013 . p.2. Con il secondo motivo del ricorso principale, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento all'articolo 110 cpc, non avendo la corte di appello considerato che lo S. aveva chiesto in via gradata che l'eventuale responsabilità per la violazione del mandato da parte della sua dante causa fosse accertata nei limiti dei beni pervenuti per successione , con la conseguenza che egli non aveva interesse a formulare in appello domanda volta ad ottenere il rigetto integrale di ogni e qualsiasi addebito risarcitorio. Il motivo - destituito di fondamento - è innanzitutto equivoco nella parte in cui, richiamando l'articolo 110 cod.proc.civ., non esplicita con sufficiente chiarezza e specificità in che termini lo S. dovrebbe reputarsi privo di interesse ad agire ex articolo 100 cod.proc.civ. sol perché subentrato jure successionis alla M. nel rapporto giuridico dedotto in giudizio. L’incongruenza del richiamo normativo posto a sostegno della censura appare anzi tanto più evidente ove si consideri che il convenuto ha partecipato al giudizio in quanto in esso evocato ab initio nella sua qualità di erede universale della debitrice e, dunque, in forza di successione sostanziale nel rapporto giuridico e non di successione processuale ex articolo 110 cit Ciò posto, l'interesse dello S. ad ottenere il rigetto integrale di ogni avversa pretesa poggiava proprio sulla responsabilità patrimoniale che gli derivava dall'essere succeduto nel patrimonio della sua dante causa M. e tale interesse sussisteva non soltanto nell'ipotesi in cui egli fosse stato infine chiamato a rispondere con tutto il suo patrimonio, ma anche nell'ipotesi in cui la sua responsabilità fosse stata eventualmente affermata “intra vires”. Ciò rendeva del tutto legittima ex articolo 100 cit. la formulazione da parte sua - in via gradata , come riconosce la stessa ricorrente - della domanda di contenimento della sua denegata condanna nei limiti dell'eredità beneficiata. Va del resto considerato che l'istanza di limitazione della responsabilità è stata respinta dalla corte di appello per difetto di prova dell'indefettibile requisito dell'accettazione con beneficio d'inventario sent. non def., pag. 3 sicché tale statuizione - passata in giudicato - rendeva una volta di più evidente l'interesse concreto ed attuale dello S. a coltivare in sede di merito il rigetto integrale delle avversarie pretese. Con ciò contestandole in radice nei loro presupposti di “an” e di “quantum” prima ancora che nella misura del patrimonio destinato a farvi fronte in caso di loro accoglimento. p.3. Con il terzo motivo del ricorso principale, viene dedotta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360, 1 co., numero 5 cpc, dal momento che la corte di appello non aveva motivato il rigetto della sua istanza di assumere la deposizione testimoniale del funzionario comunale che aveva autenticato la sottoscrizione della M. deposizione testimoniale che sarebbe stata decisiva ai fini di una diversa soluzione della lite, perché attestante l'effettiva attribuzione della sottoscrizione a quest'ultima. La censura non può trovare accoglimento. È dirimente osservare che la prova pretermessa presupponeva la legittima instaurazione della procedura di verificazione della scrittura disconosciuta nel cui ambito è effettivamente consentito al giudice di merito di attingere il proprio convincimento di autenticità da qualsivoglia fonte probatoria, eventualmente anche testimoniale , mentre il decisum della corte di appello sentenza definitiva è stato di segno esattamente opposto. Cioè nel senso della insussistenza dei presupposti per portare a compimento la richiesta verificazione, stante la mancata produzione in originale della scrittura 12.5.'76 da parte della G. . Sicché la mancata pronuncia sull'ammissione della prova testimoniale di verificazione trae logico fondamento dalla ritenuta preclusione della verificazione in quanto tale, perché impossibile in copia sent. def. pag. 4 . Quest'ultima affermazione della corte di appello non è stata censurata dalla G. , ed appare comunque in linea con l'orientamento di legittimità, posto che se il disconoscimento può essere rivolto anche nei confronti di una copia fotostatica quanto a genuinità della sua provenienza ed a conformità con l'originale , l'istanza di verificazione ad opera della parte che intenda avvalersi della scrittura disconosciuta presuppone la produzione di quest'ultima in originale Cass. numero 9869 del 27/07/2000 numero 9202 del 14/05/2004 . p.4. Con il quarto motivo di ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 110 e 346 cpc, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360, 1 co., numero 5 cod.proc.civ Ciò perché la sentenza non definitiva della corte di appello aveva escluso la ripetibilità dei canoni di locazione nonostante che lo S. non avesse interesse ad opporre la relativa eccezione, avendo egli chiesto, in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, di contenere il danno da risarcire entro il limite dei beni a lui pervenuti in eredità, sicché nel caso di specie si verteva di domanda volta ad ottenere un petitum più vasto di quanto subordinatamente preteso dall'istante . Inoltre, la corte di appello aveva respinto la domanda di essa attrice sul punto senza considerare che lo S. si era limitato in appello a richiamare genericamente le conclusioni proposte in primo grado, senza farsi carico di formulare espressa dichiarazione di voler rimuovere i capi di domanda a lui sfavorevoli e l’onere di individuarli , così come stabilito dall'articolo 346 cpc. La prima parte della doglianza va respinta per le stesse considerazioni già svolte p.2. in ordine al secondo motivo del ricorso principale, evidente essendo l'interesse dello S. ad ottenere il rigetto dell'avversaria pretesa nella sua interezza e ciò quand'anche egli fosse stato in ipotesi tenuto responsabile solo intra vires. La seconda parte della doglianza va respinta sulla base di quanto evincibile de plano dalle risultanze del grado di appello, da cui emerge che lo S. , andando oltre l’onere di mera riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte ex articolo 346 cod.proc.civ., aveva impugnato segnatamente, con il quarto motivo di appello incidentale la statuizione del primo giudice di sua condanna al pagamento degli importi percepiti dalla M. quali canoni di locazione delle unità immobiliari da lei amministrate per conto della G. . La corte territoriale, in sede di disamina dell'appello incidentale, ha posto in evidenza sent. non def. pag. 3 come in esso lo S. avesse contestato radicalmente la sussistenza di prova delle asserite locazioni e della percezione di canoni da parte della sua dante causa. Tale circostanza, riscontrabile dalla formulazione del gravame incidentale, esclude tanto la rilevanza nella specie dell'articolo 346 cod.proc.civ. - vertendosi, nella individuazione della volontà della parte e nella considerazione del decisum di condanna emesso sul punto dal giudice di primo grado, di impugnativa diretta, e non di mera riproposizione di domande o eccezioni non accolte - quanto la dedotta esorbitanza della pronuncia di appello dai limiti del devoluto. p.5. Con il quinto motivo di ricorso principale si deduce violazione degli articoli 214 e 215 cpc poiché la corte di appello aveva ritenuto ammissibile il disconoscimento da parte dello S. nonostante che quest'ultimo fosse stato convenuto in giudizio nella sua qualità di erede della M. e che, conseguentemente, non potesse “disconoscere” la scrittura non essendone lui l'autore , ma soltanto dichiarare di “non conoscere” la firma della de cujus articolo 214 co. numero 2 cpc in difetto di ciò, la scrittura doveva ritenersi riconosciuta. La censura è infondata. Il giudice di merito ha riscontrato che il disconoscimento venne formulato dallo S. non soltanto tempestivamente con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado e nel verbale di udienza 1 ottobre 92 , ma anche in termini inequivoci. Tale valutazione - a fortiori nell'ambito di una censura di cassazione che non è di vizio motivazionale ma di violazione normativa - non può essere qui confutata, atteso che il giudizio di idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento di una scrittura privata prodotta contro di essa costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato Cass. numero 11460 del 17/05/2007 . Il limite della presente doglianza trova poi definitiva conferma nel fatto che l'erronea valutazione asseritamente resa sul punto dal giudice di merito sarebbe dipesa dalla sostanziale obliterazione della distinzione normativa tra il “disconoscimento” della scrittura e la dichiarazione di “non conoscenza” prevista dall'articolo 214, 2 co. cpc, per l'erede o avente causa. Si tratta di distinzione nella specie non influente, alla luce del principio per cui la volontà di disconoscimento, pur dovendo essere inequivoca, non comporta l'adozione di precostituite formule sacramentali, ben potendo essere desunta dal contegno della parte. Nel caso di specie il giudice di merito - come detto - ha ravvisato nell'eccezione dello S. una univoca volontà di contestazione di provenienza ed autenticità della scrittura privata, indipendentemente dal fatto che tale volontà fosse stata esternata con una formale dichiarazione di “disconoscimento” invece che di “non conoscenza”. Tale valutazione è stata operata dalla corte territoriale in considerazione di tutti gli elementi della fattispecie, che rendevano pacifica tanto l'apparente attribuzione della scrittura alla dante causa dello S. , quanto la citazione in giudizio di quest'ultimo in qualità di erede a cui quella scrittura si rendeva opponibile. p.6. Venendo ora al ricorso incidentale, lo S. lamenta, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 75, 77 e 100 cpc, nonché carente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, poiché la corte di appello, con la sentenza non definitiva, aveva respinto la sua eccezione di difetto di legittimazione attiva della G. la quale aveva agito in giudizio tramite un procuratore generale, C.G. , la cui certa identità non era stata provata. Ciò perché sussisteva una diversa data di nascita tra il C.G. che aveva introdotto il giudizio numero a omissis , ed il Ca.Gu. che, sempre in qualità di procuratore generale della G. , aveva sottoscritto la diffida extragiudiziale numero a omissis . Da ciò derivava sia la carenza di legittimazione dell'attrice, sia l'inidoneità di quest'ultima diffida ad interrompere la prescrizione. Il motivo è infondato, giacché la corte di appello sent. numero 4321/05 ha ampiamente ed esaurientemente spiegato le ragioni per cui l'eccezione in questione doveva essere rigettata, osservando in particolare pag. 2 che - l'atto di citazione introduttivo del giudizio, come del resto quello d'appello, risultavano promossi dal procuratore generale della G. , appunto il C. , tale nominato con atto del notaio Cestone di Melfi del 1 luglio 91 numero rep. 14552 - il richiamo di tale atto, nel quale erano pienamente enunciati i dati anagrafici del procuratore C.G. , nato a OMISSIS , ne consentiva la sicura identificazione, confermando l'identità tra questi e colui che aveva agito in nome e per conto della G. - la tesi dello S. , secondo cui l'atto di diffida giudiziale sottoscritto, nella qualità di procuratore della G. , da Ca.Gu. numero a omissis , comunicatogli il 15 luglio 91, sarebbe stato inefficace perché proveniente da persona diversa da quella alla quale risultava conferita la procura notarile sopra menzionata era infondata, dal momento che il richiamo a tale procura ancora una volta escludeva ogni dubbio sull'esatta identità del procuratore generale - l'errata indicazione della data di nascita di questi, nel OMISSIS , doveva ritenersi frutto dell'errore di chi aveva trascritto, dall'atto notarile, invece dei dati del C. , quelli relativi a C.C.A. , sorella di G. , la quale, nello stesso atto e contestualmente alla G. , aveva nominato e costituito suo procuratore il fratello. Si tratta di una motivazione congrua con la quale la corte di appello da conto delle ragioni per cui si trattava di un semplice refuso indotto dalla erronea trascrizione della data di nascita della sorella del C. che non ingenerava alcuna reale incertezza sulla identificazione del procuratore generale della G. risultante dalla procura per atto notarile e nemmeno sulla convergenza nella stessa persona del procuratore generale, così identificato, dei poteri rappresentativi sia sostanziali sia processuali. In presenza di tale argomentare, la valutazione del giudice di merito appare insindacabile tanto in ordine alla rappresentanza processuale dell'attrice, quanto in relazione all'efficacia interruttiva della prescrizione attribuita alla diffida. Elementi posti in dubbio dalla doglianza in esame sull'erroneo assunto di uno stato di oggettiva ed assoluta incertezza identificativa del procuratore generale viceversa da escludersi per le indicate ragioni. p.7. Nel secondo motivo di ricorso incidentale, dichiaratamente proposto per il denegato caso di accoglimento dei motivi d'impugnazione avversari, lo S. lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 1384, 1224, 732, 1701 cc nonché 141 e 215 cpc, atteso che la clausola penale di cui alla scrittura in oggetto doveva ritenersi inefficace, e comunque essere ridotta anche d'ufficio dal giudice ex articolo 1384 cc perché palesemente eccessiva in ogni caso, il pagamento della penale, in quanto debito di valuta, poteva dare luogo al pagamento soltanto degli interessi non anche della rivalutazione o del maggior danno Si tratta di motivo assorbito dal mancato accoglimento dei motivi di ricorso principale della G. , al quale esso è logicamente subordinato. p.8. Nel terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 1710 segg. cc, nonché carente o insufficiente motivazione, non avendo la corte di appello considerato che - il concreto svolgersi della vicenda deponeva per l'effettiva rendicontazione da parte della M. della sua attività di gestione, d'altra parte mai espressamente richiesta dalla G. la quale era stata sempre informata di tutti gli atti di amministrazione - il mandato era stato eseguito senza pattuizione di alcun compenso, con conseguente attenuazione di responsabilità - gli interessi sulle somme ritenute a debito della M. dovevano farsi decorrere, anche vista l'assenza di messa in mora, dalla domanda e non dalla data considerata dalla corte di appello ultimo atto di vendita, 6 dicembre ‘83 . Si tratta di motivo tutto basato sulla riconsiderazione degli aspetti fattuali della vicenda e, dunque, volto a suscitare una nuova valutazione di merito. Ciò è reso evidente dalla stessa elencazione dei parametri attraverso i quali si chiede di cassare la sentenza della corte di appello, non avendo quest'ultima tenuto in debito conto, nella ricostruzione dello svolgimento del mandato tra le parti, i seguenti fatti - la periodica rimessa di somme di denaro in favore della G. - la frequente corrispondenza epistolare intercorsa tra la mandante e la mandataria - il tenore testuale di tale corrispondenza - la constatazione della omessa comunicazione, da parte della G. , durante l'ampio decorso temporale trascorso, di contestazioni e/o lamentele di qualsivoglia genere . Si tratterebbe, a dire dello S. , di elementi comprovanti - all'opposto di quanto ritenuto dal giudice di merito - il regolare adempimento da parte della M. degli obblighi su di lei gravanti ex articolo 1712 e 1713 cod.civ Senonchè, alla cassazione della sentenza per vizio della motivazione può pervenirsi solo se risulti che il ragionamento del giudice di merito, come emergente dalla sentenza, sia incompleto, incoerente ed illogico non anche quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi considerati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte Cass. 15 aprile 2004 numero 7/2/01 Cass. 14 febbraio 2003 numero 2222 SSUU 27 dicembre 97 numero 13045 . Ne deriva che il controllo di legittimità da parte della corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo se questi abbia indicato le ragioni del proprio convincimento con una motivazione immune da vizi logici e giuridici. Nella fattispecie, la censura si risolve in una richiesta di diversa valutazione nel merito delle circostanze fattuali, cosa che - per le dette ragioni - non può trovare ingresso nel sindacato di legittimità. Quanto alla dedotta violazione normativa in ordine alla decorrenza degli interessi dalla data dell'ultima vendita, la corte di appello ha fatto applicazione, nell'ambito di un rapporto qualificato in termini di “mandato di durata”, dell'articolo 1714 cod.civ. sent. pag.4 norma che fa obbligo al mandatario di rimettere al mandante gli interessi legali sulle somme riscosse per suo conto con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto fargliene consegna. Da questo punto di vista, la decisione della corte di appello appare finanche più favorevole allo S. , avendo assunto a riferimento non la data delle singole vendite immobiliari tempo per tempo concluse, ma quella dell'ultima vendita. Né varrebbe obiettare, con lo S. , che la M. funse non soltanto da mandataria ma anche da depositarla delle somme, dal momento che questa seconda veste non ha trovato riscontro alcuno nella ricostruzione della vicenda da parte del giudice di merito, il quale ha ricollegato l'obbligo di corrispondere gli interessi dalla data indicata proprio sul presupposto dell'inadempimento da parte della M. ai soli obblighi che le scaturivano dal mandato di gestione immobiliare non potendosi nella specie ravvisare un rapporto complementare di deposito sulla base del solo elemento costituito dalla durata negli anni del mandato medesimo. Sicché non ha ragione qui di operare il principio espresso da Cass. numero 4777 del 21/07/1980, avente riguardo ad una fattispecie nella quale - diversamente da quanto accede nella presente - era stata positivamente riscontrata in fatto la situazione in cui il mandante abbia lasciato il mandatario depositario di fatto delle somme riscosse, omettendo di impartirgli le istruzioni necessarie, inutilmente e reiteratamente sollecitate dopo l'esaurimento del mandato . p.9. Con il quarto motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, 1 co., numero 3 cpc, con riferimento agli articoli 90, 91 96 cpc nonché omessa o insufficiente motivazione, dal momento che la sentenza definitiva della corte di appello aveva disposto, in ragione dell'esito complessivo del gravame sent. pag. 4 , la compensazione delle spese del grado di appello, senza pronunciarsi sull'accollo integrale a suo carico delle spese del primo grado di giudizio nonostante la proposizione da parte sua di specifico motivo di gravame, nonché l'avvenuta riforma della sentenza di primo grado in senso sfavorevole alla G. . Il motivo può trovare accoglimento nei seguenti termini. In effetti, il tribunale condannò lo S. alla rifusione delle spese, in quanto soccombente su tutte le domande della G. , compresa quella relativa alla penale in quanto portata da una scrittura privata che il primo giudice aveva erroneamente ritenuto non disconoscibile ma unicamente suscettibile di querela di falso, non proposta. In appello, lo S. ha invece ottenuto ragione nella diminuzione del quantum delle somme non rimesse dalla mandataria ridotte a 56 milioni di lire rispetto ai 66,5 milioni del primo grado ma, soprattutto, sulla penale dedotta in una scrittura la cui verificazione era infine risultata preclusa dalla mancata produzione dell'originale da parte dell'attrice . È dunque proprio in applicazione del criterio enunciato ma nei fatti disatteso dalla corte di appello, vale a dire la considerazione dell'esito unitario della lite, che la conferma della condanna dello S. al pagamento delle spese di primo grado non appare corretta sulla scorta delle norme denunciate. Tanto più che lo S. aveva specificamente chiesto in appello che, all'esito della riforma della sentenza di primo grado nel senso da lui voluto, la corte territoriale procedesse ad una nuova regolazione delle spese “di primo e di secondo grado”. La limitazione della compensazione al solo grado di appello, confliggente con il suddetto parametro di liquidazione unitaria, va dunque cassata con estensione della compensazione - in sede di pronuncia nel merito ex articolo 384 2 co. cpc - altresì alle spese del primo grado. Ciò viene affermato in ragione della reciproca soccombenza finale. Le stesse considerazioni testé svolte depongono per la compensazione altresì delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale rigetta il primo, secondo e terzo motivo di ricorso incidentale accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale cassa per quanto di ragione la sentenza appellata e, decidendo nel merito, compensa le spese di lite del primo grado di giudizio compensa le spese del presente giudizio di legittimità.