Detenzione di cocaina: custodia cautelare in carcere o arresti domiciliari? Molteplici gli elementi da ponderare

In tema di misure cautelari personali, le modalità e le circostanze del fatto rilevano sia sotto il profilo della valutazione della sua gravità, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della personalità dell’indagato e della sua capacità a delinquere.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5121 del 3 febbraio 2014. Il fatto. Il Tribunale del Riesame di Ancona rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di un uomo e confermava la misura della custodia cautelare in carcere per avere egli detenuto una cospicua quantità di cocaina occultata in un vano appositamente creato all’interno della sua auto. L’uomo propone ricorso in Cassazione, lamentando la mancanza di motivazione della sentenza in ordine alle ragioni per le quali le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte unicamente con la custodia cautelare in carcere e non con gli arresti domiciliari, anche considerando gli elementi addotti dalla difesa tali da smentire questa circostanza incensuratezza dell’imputato, piena collaborazione durante le indagini, assenza di pericolo di fuga, ecc . Criteri di scelta delle misure cautelari. Il ricorso è infondato in tema di misure cautelari personali, per valutare il pericolo che l’indagato commetta ulteriori reati della stessa specie di quelli per i quali si procede, occorre valutare la sua pericolosità sociale in relazione alle specifiche modalità del fatto e alla personalità dell’indagato, con riferimento alla sua capacità a delinquere e alla condotta tenuta in occasione del reato. A tali principi si è attenuta l’ordinanza impugnata da cui emerge chiaramente il pericolo di reiterazione criminosa, l’elevata quantità di droga trasportata, la lucida consapevolezza nell’intento delittuoso, l’assenza di collaborazione da parte dell’uomo. Custodia cautelare in carcere come extrema ratio”. La Suprema Corte concorda, dunque, con i giudici di merito sul fatto che le concrete esigenze cautelari non fossero contenibili se non mediante la misura estrema della custodia cautelare in carcere, non potendo confidarsi sulla buona volontà dell’imputato ed essendo stata accertata la sua pericolosità che non può essere contenuta con misure meno afflittive. Non a caso, l’adeguatezza della misura in concreto applicata va valutata anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato degli obblighi e delle prescrizioni che a detta misura siano eventualmente collegati. Gli arresti domiciliari sono inadeguati quando Tenuto conto delle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, co. 1, lett. c , c.p.p., gli arresti domiciliari risultano inadeguati quando la personalità del soggetto induca a ritenere che quest’ultimo possa essere propenso a disubbidire all’ordine di non allontanarsi dal domicilio. È quanto emerge nel caso di specie dove è apparsa evidente l’assenza di una capacità di autocontrollo attraverso la scelta di un diverso stile di vita, dedito ai facili guadagni attraverso il commercio della droga e la condotta connotata da particolare astuzia. Necessaria una prognosi di spontaneo adempimento dei domiciliari. Ai fini dell’idoneità della custodia domestica a tutelare l’esigenza cautelare è, quindi, necessaria una prognosi di spontaneo adempimento da parte del prevenuto delle prescrizioni e degli obblighi connessi ai domiciliari. Questo soppesando, nella loro globalità, sia la gravità e le circostanze di fatto sia la personalità dell’imputato. Detto ciò, il ricorso va respinto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 dicembre 2013 – 3 febbraio 2014, numero 5121 Presidente Fiale – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 26 luglio 2013, il Tribunale del riesame di Ancona rigettava l'appello cautelare proposto nell'interesse di A.E. , confermando l'ordinanza con la quale la locale Corte di appello aveva respinto l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con altra misura meno afflittiva. La cautela era stata adottata per il reato di cui agli artt. 73 e 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 per aver l'A. detenuto Kg. 2,118 di cocaina suddivisi in due panetti, occultati in un vano appositamente creato nella autovettura di sua proprietà e da lui condotta. Il Tribunale respingeva l'appello sul rilievo che il quadro indiziario era ormai cristallizzato sia sulla base della precedente pronuncia emessa dal medesimo Tribunale in sede di riesame, fonte del cosiddetto giudicato cautelare, sia sulla base delle sentenze di condanna, di primo grado e di appello, emesse a carico dell'imputato, ove era risultata accertata, seppure ancora non irrevocabilmente, la responsabilità per il fatto contestato e delineata la sua gravità, cui era conseguita la elevata pena applicata, peraltro a seguito di processo celebrato con il rito abbreviato. Né erano stati dedotti, né si ravvisavano, ad avviso del Tribunale distrettuale, elementi sintomatici di una possibile attenuazione del grave quadro cautelare descritto nell'ordinanza applicativa della misura cautelare e nell'ordinanza adottata in sede di riesame del provvedimento restrittivo. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione A.E. , a mezzo del proprio difensore, sollevando due specifici motivi di gravame. 2.1. Con il primo motivo, denunziando la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , il ricorrente lamenta la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato, in quanto l'ordinanza gravata, da un lato, sarebbe priva di motivazione in ordine alla insussistenza delle esigenze cautelari e, dall'altro, non avrebbe fornito alcuna risposta alle specifiche doglianze sollevate dalla difesa quanto allo spessore delle esigenze cautelari ed alle ragioni per le quali potessero essere soddisfatte unicamente con la custodia cautelare in carcere. 2.2. Con il secondo motivo, parzialmente collegato al primo, il ricorrente, denunziando violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b e lett. e , cod. proc. penumero , lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato. Sostiene il ricorrente come l'ordinanza impugnata risulti assunta in violazione dell'art. 275 cod. proc. penumero sul rilievo che la difesa aveva addotto e documentato la sussistenza di elementi - e specificamente la assoluta incensuratezza e la piena collaborazione offerta nella fase delle indagini, la volontà di sottoporsi ad interrogatorio, la presenza in ogni udienza, la assenza di ogni pericolo di fuga - da cui potevasi trarre il convincimento della insussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la custodia in carcere, o della sufficienza di misure cautelari attenuate. Il Tribunale del Riesame, avendo ritenuto che solo la misura di massimo rigore fosse idonea per la salvaguardia delle ravvisate esigenze cautelari, non ha spiegato, ad avviso del ricorrente, le ragioni per le quali dette esigenze non potessero - in relazione al caso concreto - essere soddisfatte con altre misure, ed in particolare con quella degli arresti domiciliari, così come richiesto dalla difesa nella originaria istanza di revoca o di attenuazione della misura cautelare in corso di esecuzione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato. 2. Quanto al primo motivo, l'ordinanza impugnata non merita le censure che le vengono mosse, essendo corretto l'apparato motivazionale che la sorregge, avuto particolare riguardo alla ritenuta sussistenza del pericolo di ripetizione criminosa specifica art. 274,comma l,lett. c , cod. proc. penumero . In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo che l'indagato commetta ulteriori reati della stessa specie di quelli per i quali si procede, la pericolosità sociale deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità del fatto e dalla personalità dell'indagato. Quest'ultima può essere desunta da comportamenti o atti concreti o dai precedenti penali della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato. Ne consegue che può essere attribuita una duplice valenza alle modalità ed alle circostanze del fatto, potendo le stesse rilevare sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto sub iudice e sia sotto il profilo dell'apprezzamento della personalità dell'indagato e dunque della sua capacità a delinquere. La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo prevalente e consolidato negli anni, è infatti orientata nel ritenere che la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell'agente Sez. 1, numero 277 del 21 febbraio 1996, Esposito, RV. 203726 cui adde Sez. 3, numero 2631 del 23 luglio 1996, Sinani RV. 205820 Sez. 5, numero 1416 del 4 agosto 1999, Marchegiani, RV. 214230 Sez. 2, numero 726 del 21 febbraio 2000, De Core, RV. 215403 Sez. 3, numero 1384 del 4 maggio 2000, Penna, RV. 216304 Sez. 6, numero 45542 del 21 dicembre 2001, Russo, RV. 220331 Sez. 3, numero 1995 del 23 aprile 2004, Ristic, RV. 228882 Sez. 5, numero 49373 del 05/11/2004, Esposito, Rv. 231276 e di recente Sez. 2, numero 18290 del 12/04/2013, Molisso, Rv. 255755 , tanto sul rilievo che la valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi dai criteri stabiliti dall'art. 133 cod. penumero , fra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto-reato, con la conseguenza che non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità del soggetto. Al rispetto di tali criteri non si è sottratta l'impugnata ordinanza, avendo il Tribunale spiegato come l'esistenza del quadro cautelare fosse chiaramente desumibile, in relazione al pericolo di reiterazione criminosa, dalla elevata quantità di cocaina trasportata e dall'occultamento della medesima in un vano appositamente ricavato nell'auto di proprietà dell'imputato, presupponendo ciò una lucida consapevolezza e chiarezza nell'intento delittuoso. Del resto nessuna collaborazione risultava essere stata prestata vr^i-. dall'imputato, come affermato invece dalla difesa, e stigmatizzato nella motivazione della sentenza del giudice di appello, ove si era precisato come, ai fini della chiesta concessione delle attenuanti generiche, non fosse stato possibile valorizzare alcun comportamento positivo da parte del ricorrente, né nei fatti posti in essere, né nella condotta processuale mantenuta. Anzi la Corte di appello non aveva esitato a definire l'imputato come persona priva di scrupoli, abituata a vivere e a gestire i propri affari in maniera illegale”. Né poteva ritenersi decisivo il tempo trascorso in carcere, da considerarsi neutro in mancanza di altri elementi sopravvenuti che avessero potuto attenuare il quadro cautelare e neppure la dedotta incensuratezza, tanto più che l'imputato aveva un precedente recente, seppure contravvenzionale, o tantomeno la particolare giovane età, come dedotta dalla difesa, essendo l'imputato quarantenne. Piuttosto può ritenersi l'insussistenza del pericolo di fuga, la cui valutazione, in tema di esigenze cautelari, deve fondarsi sulla concretezza di tale pericolo che, pur non esigendo i segni di una attività in itinere, richiede comunque la presenza di elementi indicativi della volontà dell'indagato di sottrarsi alla condanna, non potendo l'apprezzamento essere limitato alla sola gravità della pena irrogata, dovendosi valutare, sebbene nell'ambito di un giudizio prognostico, altri elementi, anche in via alternativa purché oggettivi e concreti, quali la situazione di vita del soggetto, le sue frequentazioni, i precedenti penali, i procedimenti in corso, le possibilità economiche, i suoi collegamenti. La ritenuta sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c cod. proc. penumero determina comunque il rigetto del proposto motivo. 3. Parimenti infondato è anche il secondo motivo di gravame che va scrutinato limitatamente alla doglianza circa la presunta violazione del principio di adeguatezza, essendo gli altri profili assorbiti da quanto innanzi esposto con riferimento al primo motivo di impugnazione. Posto che le allegazioni del ricorrente piena collaborazione offerta nella fase delle indagini, volontà di sottoporsi ad interrogatorio, presenza alle udienze, assenza del pericolo di fuga sono, da un lato, irrilevanti presenza alle udienze e, dall'altro, risultano smentite dalla sentenza di appello resa nel giudizio di cognizione, la doglianza è diretta a censurare, sulla base della sola incensuratezza peraltro non piena , il difetto di motivazione circa le ragioni per le quali le esigenze cautelari non fossero, in relazione al caso concreto, salvaguardabili con altre misure, ed in particolare con quella degli arresti domiciliari. Sul punto, va osservato come il Tribunale abbia congruamente e logicamente motivato nel senso di ritenere che, atteso lo spessore delle ravvisate esigenze cautelari, queste non fossero contenibili se non mediante la misura estrema della custodia cautelare in carcere, non potendo confidarsi sulla buona volontà e coscienza dell'imputato, né sussistendo alcun elemento concreto che potesse fondare una prognosi positiva di rispetto degli ambiti di libertà connaturati a misure meno afflittive, che avrebbero frustrato del tutto le ravvisate esigenze cautelari. La motivazione, in quanto collegata allo spessore delle esigenze cautelari ed al fondato giudizio di pericolosità in proposito formulato, si risolve in un apprezzamento della pericolosità del ricorrente, sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere ai fini della concessione degli arresti domiciliari, che è riservato al giudice di merito ed è incensurabile nel giudizio di legittimità, in assenza di illogicità della motivazione. Per quanto attiene, infatti, ai criteri da seguire per valutare l'inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari rispetto alla custodia in carcere, che costituisce la extrema ratio , questa Corte ha più volte ribadito come l'adeguatezza della misura in concreto applicata vada valutata anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell'indagato degli obblighi e delle prescrizioni che a detta misura cautelare siano eventualmente collegati Sez. 2, numero 2170 del 27/03/1998,dep. 14/01/1999, Brescia, Rv. 212294 , precisando come assuma particolare rilievo la pericoiosita dell'indagato Sez. 6, numero 2852 del 02/10/1998, Lamsadeq, Rv. 211755 . Pertanto, con specifico riferimento ai criteri di scelta delle misure coercitive custodiali, l'inadeguatezza degli arresti domiciliari, in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all'art. 274, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero può essere ritenuta sia quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto precedenti evasioni non necessariamente infraquinquennali, episodi di inosservanza a regole o prescrizioni inducano a ritenere che quest'ultimo possa essere propenso a disubbidire all'ordine di non allontanarsi dal domicilio, in violazione della cautela impostagli, sia quando la gravità del fatto, le motivazioni di esso e la pericolosità dell'indagato depongano nel medesimo senso, ossia per la propensione all'inosservanza delle prescrizioni, soprattutto nei casi, come nella specie, dove è apparsa evidente l'assenza di una capacità di autocontrollo attraverso la scelta di uno stile di vita, dedito ai facili guadagni attraverso il commercio della droga, la possibilità di eludere ogni sorveglianza per il contatto con organizzazioni criminali di alto livello tali da procurare Kg. 2,118 di cocaina, le modalità della condotta connotate da particolare astuzia, essendo la droga suddivisa in due panetti, occultati in un vano appositamente creato nella autovettura di sua proprietà e da lui condotta. Ne consegue che, ai fini della valutazione della idoneità della custodia domestica a tutelare la esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c cod. proc. penumero , la previsione circa la detta idoneità va eseguita con specifico riferimento alla sussistenza o meno, in concreto, di una prognosi di spontaneo adempimento da parte del prevenuto delle prescrizioni e degli obblighi connessi all'esecuzione della misura degli arresti domiciliari. Tale valutazione va eseguita soppesando, nella loro globalità, sia gli elementi inerenti alla gravità ed alle circostanze del fatto e sia quelli inerenti alla personalità del prevenuto nel senso che la concessione degli arresti domiciliari è preclusa nella misura in cui - sulla base di dati fattuali concreti, anche desumibili da massime di esperienza, e dunque non meramente astratti o congetturali - sia possibile ritenere che l'imputato si sottragga all'osservanza delle prescrizioni attraverso il mancato assolvimento degli obblighi connessi all'esecuzione della misura cautelare domestica. Avendo l'ordinanza impugnata tenuto conto di tali aspetti, la doglianza deve ritenersi infondata. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario perché provveda ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente, a norma dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero .