L’aggravante della violenza sulle cose, in caso di furto, è configurabile allorquando l’agente abbia fatto uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo con un mutamento di destinazione, la resistenza posta a difesa della cosa.
Con la sentenza numero 4008/19, depositata il 28 gennaio, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro la pronuncia d’appello che aveva confermato la condanna di prime cure inflitta ad un’imputata per il reato di furto di alcuni capi di abbigliamento aggravato dalla violenza sulle cose. Con il ricorso, la difesa contestava il riconoscimento della predetta aggravante avendo la donna asportato il dispositivo antitaccheggio con apposito attrezzo senza danneggiare o alterare né il dispositivo stesso né il capo, che potevano dunque essere nuovamente utilizzati. Sussistenza dell’aggravante. La Corte ricorda che l’articolo 392, comma 2, c.p. definisce la “violenza sulle cose”, a fini penali, il danneggiamento, la trasformazione o il mutamento di destinazione della cosa. In tema di furto, sussiste dunque l’aggravante in parola laddove il soggetto, per commettere il fatto, si avvalga della forza fisica diretta a vincere la resistenza che la natura o l’uomo ha posto a difesa della cosa altrui. Sussiste dunque l’aggravante anche nel caso in cui l’energia fisica non sia rivolta verso la cosa, ma verso lo strumento posto a sua protezione sempre che abbia riportato una qualche conseguenza come la rottura, il guasto, il danneggiamento o la trasformazione. Nel caso di specie, la ricorrente aveva asportato i dispositivo antitaccheggio con uno strumento simile a quello normalmente utilizzato dai negozianti ma tale circostanza non vale ad escludere l’aggravante. L’asportazione, seppur non dannosa, dell’antitaccheggio ne ha infatti comportato un mutamento di destinazione in quanto, separato dal capo esposto in vendita, il dispositivo non era più in grado di attivare i segnalatori acustici ai varchi d’uscita, risultando in sostanza impedita la sua essenziale funzione di difesa. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 dicembre 2018 – 28 gennaio 2019, numero 4008 Presidente Miccoli – Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 14 giugno 2017 del Tribunale di Monza, che, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato l’odierna ricorrente alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di cui all’articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., comma 1, numero 2, applicando le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla aggravante della violenza sulle cose e la diminuzione di pena per la scelta del rito. 2. Ricorre per cassazione G.O.P.D.L. , a mezzo del suo difensore, affidandosi a due motivi con i quali deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , violazione dell’articolo 625 c.p., comma 1, numero 2, e, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata. 2.1 In particolare, con il primo motivo deduce che i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante della violenza sulle cose, prevista dalla citata disposizione, in presenza di una condotta dell’imputata consistita nel rimuovere lo strumento antitaccheggio applicato al capo di abbigliamento asportato dal negozio, sebbene tale condotta non avesse danneggiato o alterato né il vestito, né la placca antitaccheggio, essendo stato a tal fine utilizzato uno strumento simile a quello abitualmente adoperato dai negozianti. Neppure, sosteneva la ricorrente, vi era stata trasformazione o modifica della destinazione di detti oggetti, che potevano essere nuovamente utilizzati ed esibiti per la vendita. Non ricorreva quindi la violenza sulle cose, come definita dall’articolo 392 c.p., comma 2. 2.2 Con il secondo motivo deduce che il Tribunale, per motivare sulla sussistenza della aggravante, avrebbe utilizzato argomentazioni del tutto confuse, affermando che vi sarebbe stata alterazione della complessiva consistenza originaria della merce , mentre la Corte di Appello aveva integrato detta motivazione osservando illogicamente che tale sostanziale modifica è derivata da una condotta particolarmente determinata e accuratamente preordinata, posta in essere dall’imputata, che rivela una predisposizione dei mezzi ed addirittura una sia pure rudimentale organizzazione di mezzi per la perpetrazione di reati della stessa specie contro il patrimonio e quindi facendo riferimento alla ragione giustificatrice di circostanze aggravanti diverse da quella contestata. 2.3 Sostiene, quindi, che venendo meno l’aggravante contestata e non essendo la querela stata sporta da soggetto dotato dei relativi poteri, la sentenza deve essere annullata senza rinvio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Ai sensi dell’articolo 392 c.p., comma 2, agli effetti della legge penale - e quindi anche al fine di ritenere sussistente l’aggravante prevista dall’articolo 625 c.p., comma 1, numero 2, - si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione. 3. In tema di furto, sussiste l’aggravante della violenza sulle cose ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo immutandone la destinazione, la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui Sez. 5, numero 53984 del 26/10/2017, Amoroso, Rv. 27188901 , in modo che per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione sia necessaria un’attività di ripristino Sez. 5, numero 7267 del 08/10/2014 - dep. 2015, Gravina, Rv. 26254701 . Inoltre, sussiste la menzionata aggravante anche qualora l’energia fisica sia rivolta dal soggetto non sulla res oggetto dell’azione predatoria, ma verso lo strumento posto a sua protezione, purché sia stata prodotta una qualche conseguenze su di esso, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione Sez. 5, numero 20476 del 17/01/2018, Sforzato, Rv. 27270501 . 4. Nel caso di specie, secondo la ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza impugnata, il furto è stato commesso asportando la placca antitaccheggio utilizzando un attrezzo simile a quelli abitualmente utilizzati dai negozianti, cosicché non sono stati arrecati danni all’indumento sottratto e alla placca antitaccheggio. Tuttavia l’asportazione della placca dall’indumento al quale era stata apposta - compiuta dall’imputata mediante l’impiego di energia fisica ed utilizzando un apposito strumento - ha comportato un mutamento di destinazione della placca, in quanto essa, separata dall’articolo esposto in vendita, non seguendo quest’ultimo nei suoi spostamenti, non è più in grado di attivare i segnalatori acustici ai varchi di uscita e quindi di segnalare al negoziante che il bene sta per essere portato fuori dell’esercizio commerciale senza che sia stato pagato il relativo prezzo essa non può più svolgere la sua funzione di difesa dal furto che aveva indotto il negoziante ad applicarla al bene offerto in vendita e per riportare la placca a svolgere detta funzione è necessaria un’attività di ripristino consistente nella riapplicazione della placca all’indumento mediante un apposito attrezzo. Tale mutamento di destinazione integra la violenza sulle cose ai sensi delle citate disposizioni. Può quindi ritenersi sussistente l’aggravante contestata in caso di manomissione della placca antitaccheggio, conformemente alla pacifica giurisprudenza di legittimità vedi Sez. 5, numero 33898 del 12/06/2017, Temelie, Rv. 27047801 . Ne consegue che non sussiste la violazione di legge dedotta dalla ricorrente. 5. Quanto alla lamentata illogicità della motivazione, il motivo è inammissibile. Non sono denunciabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad argomentazioni giuridiche delle parti, in quanto, se il giudice ha errato nel non condividerle, si configura il diverso motivo della violazione di legge, mentre, se fondatamente le ha disattese, non ricorre alcuna illegittimità della pronuncia, anche alla luce della possibilità, per la Corte di cassazione, di correggere la motivazione del provvedimento ex articolo 619 cod. proc. penumero Sez. 1, numero 49237 del 22/09/2016 - dep. 2017, Emmanuele, Rv. 27145101 Sez. 5, numero 4173 del 22/02/1994, Marzola, Rv. 19799301 Sez. 1, numero 4931 del 17/12/1991 - dep. 1992, Parente, Rv. 18891301 . 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.