La buona fede va intesa in termini di non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, della utilità fornita, con l’erogazione del credito, al soggetto portatore di pericolosità, con la conseguenza che non può ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre conoscibile.
Il caso. La Corte d’Appello di Milano rigettava la domanda di ammissione al pagamento del credito avanzata dalla banca B. S.p.A. in riferimento a crediti garantiti da ipoteca su beni oggetto di confisca definitiva in danno di V.G In particolare, originariamente erano stati stipulati dei contratti di mutuo ipotecario tra la banca e la società V. S.r.l. – con ipoteca iscritta su beni immobili di proprietà della società – e le somme erogate erano state utilizzate da quest’ultima per acquistare altri immobili successivamente, la società V. S.r.l. era stata confiscata poiché ritenuta strumentale alla realizzazione di condotte illecite da parte del V.G., risultato legato alla criminalità organizzata. Donde, argomentava la Corte d’Appello milanese nella propria ordinanza reiettiva, stante la evidente sussistenza di un nesso di strumentalità anche tra l’erogazione del credito e la prosecuzione dell’attività illecita, l’ente bancario non può opporre una condizione di incolpevole conoscenza di tale nesso, non risultando corrette le procedure seguite per la concessione del mutuo ad una società le cui quote erano, tra l’altro, quasi interamente intestate da una società fiduciaria all’evidente, o comunque sospetto, fine – non approfondito – di occultamento della reale identità del soggetto beneficiario. Conseguentemente, la Corte ha ritenuto di non riconoscere la condizione di buona fede del terzo e, per l’effetto, ha respinto la domanda di ammissione al pagamento del credito. Avverso l’ordinanza de qua ricorreva per Cassazione l’istituto di credito, rilevandone vizio motivazionale, travisamento della prova ed erronea applicazione della norma penale in relazione alla mancata valutazione della ricorrenza della propria buona fede nell’erogazione del mutuo in favore della società successivamente confiscata. L’erogazione del mutuo ed il rischio di riciclaggio. La verifica dell’atteggiamento soggettivo della banca nell’erogazione del credito ad una società poi risultata strumentale ad attività illecite deve essere effettuata attraverso la disamina di alcuni indicatori logici e storici precipuamente afferenti l’avvenuto impiego della particolare diligenza richiesta per tale tipologia di operazione finanziaria. Nel caso di specie, benché la contrattazione formale avvenne con il legale rappresentante della V. S.r.l., persona diversa dal V.G., la particolare condizione della stessa – società di recente costituzione, operane nel settore immobiliare e con quote intestate fiduciariamente – avrebbe imposto una accurata verifica circa identità, attività e solvibilità del reale beneficiario, aspetti in realtà totalmente trascurati dalla banca che, al contrario, si era accontentata dell’avvenuta iscrizione di ipoteca sugli immobili oggetto di acquisto per il tramite della somma erogata con il mutuo. Ora, se da un lato è chiaro che l’ente creditizio non è titolare di autonome prerogative investigative, dall’altro è pur vero tuttavia che lo stesso deve fornire dimostrazione di aver proceduto ad una verifica accurata delle caratteristiche soggettive del soggetto richiedente l’erogazione del mutuo, in punto sia di affidabilità che di solvibilità, proprio al fine di evitare quanto concretizzatosi nel caso di specie, ovvero che attraverso l’erogazione del mutuo venga realizzata una sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto. La prova della c.d. buona fede del terzo. Il trasferimento ex lege dell’onere probatorio in capo al creditore delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito si concretizza nella dimostrazione della assenza del nesso di strumentalità tra l’erogazione del credito e l’attività illecita o, in alternativa, della condizione soggettiva di ignoranza scusabile di tale nesso. La buona fede va intesa in termini di non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, della utilità fornita, con l’erogazione del credito, al soggetto portatore di pericolosità, con la conseguenza che non può ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre conoscibile. Infatti, il riconoscimento della estraneità del credito a nessi funzionali di strumentalità illecita – cui è equiparata la prova della ignoranza in buona fede di tale strumentalità – altro non rappresenta che la formalizzazione normativa della pregressa elaborazione giurisprudenziale per cui la estraneità del terzo alla condotta illecita altrui segna il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 aprile – 26 settembre 2019, numero 39574 Presidente Sandrini – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Milano con ordinanza emessa in data 27 settembre 2018 ha respinto la domanda di ammissione al pagamento del credito D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52 e ss. avanzata da Banco BPM s.p.a. in riferimento a crediti grarantiti da ipoteca su beni oggetto di confisca definitiva in danno di V.G. . 1.1 In fatto si espone che a i contratti di mutuo ipotecario per Euro 350.000 ciascuno sono intervenuti tra la Banca Popolare di Lodi s.pa. ente incorporato con altri istituti di credito, successivamente riuniti nel 2016 in BPM, attuale attore e la società VMDM s.r.l. nelle date del 16 marzo 2009 e 18 settembre 2009, con attuale credito pari ad Euro 307.411,10 b l’ipoteca, in entrambi i casi, è stata iscritta su beni immobili di proprietà della VMDM s.r.l. in omissis . Le operazioni hanno finanziato l’acquisto di immobili c la confisca, previo sequestro del 2014, è intervenuta nel 2015 ed è divenuta definitiva il 29.9.2017 d la VMDM s.r.l. aveva ad oggetto sociale l’attività di compravendita ed edificazione di immobili. 1.2 Sul piano della valutazione dei presupposti di legge per la ammissione del credito alla tutela, la Corte di Appello evidenzia che - pur trattandosi di operazione finanziaria antecedente al sequestro - l’ente erogatore non può ritenersi portatore di una condizione di buona fede. Si evidenzia, in proposito, che le condotte illecite del V. - soggetto risultato legato alla ‘ndrangheta sin dal 2007 - sono state realizzate, nel corso del tempo, anche mediante la società VMDM ritenuta una società cassaforte per l’operatività del gruppo mafioso il che rende sussistente la strumentalità tra erogazione del credito e prosecuzione dell’attività delittuosa. L’ente bancario non può opporre una condizione di incolpevole conoscenza di tale nesso, non risultando corrette le procedure seguite all’epoca - per la concessione del mutuo. 1.3 In particolare viene evidenziato che le quote della VMDM erano intestate per la quasi totalità ad una società fiduciaria e tale circostanza non è stata approfondita in modo adeguato o almeno non risultano verifiche nella documentazione esibita in sede di erogazione del mutuo, con sospetto occultamento della reale identità del soggetto beneficiario. Sul punto, si evidenzia che in una conversazione intercettata - avvenuta nel 2011 - è lo stesso V. a fare riferimento alla necessità di svelare alla banca, in sede di contrattazione, il reale beneficiario della operazione. Pur non potendo dirsi che la captazione si riferisca alle operazioni di cui oggi si chiede tutela, secondo la Corte di merito ciò è indicativo del modus operandi seguito in simili occasioni. Ne deriva la considerazione per cui la carenza di verifiche operate all’epoca esclude di poter riconoscere - secondo la corrente elaborazione giuroisprudenziale - la condizione di buona fede. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - la società Banco BPM s.p.a È seguito deposito di memoria integrativa. 2.1 Al primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova. La Corte di Appello erra sulla data iniziale della attività associativa riferibile al V. che è quella del 2009 e non il 2007, come recepito dalla requisitoria del PG territoriale e non considera che le contrattazioni avvennero con il legale rappresentante della società, soggetto diverso dal V. ed immune da pregiudizi. La Banca Popolare di Lodi non aveva elementi - all’epoca - per dedurre la ipotizzata strumentalità del credito alle attività illecite del V. . Inoltre, si evidenzia che la conversazione citata nella decisione è intervenuta nel 2011 e non è certamente riferibile alla erogazione dei mutui in questione, avvenuta nel 2009. Appare inoltre sfornita di prova la considerazione circa la qualità di società cassaforte del gruppo mafioso, attribuita alla VMDM, anche in ragione del fatto che la società era stata costituita solo nel 2008. La garanzia della banca - nel 2009 - era dunque rappresentata principalmente dalla esistenza degli immobili ipotecati. Sono stati prodotti gli assegni circolari, emessi direttamente in favore della società venditrice, il che rappresenta - in tesi - ulteriore dato attestante la piena regolarità della operazione. 2.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice. A parere del ricorrente la valutazione della ricorrenza della buona fede, in ogni caso, andava rapportata ai principi di diritto vigenti all’epoca e non ai contenuti del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52, ritenuti peggiorativi sul piano dell’onere dimostrativo. In rapporto all’epoca di erogazione del mutuo le verifiche operate dall’istituto bancario appaiono sufficienti e l’operazione non mostrava indicatori di anomalia. 2.3 Nella successiva memoria, in replica ai contenuti della requisitoria del P.G. presso questa Corte che ha chiesto il rigetto del ricorso si ribadisce la validità degli argomenti esposti nel ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono. 1.1 Quanto al primo motivo, ferma restando la ricorribilità del provvedimento impugnato anche per vizi di motivazione trovando applicazione la previsione regolatrice di cui all’articolo 666 c.p.p., comma 6 va evidenziato che le doglianze esposte nel ricorso da un lato appaiono non decisive, dall’altro risultano incomplete. 1.2 Va premesso che l’esistenza del nesso di strumentalità tra l’erogazione del credito e l’attività illecita anche in termini di creazione delle condizioni di fatto per un reimpiego, dato il contenuto della previsione di legge che prevede espressamente tale declinazione della strumentalità deriva, sul piano oggettivo, dalle verifiche operate nella decisione che - in cognizione - ha dato luogo alla confisca, che possono essere sinteticamente richiamate nella decisione esecutiva. Nella decisione impugnata ciò appare realizzato e la doglianza esposta nel ricorso quanto al dies a quo dell’attività associativa riferibile al V. non ha carattere di decisività, posto che il periodo storico di erogazione dei mutui 2009 coincide con quello di contaminazione illecita dell’attività di impresa 2009 . 1.3 Dunque, in tale cornice, diventa rilevante - a fini di tutela - la verifica circa l’atteggiamento soggettivo della banca, per come lo stesso può essere ricostruito attraverso una serie di indicatori logici e storici, relativi all’avvenuto impiego - o meno della particolare diligenza richiesta per tale tipologia di operazioni. Sul punto la difesa dell’istituto bancario non si confronta in modo adeguato con i contenuti della decisione impugnata. Ciò perché, dando per assodato che la contrattazione formale risulta avvenuta con il legale rappresentante - persona diversa dal V. - la Corte di Appello di Milano ha evidenziato che la particolare condizione della neonata società VMDM - con quote intestate fiduciariamente - avrebbe imposto una accurata verifica circa identità, attività e solvibilità del reale beneficiario, aspetto del tutto trascurato all’epoca o, per converso, oggetto all’epoca di verifica informale non disvelata nella procedura di ammissione del credito perché pregiudizievole . La vigenza di discipline di settore - anche all’epoca dei fatti - orientate alla repressione del riciclaggio realizzato attraverso il successivo pagamento dei ratei di mutuo avrebbe, in sostanza, imposto un più elevato livello di verifica degli assetti effettivi di una società operante nel settore immobiliare, proprio in ragione della sua recente costituzione, lì dove la banca attrice - per sua stessa ammissione - si accontenta della avvenuta iscrizione di ipoteca sugli immobili oggetto di acquisto. In tal senso nessun travisamento può dirsi operato in riferimento ai contenuti della conversazione citata in motivazione dai giudici territoriali. Ciò perché la Corte di Appello appare ben consapevole della non riferibilità diretta di tale conversazione alle operazioni in scrutinio, ma utilizza i contenuti della captazione - in modo del tutto consentito - come indicatori logici di quella necessità di approfondimento che non risulta assecondata nelle due operazioni in esame. Da ciò deriva la infondatezza del primo motivo di ricorso. 2. Quando al secondo motivo, questa Corte di legittimità ha più volte chiarito come la operazione di formalizzazione legislativa D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52 si sia posta in sostanziale continuità con i criteri elaborati in giurisprudenza sin dagli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso sul tema della tutela dei crediti incisi da decisioni di confisca. Sin dalla emersione della casistica giurisprudenziale - in assenza di regolamentazione espressa, con applicazione sino al 2011 di principi generali dell’ordinamento - si è infatti sostenuto che la parte istante ha un onere dimostrativo della fondatezza della sua pretesa, e su tale aspetto la legislazione del 2011 non ha determinato alcun aggravio della condizione sostanziale o processuale. 2.1 Più semplicemente, il legislatore, in virtù della accertata nel procedimento che ha dato luogo alla confisca pericolosità soggettiva del soggetto cui è riferibile il bene confiscato, ha costruito una presunzione relativa di strumentalità del credito ricevuto da tale soggetto, credito che lì dove abbia consentito l’acquisto di un immobile ha reso possibile - di fatto - una operazione di tendenziale reimmissione nel circuito economico attraverso il pagamento del mutuo di capitali di provenienza illecita con ciò assicurando il frutto di tale attività o comunque il rempiego di detti capitali, caratteri evidenziati dal legislatore nel D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52 . Si tratta di una conseguenza legale del procedimento che ha dato luogo alla confisca, come del resto si è ritenuto in virtù della elaborazione giurisprudenziale sul tema, ribadita da Sez. Unumero Civili numero 10532 del 7.5.2013, che conferma la lettura della nuova norma nel senso di permanenza dell’onere probatorio in capo al creditore delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito. Ciò determina ex lege il traferimento sul creditore di un onere dimostrativo, teso ad invertire la presunzione di cui sopra, che verte o sulla dimostrazione di assenza di tale condizione di strumentalità dimostrazione resa obiettivamente difficile dall’intervenuto accertamento di pericolosità soggettiva del debitore, pur se possono rilevare i tempi della contrattazione rispetto alla insorgenza di tale condizione o sulla condizione soggettiva di ignoranza scusabile di tale nesso. 2.2 Sul punto, i criteri logici e giuridici sono rimasti, in tema di riconoscimento della buona fede, sostanzialmente immutati nel corso del tempo. La buona fede veniva già intesa in termini di non conoscibilità - con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - della utilità fornita, con l’erogazione del credito, al soggetto portatore di pericolosità. Si veda - in proposito - l’orientamento espresso - tra le molte - da Sez. I, 29.4.2011, numero 30326, circa l’identificazione delle condizioni che portano al riconoscimento del diritto del terzo estraneo all’illecito , nel senso che va di certo esclusa una accezione della buona fede che, facendo leva sulla necessità di un atteggiamento doloso del terzo, finisca per attribuire alla relativa nozione un ambito estremamente restrittivo, al punto da configurare la posizione soggettiva del detto terzo come necessaria adesione consapevole e volontaria alla altrui attività illecita. Per rendersi conto della insostenibilità di una simile tesi basta considerare che rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento, che trascende la ripartizione tra diritto civile e diritto penale, quello per cui la nozione di colpevolezza o di volontà colpevole abbraccia sia il dolo che la colpa e che, conseguentemente, un comportamento non può classificarsi come incolpevole non soltanto quando esso sia qualificato dal dolo vale a dire, dalla consapevolezza e dalla volontà della condotta e dell’evento , ma anche quando tale consapevolezza e tale volontà siano mancate in dipendenza di un atteggiamento colposo dovuto ad imprudenza, negligenza ed imperizia sicché non può parlarsi di comportamento incolpevole qualora il fatto, pur non essendo stato conosciuto, sia tuttavia conoscibile con l’uso della ordinaria diligenza e prudenza . In buona sostanza, deve ritenersi esistente un nesso di alternatività e di reciproca esclusione tra buona fede e affidamento incolpevole, da un canto, e addebitabilità della mancata conoscenza dovuta a colpa, dall’altro, di guisa che l’esistenza dell’un requisito deve reputarsi incompatibile con l’altro con l’ulteriore conseguenza che non può certamente ipotizzarsi una condizione di buona fede e di affidamento incolpevole allorquando un dato fatto illecito non sia stato conosciuto ma risultasse pur sempre conoscibile , se non avesse spiegato incidenza sulla rappresentazione del reale uno stato soggettivo addebitabile a condotta colposa. 2.3 Tale assetto risulta sostanzialmente recepito nella articolata disciplina introdotta dal D.Lgs. numero 159 del 2011, ove si è formalizzato un vero e proprio sub-procedimento articolo 52 e ss. D.Lgs. numero 159 teso a regolamentare i criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede, a determinare le condizioni di accesso al riconoscimento di detti crediti, a tutelare la par condicio creditorum articolo 57 e ss. , ad estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante articolo 55 D.Lgs. numero 159 , solo per segnalarne alcuni punti qualificanti. Si tratta di una disciplina particolarmente articolata, mossa dalla esigenza primaria di qualificare in diritto le modalità di acquisto al patrimonio dello Stato dei beni confiscati in via definitiva a titolo originario, come viene espresso nell’articolo 45 del D.Lgs. numero 159 al contempo fornendo tutela ai creditori ante-sequestro di accertata buona fede siano essi assistiti o meno da diritti reali di garanzia e ciò allo scopo di ridurre le incertezze manifestatesi in passato sul tema e rendere omogenei e prevedibili nei loro esiti i contenziosi, di notevole impatto economico. L’opzione legislativa di fondo è del tutto chiara l’estinzione di diritto delle garanzie reali all’atto della confisca in tanto è possibile in quanto venga contestualmente fornita al titolare del diritto di credito una adeguata tutela delle sue ragioni. Si tratta di due facce della stessa medaglia, che portano a compimento la lunga elaborazione concettuale di dottrina e giurisprudenza sul tema. Lì dove vi sia riconoscimento della buona fede il rapporto di credito sottostante non si estingue e l’originario creditore mantiene il diritto al soddisfacimento della pretesa, nei modi anzidetti. 2.4 Quanto alla descrizione del contenuto normativo del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52 va dunque ribadito che la formalizzazione dei criteri di riconoscibilità della buona fede del creditore realizza una sostanziale continuità con l’elaborazione giurisprudenziale antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. numero 159 del 2011, già espressa da Sez. U. numero 9 del 28.4.1999, come è stato ben precisato da Sez. U. civili numero 10532 del 7.5.2013, rv 626570. Nessun rilievo - in particolare - può darsi al fatto che il presupposto della buona fede o l’affidamento incolpevole all’atto della conclusione del contratto sia stato sino alla emanazione del D.Lgs. numero 159 del 2011 ritenuto quale condizione di mantenimento del diritto di credito originario e della correlata garanzia reale, in una visione che, nel più avveduto approccio sul tema, tendeva a privilegiare la natura derivativa dell’acquisto del bene da parte dello Stato tra le altre, Sez. I civile numero 5988 del 3.7.1997, rv 505701 mentre in virtù di quanto previsto dal D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 45 l’acquisizione al patrimonio dello Stato del bene oggetto di confisca è oggi espressamente qualificata come a titolo originario, posto che è la stessa normativa sopravvenuta a recepire la necessità di contestuale tutela dei diritti dei terzi in buona fede assegnando agli stessi lo strumento risarcitorio - in tal caso - della ammissione del credito al pagamento nei confronti dell’erario. Il riconoscimento della estraneità del credito a nessi funzionali di strumentalità con l’attività illecita - cui è equiparata la prova della ignoranza in buona fede di tale strumentalità - altro non rappresenta, pertanto, che la formalizzazione normativa della pregressa elaborazione giurisprudenziale per cui la estraneità del terzo alla condotta illecita altrui segna il limite al potere statuale di soppressione delle ragioni creditorie, con contestuale riconoscimento di azionabilità della pretesa nei confronti dello Stato, qui con il limite di capienza di cui al D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 53. E la successiva norma di cui al comma 3 dell’articolo 52 nella valutazione della buona fede il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché in caso di enti alle dimensioni degli stessi non fa altro che esporre le opportune linee guida in punto di modalità della verifica norma che orienta il giudice nell’esercizio dei poteri ricostruttivi riprendendo ancora una volta i contenuti del fondamentale insegnamento rappresentato da Sez. U. numero 9 del 28.4.1999, nel cui ambito si era ampiamente evidenziata la necessità di evitare approcci generalizzanti, affermandosi che al giudice spetta il compito di valutare l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta in riferimento a quanto allegato dall’istante. Se da un lato, pertanto, è evidente che l’ente creditizio non è titolare di autonome prerogative investigative, dall’altro la dimostrazione che deve essere fornita dal creditore concerne il livello di verifica - realizzata sulla base dei dati disponibili all’epoca - delle caratteristiche soggettive del richiedente l’erogazione del mutuo, in punto di affidabilità e solvibilità derivante dalla capacità produttiva di reddito. Non può, in particolare, la dimostrazione della buona fede fondarsi sulla mera idoneità della garanzia reale e dunque sul mero valore dell’immobile posto che tale dato non assicura affatto che attraverso l’erogazione del mutuo non si realizzi un fenomeno di sostanziale ripulitura di capitali di provenienza illecita utilizzati al fine di sostenere le obbligazioni nascenti dal contratto. 2.5 Alla luce delle argomentazioni che precedono, va escluso che l’applicazione - da parte della Corte di Appello di Milano - dei contenuti del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 52, in punto di apprezzamento degli oneri dimostrativi posti a carico dell’istante, sia stata operata in violazione di legge o abbia comportato vizi della decisione. Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.