Alla Consulta il visto di censura della corrispondenza tra il detenuto al 41-bis e il suo difensore

È rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articolo 3, 15, 24, 111 e 117 Cost., anche in relazione all’articolo 6 CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera e , ord. pen., nella parte in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2 e seguenti, la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, senza escludere quella indirizzata ai difensori.

La Suprema Corte, nell’ordinanza numero 20338/21, solleva incidente di costituzionalità della normativa sul visto di censura della corrispondenza, prevista per i detenuti sottoposti al carcere duro e i loro difensori. Disciplina ‘speciale’ in quanto, al contrario dell’articolo 18- ter , comma 2, ord. penumero quale norma generale che inserisce il difensore nel ventaglio di coloro la cui corrispondenza con il detenuto comune è sottratta alle limitazioni di trattenimento delle missive , l’articolo 41- bis , comma 2- quater non stabilisce la sottrazione della corrispondenza tra imputato e difensore al visto di censura. Norma specialis inserita in un più ampio catalogo di restrizioni al trattamento finalizzate a garantire, con esclusivo riferimento ad una specifica categoria di detenuti, prevalenti esigenze preventive. Tale sbilanciamento verso tali ragioni di pubblica sicurezza sembra irragionevoli laddove sull’altro piatto della bilancia ci sono non solo e non tanto la segretezza della corrispondenza ma l’inviolabile diritto di difesa nel corredo di tutte le sue guarentigie e, in definitiva, di un fair trial . Il caso concreto. Un imputato sottoposto al 41- bis perché ritenuto esponente di vertice di un clan della ndrangheta inviò il 3 maggio 2020 dal carcere milanese nel quale era ristretto, un telegramma al suo nuovo difensore in aggiunta a quello precedentemente nominato, che lo aveva assistito in primo grado, ove era stato condannato dal Tribunale di Locri a venticinque anni di reclusione . Per il detenuto, l’utilizzo del mezzo telegrafico era legato dall’esigenza di predisporre in tempo utile un atto di appello ulteriore a quello presentato dal primo difensore nominato, impugnazione che in effetti il nuovo legale presentò il 5 giugno 2020. Il telegramma fu provvisoriamente bloccato dall’amministrazione penitenziaria che informò il presidente del tribunale, il quale dispose il trattenimento del telegramma con provvedimento che il tribunale, su reclamo dell’interessato, confermò sul rilievo della sussistenza di un pericolo concreto per l’ordine pubblico e la sicurezza . Tale pericolo sarebbe stato connesso all’ambiguità del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza non spiegabile dal modesto grado di istruzione dell’autore il quale, redigendo personalmente il reclamo, si è mostrato capace di esporre i motivi con prosa chiara e lineare . Ricorso meritevole di accoglimento anche per il Procuratore Generale. Il ricorrente lamenta l’illegittimità della motivazione, peraltro assente in prima battuta e integrata dal tribunale calabrese, per l’assenza nel telegramma di comunicazione di contenuto illecito. Il Procuratore generale ritiene fondato il ricorso chiedendo l’ annullamento con rinvio del provvedimento impugnato in quanto anche il detenuto di rigore deve conoscere, pure in modo sintetico, le ragioni del trattenimento della corrispondenza, a fortiori di quella col difensore. Il dubbio di legittimità. Invece la Suprema Corte, prima di entrare nel ‘merito’ dei motivi di legittimità del ricorso, dubita della compatibilità costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui esclude la corrispondenza diretta al difensore dal novero di quella sottoposta a visto di censura. Il vulnus viene ricondotto non solo alla segretezza della corrispondenza sotto l’ombrello dell’articolo 15 Cost. ma del diritto di difesa del detenuto nella prospettiva nell’articolo 24 Cost. e in quello del giusto processo ex articolo 111, comma 3, Cost. nella parte in cui prevede la facoltà di disporre delle condizioni necessarie per preparare le proprie difese, ed appartiene al novero dei requisiti basilari dell’equo processo, alla luce del disposto dell’articolo 6, § 3, lettera c della CEDU. Il varco aperto dalla Corte costituzionale sull’illegittima restrizione ai colloqui difensivi dei detenuti al carcere duro. La sorte della norma sottoposta alla lente della legalità costituzionale sembra essere segnata dopo il sentiero tracciato dalla Consulta nella sentenza numero 143/2013. In quell’occasione, venne dichiarato costituzionalmente illegittimo dello stesso articolo 41- bis , comma 2- quater , lettera b , ultimo periodo, limitatamente alle parole «con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari». In quella occasione venne censurato proprio l’allineamento irragionevole della disciplina dei colloqui con i difensori con quelli dei familiari . Lo sbilanciamento “incostituzionale” verso le esigenze di prevenzione. Per la sentenza numero 143/2013, premesso che la garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende la difesa tecnica e, dunque, anche il diritto - ad essa strumentale - di conferire con il difensore, la norma censurata, nella parte in cui pone limitazioni al diritto ai colloqui con i difensori nei confronti dei detenuti sottoposti alla sospensione delle regole di trattamento ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 41- bis , in particolare prevedendo che detti detenuti possono avere con i difensori, «fino a un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari» pari, rispettivamente, a dieci minuti e a un'ora determina una compressione del diritto ai colloqui in modo automatico e indefettibile all'applicazione del regime detentivo speciale, introducendo limitazioni che non possono trovare giustificazione nel bilanciamento tra il diritto di difesa e interessi di pari rilevanza costituzionale quali la protezione dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, in quanto, anche in conformità con la giurisprudenza della Corte EDU, nelle operazioni di bilanciamento, non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango, cosa che prima facie non è ravvisabile nel caso di specie. Occorre ricomporre l’equilibrio dei valori costituzionali in gioco. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’odierna ordinanza della Prima sezione di Cassazione, laddove rimarca che in caso di contrapposti interessi , tutti costituzionalmente rilevanti, nessuna ha prevalenza assoluta ma entrano in operazione di bilanciamento e trovare parziale sacrificio, ferma restando la necessità di verificare la ragionevolezza delle limitazioni concretamente apportate. Nel caso dei detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione se, da un lato, giustifica la compressione dei diritti fondamentali per neutralizzare la loro pericolosità e di difendere la società dalla criminalità organizzata ma anche maggiori limitazioni di trattamento rispetto alla generalità dei detenuti dall’altro, ritiene che l’assoluta compromissione del diritto del detenuto a mantenere una corrispondenza riservata col difensore, non superi il vaglio di ragionevolezza e non può ritenersi giustificata. Dubbi di ragionevolezza sull’equiparazione del difensore ai familiari. Per i Giudici di legittimità, dubbi di ragionevolezza si pongono nell’equiparazione tra difensori e interlocutori non qualificati come i familiari. Se, infatti, non può essere esclusa a priori l’astratta ed eccezionale eventualità che il difensore diventi veicolo di comunicazione tra il proprio cliente e il sodalizio criminale di appartenenza dello stesso, tale possibilità non può essere assunta come massima di esperienza, così come accade per i parenti e conoscenti. I difensori, invero, appartengono ad un ordine professionale, sono tenuti al rispetto del codice deontologico e sottoposte alla vigilanza disciplinare dell’ordine di appartenenza citando , mutatis mutandis , la sentenza numero 143/2013 della Consulta . Dubbi di ragionevolezza rafforzati dalla mancata equiparazione in tema di colloqui de visu . La normativa censurata appare carente, sempre sul versante della ragionevolezza, sotto il diverso profilo della disciplina dei colloqui visivi e telefonici con i difensori, sottratti per espressa previsione dell’articolo 41- bis ord. penumero , all’applicazione delle disposizioni che prescrivono il controllo auditivo e la videoregistrazione, valevoli, invece, per i colloqui con i familiari. Non solo, laddove si ammette che un difensore venga meno ai suoi doveri deontologici e possa esservi il rischio che lo stesso funga da canale di comunicazione, la scelta compiuta dal legislatore per i colloqui telefonici è quella di dare piena tutela al diritto ad avere comunicazioni difensive riservate. La censura penalizza inutilmente il diritto di difesa e l’equo processo . Gli Ermellini concludono, pertanto, che la censura sulle missive indirizzate al difensore, e il conseguente loro eventuale trattenimento, finiscono per penalizzare irragionevolmente e inutilmente il diritto di difesa e quello ad un equo processo, ma non servono a neutralizzare l’astratto pericolo che un ipotetico scambio di direttive e informazioni per mezzo del difensore avvenga con altro mezzo, nel corso dei colloqui sottratti a controllo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 19 marzo – 21 maggio 2021, numero 20338 Presidente Di Tomassi – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9 luglio 2020 il Tribunale di Locri ha rigettato il reclamo proposto da J.G. - imputato davanti a quell’autorità giudiziaria, condannato, all’esito del giudizio di primo grado, alla pena di venticinque anni di reclusione perché ritenuto esponente di vertice di un clan di ‘ndrangheta stanziato sul territorio di Gioiosa Jonica e sottoposto al regime detentivo differenziato previsto dalla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 41-bis - avverso il decreto con cui, il 12 maggio 2020, il Presidente del Tribunale ha disposto il trattenimento di un telegramma da lui indirizzato al difensore di fiducia, avv. Giuseppe Milicia. Ritenuto di potere integrare la motivazione, radicalmente assente, del provvedimento impugnato, il Tribunale calabrese ha stimato la sussistenza di un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, connesso all’ambiguità del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza. Ha aggiunto che l’incongruenza del testo non è spiegabile in ragione del modesto grado di istruzione dell’autore il quale, redigendo personalmente il reclamo, si è mostrato capace di esporre i motivi con prosa chiara e lineare. 2. J.G. propone, con l’assistenza dell’avv. Giuseppe Milicia, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale -titolare, a suo modo di vedere, del potere di integrare la motivazione del decreto emesso dall’organo monocratico, ma non anche di ovviare alla sua totale assenza - male interpretato la normativa in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle sole comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al proprio interno qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e l’ordine pubblico. Tale non può essere considerato, ha obiettato, il telegramma con cui egli, imminente la scadenza dei termini per la proposizione dell’appello avverso la sentenza di condanna emessa all’esito del primo grado di giudizio, ha inteso interloquire con il proprio difensore in merito ai contenuti del redigendo atto, da stabilirsi anche in relazione a quello, che egli reputava insoddisfacente, già presentato da altro difensore. 3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato osservando che sebbene il detenuto si trovi sottoposto al regime di cui all’articolo 41 bis O.P. deve poter conoscere sia pure in modo sintetico le ragioni del trattenimento della corrispondenza soprattutto se si tratta di corrispondenza con il difensore Cass. Sez. V numero 32452 del 2019 . Considerato in diritto 1. La L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 15, prevede che il trattamento del condannato e dell’internato sia svolto, tra l’altro, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia, che sono garantiti da colloqui visivi con soggetti liberi e dalla corrispondenza telefonica, epistolare o telegrafica. La legge di ordinamento penitenziario contempla, per la corrispondenza epistolare o telegrafica, limitazioni meno stringenti di quanto non accada per i colloqui e le telefonate, giacché non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto può inviare o ricevere, nè restrizioni generali rispetto ai soggetti con cui egli può intrattenere scambi epistolari, e stabilisce, anzi, all’articolo 18, comma 5, al fine di favorire e di garantire il diffuso accesso a questa forma di corrispondenza, che l’amministrazione penitenziaria ponga a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza. 2. Il diritto a tenere una corrispondenza epistolare e telegrafica può essere sottoposto, con provvedimento giurisdizionale, a limitazioni e controlli individuali, ossia riguardanti il singolo detenuto o internato. La L. numero 354 del 1975 non regolava, nella sua formulazione originaria, i casi, le modalità ed il tempo massimo per cui potevano essere adottate siffatte misure, ciò che aveva indotto a dubitare della compatibilità della disciplina della corrispondenza epistolare in carcere con l’articolo 15 Cost., articolo 8 e 13 Cedu ed era valso all’Italia ripetute condanne da parte della Corte di Strasburgo cfr., tra le molte, Corte EDU, 15 novembre 1996, Calogero Diana c./Italia Corte EDU, 24 ottobre 2002, Messina c./Italia . Tale lacuna normativa è stata colmata mediante l’introduzione, ad opera della L. 8 aprile 2004, numero 95, dell’articolo 18-ter della L. 26 luglio 1975, numero 354, che individua le tipologie di limitazioni che possono essere imposte alla libertà e alla segretezza della corrispondenza, i relativi presupposti e tempi, nonché le autorità competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale. L’articolo 18-ter dispone, al comma 1, che per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possano essere disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi, tre diverse forme di restrizione all’invio e alla ricezione di missive, connotate da un crescente grado di intrusività. La forma più lieve di restrizione è il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima, finalizzato a verificare, alla presenza dell’interessato, che nell’involucro non siano celati valori o oggetti non consentiti. La limitazione più intensa consiste, invece, nell’inibizione totale o parziale della facoltà di spedire o di ricevere corrispondenza, cui è propedeutica la sottoposizione a visto di controllo, operazione di lettura e analisi - ad opera dell’autorità giudiziaria ovvero, su sua delega, dal direttore del carcere o di un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore -del contenuto delle missive in entrata ed in uscita. Essa può, dunque, eventualmente sfociare nel trattenimento della missiva, disposto con provvedimento giurisdizionale, adottato dal Magistrato di sorveglianza, per i condannati, o dal giudice che procede, per gli imputati, per effetto del quale lo scritto non viene consegnato al suo destinatario, che deve essere immediatamente informato. 3. L’articolo 18-ter, pur contenendo una specifica disciplina anche della successiva operazione di trattenimento, non individua espressamente le ragioni che lo consentono. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito, in proposito, che, stante lo stretto collegamento funzionale con il visto di censura, il trattenimento può essere disposto qualora, dall’esame dei contenuti della corrispondenza, l’autorità giudiziaria ritenga che sussista una situazione di pericolo concreto per quelle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che costituiscono i presupposti per l’adozione del visto di controllo così, tra le più recenti, Sez. 1, numero 51187 del 17/05/2018, Falsone, Rv. 274479, e Sez. 5, numero 32452 del 22/02/2019, Falsone, Rv. 277527, entrambe in motivazione . Il comma 2 dell’articolo 18-ter prevede, poi, che nessuna forma di controllo possa essere esercitata sulla corrispondenza epistolare e telegrafica indirizzata ai soggetti indicati nell’articolo 103 c.p.p., comma 5 difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, consulenti tecnici e loro ausiliari , all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 direttore dell’istituto, provveditore regionale, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ministro della giustizia, autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto, garante nazionale, garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti, presidente della giunta regionale, magistrato di sorveglianza, Capo dello Stato , ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte. 4. La disciplina generale è, tuttavia, derogata dalla L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 41-bis, che contiene, tra l’altro, regole specificamente dedicate alla tutela della libertà e della segretezza della corrispondenza epistolare e telegrafica per i detenuti sottoposti al regime differenziato. Tale disposizione - nel testo modificato dalla L. 15 luglio 2009, numero 94 contiene infatti, al comma 2-quater, un elenco puntuale di limitazioni al trattamento penitenziario tra le quali, alla lett. e , la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità Europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia . L’utilizzo di un termine censura diverso da quello indicato all’articolo 18-ter controllo non ha impedito la sostanziale assimilazione, da parte dei commentatori così come della giurisprudenza, dei concetti, che rimandano, entrambi, all’esame di una missiva, effettuato dall’autorità preposta, strumentale ad evitare la trasmissione di informazioni suscettibili di mettere a repentaglio i valori a cui presidio le disposizioni sono rispettivamente poste. Così, in specie, se l’articolo 18-ter presuppone la necessità di salvaguardare la fruttuosità di indagini ed investigazioni, di prevenire la commissione di reati e di garantire la sicurezza e l’ordine dell’istituto, l’architettura del regime detentivo speciale previsto dall’articolo 41-bis è precipuamente diretta ad interrompere il flusso comunicativo tra gli esponenti criminali che versino in condizione detentiva, nonché tra gli stessi e gli esponenti delle associazioni a delinquere di riferimento che si trovino in libertà. In un caso e nell’altro, dunque, l’intrusione nella sfera privata nella quale si traducono controllo e censura non è circoscritta alla conoscenza del contenuto delle comunicazioni e si riconnette in via diretta alla possibilità di bloccare l’inoltro della corrispondenza, ovvero di non procedere alla sua consegna al destinatario. 5. L’equivalenza tra visto di controllo e visto di censura consente di affermare che tra le disposizioni che, rispettivamente, li prevedono sussiste un rapporto di specialità e, quindi, che, nell’ipotesi di lettura della corrispondenza nei confronti dei detenuti sottoposti al regime speciale, la disciplina dell’articolo 18-ter si applica solo per gli aspetti non disciplinati dall’articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. e . In questo senso si è, del resto, orientata la giurisprudenza di legittimità cfr., in particolare, Sez. 1, numero 51187 del 17/05/2018, Falsone, Rv. 274479, in motivazione, e Sez. 1, numero 48365 del 21/11/2012, Di Trapani, Rv. 253978 nel ritenere l’applicabilità agli imputati ed ai condannati che siano assoggettati al regime di cui all’articolo 41-bis delle regole previste, per la generalità dei detenuti, dall’articolo 18-ter e dall’articolo 38 del relativo regolamento di esecuzione con riferimento all’operazione, successiva alla censura, di eventuale di trattenimento, sulla quale l’articolo 41-bis è silente. 6. L’analisi comparata delle disposizioni in commento evidenzia un significativo momento di divaricazione nella differente delimitazione della corrispondenza che, in via di eccezione, è sottratta alle limitazioni sopra descritte. Se, infatti, l’articolo 18-ter prevede, al comma 2, che Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nell’articolo 103 c.p.p., comma 5, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte , l’articolo 41-bis sottrae, invece, al visto di censura la sola corrispondenza con i membri del Parlamento o con autorità Europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. Ne discende che, per i detenuti sottoposti al più rigoroso regime detentivo, il visto di censura deve essere apposto anche con riferimento alla corrispondenza intercorsa con i soggetti indicati all’articolo 103 c.p.p., comma 5, difensori, investigatori privati, consulenti tecnici e loro ausiliari . Tanto, in ragione del già indicato rapporto di specialità tra l’articolo 18-ter, comma 2, e l’articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. e , e del fatto che la norma speciale contiene l’espressa elencazione della corrispondenza sottratta alla censura. 7. La validità della precedente conclusione non è revocata in dubbio dall’esistenza, nel codice di rito, di autonoma disciplina relativa alla corrispondenza tra imputati e difensori, compendiata all’articolo 103 c.p.p., comma 6, che vieta, tra l’altro, ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato . La menzionata disposizione trova completamento nell’articolo 35 disp. att. c.p.p. che, da un canto, enuncia, ai primi tre commi, gli adempimenti richiesti per garantire la riconoscibilità della corrispondenza tra imputato e difensore, e, dall’altro, specifica, al comma 4, che Alla corrispondenza tra l’imputato detenuto e il suo difensore, recante le indicazioni stabilite nei commi 1 e 2, non si applicano le disposizioni della L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 18, commi 8 e 9 . La previsione del comma 4, sulla quale il legislatore non è intervenuto, è, dunque, volta ad escludere la sottoposizione della corrispondenza tra imputato e difensore al visto di controllo previsto dall’articolo 18, commi 8 e 9, ord. penumero che, nel testo vigente al tempo dell’introduzione dell’attuale codice di procedura penale, aveva portata onnicomprensiva e non contemplava la sottrazione di determinate tipologie di comunicazioni. Essa, dunque, ha la funzione di sancire, al cospetto di norme primarie, e dunque di pari grado, con un diverso ed inconciliabile contenuto precettivo, la prevalenza di quella codicistica su quella di ordinamento penitenziario. In proposito, deve, tuttavia, notarsi come, all’atto dell’approvazione, con la L. 8 aprile 2004, numero 95, di una nuova disciplina dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti, contenuta nell’articolo 18-ter, con contestuale abrogazione dell’articolo 18, commi 8 e 9, il legislatore non abbia adeguato il testo dell’articolo 35, comma 4, disp. att. che, quindi, deve intendersi, all’attualità ed a dispetto di quanto, di recente ma in modo del tutto sporadico ed incidentale, affermato in giurisprudenza cfr. Sez. 1, numero 1901 del 30/09/2020, dep. 2021, Attanasio, non massimata , privo di concreta portata precettiva. Ciò, deve ragionevolmente ritenersi, in ragione della circostanza che l’inserimento, al comma 2 dell’articolo 18-ter, dei soggetti indicati all’articolo 103 c.p.p., comma 5, e, quindi, anche del difensore nel novero di coloro la cui corrispondenza con il detenuto - imputato o condannato - è sottratta alle limitazioni previste dal comma 1, assicura la compatibilità, per i detenuti imputati tra la disciplina di ordinamento penitenziario e quella prevista dal codice di rito. Posto che, al contrario dell’articolo 18-ter, l’articolo 41-bis non stabilisce la sottrazione della corrispondenza tra imputato e difensore al visto di censura, il contrasto tra l’articolo 103 c.p.p., comma 6, che inibisce il controllo, e l’articolo 41-bis, che, invece, lo ammette, deve risolversi nel senso dell’applicazione della norma di ordinamento penitenziario, inserita in un più ampio catalogo di restrizioni al trattamento finalizzate a garantire, con esclusivo riferimento ad una specifica categoria di detenuti, prevalenti esigenze preventive. Al riguardo, è utile osservare, innanzitutto, che nulla autorizza ad assegnare alla norma codicistica carattere di inderogabilità, per come, tra l’altro, indirettamente confermato dal fatto che il legislatore del 1988 abbia ritenuto la necessità di specificare espressamente, all’articolo 35 disp. att., che la disciplina sul visto di controllo, che, al tempo, non prevedeva eccezioni di sorta, si applicasse alla corrispondenza tra imputato e difensore. L’articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. c , è stato, d’altro canto, costruito come norma speciale, destinata, in quanto tale, a derogare alle norme generali che disciplinano la stessa materia e che non sono inderogabili, quale, tra le altre, l’articolo 103 c.p.p., comma 6. Considerato, allora, che il codice di rito e la legge di ordinamento penitenziario non escludono expressis verbis che l’articolo 41-bis possa derogare la disciplina contenuta nell’articolo 103 c.p.p., comma 6, deve conclusivamente ritenersi che la disciplina del visto di censura trovi applicazione alla corrispondenza tra imputato sottoposto a regime speciale di detenzione e difensore. 8. La ricostruzione del tessuto di regole che si sono succedute nel tempo e che concorrono a disciplinare la materia è funzionale all’esame del ricorso proposto da J.G. il quale, il 3 maggio 2020, inviò, dal carcere milanese nel quale era ristretto, un telegramma all’avv. Giuseppe Milicia, che aveva da poco nominato quale difensore, affiancandolo all’avv. Caterina Fuda, che lo aveva assistito in primo grado, nell’ambito di un procedimento penale, pendente innanzi al Tribunale di Locri, nel quale egli aveva riportato condanna alla pena di venticinque anni di reclusione. Stando alla prospettazione del ricorrente, l’utilizzo del mezzo telegrafico si era imposto per l’esigenza di presentare, in tempo utile, un atto di appello ulteriore rispetto a quello già depositato dall’avv. Fuda, che J. riteneva insoddisfacente, impugnazione che l’avv. Milicia presentò, effettivamente, il 5 giugno 2020. Il telegramma fu provvisoriamente bloccato dall’amministrazione penitenziaria, che informò il Presidente del Tribunale, il quale dispose il trattenimento con provvedimento che il Tribunale, su reclamo dell’interessato, confermò sul rilievo della sussistenza di un concreto pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza. 9. Con l’unico motivo di ricorso, il detenuto lamenta l’illegittimità della motivazione con cui il Tribunale di Locri ha confermato il provvedimento di trattenimento. Il collegio, tuttavia, dubita della compatibilità costituzionale della L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. e , nella parte in cui non esclude la corrispondenza diretta al difensore dal novero di quella sottoposta a visto di censura. Ciò impedisce al collegio di procedere al vaglio della legittimità della motivazione del provvedimento impugnato, giacché qualora il dubbio prospettato si rivelasse fondato, la stessa operazione di lettura e di controllo del contenuto della missiva risulterebbe, a monte, viziata. Tanto rende la questione di legittimità costituzionale rilevante. 10. La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente infondata. La sottoposizione a visto di censura della corrispondenza in uscita con il proprio difensore si traduce, invero, in un vulnus non solo - e non tanto - alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall’articolo 15 Cost. e che spettano ad ogni individuo in quanto tale e, quindi, anche ai detenuti, ma anche e soprattutto del diritto alla difesa e di quello ad un equo processo, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale. Il giudice delle leggi ha, in proposito, già riconosciuto, con la sentenza numero 143 del 2013, il diritto a conferire con il proprio difensore e a farlo in maniera riservata, connaturato alla difesa tecnica che rientra nella garanzia ex articolo 24 Cost. ed appartiene al novero dei requisiti basilari dell’equo processo, alla luce del disposto dell’articolo 6, paragrafo 3, lett. c , della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ne deriva che una disposizione normativa che neghi la riservatezza delle comunicazioni con il difensore è in contrasto, oltre che con gli articolo 15 e 24 Cost., anche con l’articolo 111 Cost., comma 3, nella parte in cui prevede, tra gli elementi del giusto processo, la facoltà di disporre delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa, nonché con l’articolo 117 Cost., in relazione all’articolo 6 CEDU. 11. Anche detti diritti, per quanto rientranti tra le garanzie fondamentali dell’individuo all’interno di una società che possa definirsi democratica, possono astrattamente subire delle limitazioni, quando rese necessarie dall’esigenza di tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti. È, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale che nessun interesse ha prevalenza assoluta e che anche i diritti fondamentali possono entrare in un’operazione di bilanciamento ed essere sacrificati, ferma restando la necessità di verificare la ragionevolezza delle limitazioni concretamente apportate. Nel caso dei detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione, l’esigenza di neutralizzare la loro maggiore pericolosità e di difendere la società nei confronti delle criminalità organizzate determina e giustifica non solo la compressione di diritti fondamentali, ma anche maggiori limitazioni di trattamento rispetto alla generalità dei detenuti. Il collegio ritiene, tuttavia, che l’assoluta compressione del loro interesse a mantenere una corrispondenza riservata con il difensore, quand’anche ispirata all’esigenza di impedire i contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza, non possa superare il vaglio di ragionevolezza e, quindi, ritenersi giustificata. 12. Dubbi di ragionevolezza si pongono, innanzitutto, rispetto all’operazione di equiparazione dei difensori agli interlocutori non qualificati del detenuto e, in primo luogo, ai familiari. Se, infatti, non può essere esclusa a priori l’astratta, ed eccezionale, eventualità che un difensore accetti di assumere il ruolo di illecito canale di comunicazione tra il proprio cliente e l’organizzazione criminale di appartenenza dello stesso, tale possibilità non può nemmeno essere assunta a massima di esperienza e tradotta in un enunciato normativo, al pari di quanto, invece, accade con parenti e conoscenti. I difensori, infatti, legati ai propri clienti da un contratto d’opera professionale anziché da vincoli di diversa natura, sono, ha ricordato la Corte costituzionale, persone appartenenti ad un ordine professionale, tenute al rispetto di un codice deontologico nello specifico campo dei rapporti con la giustizia e sottoposte alla vigilanza disciplinare dell’ordine di appartenenza Corte Cost., sent. numero 143 del 2013 . Non sembra dunque consentito presumere una generale pericolosità degli scambi epistolari con il difensore e la corrispondenza intrattenuta dal detenuto, ancorché soggetto al regime di cui all’articolo 41-bis Ord. penumero , con questo non può essere assimilata a quella intrattenuta con familiari e amici, o soggetti terzi, sicché la disciplina della cui legittimità si discute finisce con trattare in modo analogo situazioni differenti, in patente violazione del principio di eguaglianza, irragionevolmente comprimendo, altresì, il diritto di difesa. 13. La normativa in esame appare ulteriormente carente, sotto il profilo della ragionevolezza, se confrontata con quella dettata per i colloqui visivi e telefonici con i difensori, sottratti, per espressa previsione della L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 41-bis, all’applicazione delle disposizioni che prescrivono il controllo auditivo e la videoregistrazione, valevoli, invece, per i colloqui con i familiari. Se si ammette l’ipotesi che un difensore venga meno ai suoi doveri deontologici e professionali, e tradisca, così, l’alta funzione che gli è assegnata dall’ordinamento, anche in questo caso, cioè in relazione alle comunicazioni che avvengono di persona o per telefono, non può escludersi in astratto il rischio che lo stesso si presti a fungere da illecito canale di comunicazione al cospetto del quale, nondimeno, il legislatore - evidentemente a ciò indotto dalla considerazione dell’inviolabilità del diritto di difesa e della natura assolutamente remota dell’ipotesi in predicato - ha scelto di dare piena tutela al diritto ad avere comunicazioni difensive riservate. Sicché, la censura sulle missive indirizzate al difensore, e il conseguente loro eventuale trattenimento, finiscono per penalizzare irragionevolmente e inutilmente il diritto di difesa - anche solo attraverso l’irrimediabile ritardo che la sottoposizione a censura imprime all’inoltro e alla consegna della missiva - e quello ad un equo processo, ma non servono a neutralizzare l’astratto pericolo che un ipotetico scambio di direttive e informazioni per mezzo del difensore avvenga con altro mezzo, nel corso di colloqui sottratti a controllo, con conseguente violazione del principio, a più riprese enunciato dalla Corte Costituzionale, secondo cui, nelle operazioni di bilanciamento, il decremento di tutela di un diritto fondamentale postula, per necessità, il corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango. P.Q.M. Visto la L. 11 marzo 1953, numero 87, articolo 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articolo 3, 15, 24, 111 e 117 Cost., anche in relazione all’articolo 6 CEDU, la questione di legittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, numero 354, articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. E , nella parte in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2 e seguenti, la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, senza escludere quella indirizzata ai difensori. Sospende il presente procedimento. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 11 marzo 1953, numero 87, articolo 23, u.c