Equivoci nella compilazione della fattura: in mancanza di prove residua solo l’aspetto civilistico

In mancanza di prova in merito al dolo del reato di truffa, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato, residuando soltanto il profilo della configurabilità di un inadempimento civilistico.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 36629, depositata il 6 settembre 2013. Il caso. In sede di merito era stata emessa condanna per i reati di sostituzione di persona e truffa. Infatti, secondo l’accusa, l’imputato attribuendo a sé la qualità di amministratore e legale rappresentante di una s.r.l. e indicando una sede della stessa società diversa da quella reale si era procurato ingiusto profitto, rappresentato dal corrispettivo di lavori di muratura e pitturazione. Ciò, in danno a un terzo, il quale non aveva ottenuto la somma dovuta perché la fattura era pervenuta a una sede e a un soggetto estranei al rapporto commerciale. Contro tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso. A suo dire, egli avrebbe stipulato un contratto di locazione di un immobile, concordando con la presunta parte offesa l’esecuzione di alcuni lavori necessari ultimati i lavori, però, poiché essi non erano stati eseguiti a regola d’arte, aveva receduto dal contratto di locazione. Inoltre, il ricorrente ha aggiunto che al momento della contrattazione era amministratore di fatto della società e che questa aveva effettivamente i propri uffici nella sede da lui indicata. Per la Suprema Corte i motivi di ricorso sono fondati. Comportamento finalizzato a conseguire un ingiusto profitto nessuna prova. Gli Ermellini hanno evidenziato che la sentenza impugnata apoditticamente attribuisce all’imputato il dolo iniziale nella realizzazione della contestata truffa, mentre in realtà, evidenzia soltanto equivoci nella compilazione della fattura a lavori eseguiti [], equivoci che, peraltro, non incidevano sulla individuazione della persona che aveva contratto con la parte offesa . Inoltre, secondo Piazza Cavour, non è neppure stato provato che il comportamento dell’imputato sia stato finalizzato a conseguire un ingiusto profitto. Alla luce di ciò, al S.C., non resta che annullare senza rinvio la sentenza, perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 maggio - 6 settembre 2013, n. 36629 Presidente Esposito – Relatore Fiandanese Svolgimento del processo La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in data 12 giugno 2 012, confermava la condanna pronunciata il 21 maggio 2009 dal Tribunale di Cosenza alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 200 di multa nei confronti di Z.G. , dichiarato colpevole dei reati di sostituzione di persona e truffa. Secondo l'accusa l'imputato attribuendo a sé la qualità di amministratore e legale rappresentante della S.A.G. Mediterranea s.r.l., cariche mai rivestite, e indicando una sede della stessa società diversa da quella reale, si procurava l'ingiusto profitto pari a Euro 2.760, corrispettivo di lavori di muratura e pitturazione con pari danno di C.G. , il quale non otteneva la somma dovuta perché la fattura perveniva ad una sede e ad un soggetto estranei al rapporto commerciale. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i seguenti motivi 1 erronea applicazione della legge penale , in quanto l'imputato aveva stipulato un contratto di locazione di un immobile concordando con la presunta parte offesa l'esecuzione di alcuni lavori necessari ultimati i lavori, poiché essi non erano stati eseguiti a regola d'arte, recedeva dal contratto di locazione. Pertanto, il mancato pagamento dei lavori non scaturisce da un dolo iniziale. 2 omessa motivazione sulle doglianze espresse nell'atto di appello , nel quale si evidenziava che lo Z. al momento della contrattazione con il C. era amministratore di fatto della S.A.G. Mediterranea e che questa società aveva effettivamente i propri uffici nella sede indicata dall'imputato. Motivi della decisione I motivi di ricorso sono fondati e devono essere accolti nei sensi di cui alla presente motivazione. La sentenza impugnata apoditticamente attribuisce all'imputato il dolo iniziale nella realizzazione della contestata truffa, mentre, in realtà, evidenzia soltanto equivoci - non rileva se più o meno consapevoli - nella compilazione della fattura a lavori eseguiti e, quindi, dopo - la realizzazione degli stessi, equivoci che, peraltro, non incidevano sulla individuazione della persona che aveva contrattato con il C. . D'altro canto, neppure è provato che il comportamento dell'imputato sia stato finalizzato a conseguire un ingiusto profitto, posto che nella vicenda emergono controversie in merito sia all'immobile in cui i lavori sono stati realizzati sia alla corretta esecuzione dei lavori stessi, che non risultano escluse dalla sentenza impugnata. In definitiva, in mancanza di prova in merito al dolo del reato contestato l’imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato, residuando soltanto il profilo della configurabilità di un inadempimento civilistico. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.