Non si devono dedurre solo vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito

L’appellante, con l’atto di gravame, non si è affatto limitato a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito in senso ad esso sfavorevole l’appello non può essere dichiarato inammissibile.

Il caso. Il Sindaco di Teramo emetteva un’ordinanza di ingiunzione per violazione della normativa sull’igiene dei prodotti alimentari art. 3 d.lgs. n. 155/1997 . L’uomo destinatario dell’ordinanza proponeva ricorso al giudice chiedendo e ottenendo l’annullamento della stessa. Annullamento confermato anche dalla Corte d’appello e che convince il Comune a presentare ricorso per cassazione. Nel ricorso viene contestata la decisione dei giudici di secondo grado di ritenere inammissibile l’appello. Dedotti solo vizi di rito? Il Comune, infatti, ritiene – contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello – che con l’atto di gravame non si è affatto limitato a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito in senso ad esso sfavorevole, ma ha contestato l’unica questione di diritto presa in considerazione dal giudice di primo grado e attinente al merito del giudizio, perché vertente sull’esistenza o meno del potere di emissione dell’ordinanza ingiunzione . No, sono state proposte anche censure che investono direttamente il merito. La Cassazione osserva che, nel caso di specie, il Comune ha lamentato, con l’atto di appello, la violazione del principio generale che stabilisce in 5 anni il termine di prescrizione per provvedere all’emanazione dell’ordinanza ingiunzione. Quindi, il ricorrente – secondo quanto si legge nell’ordinanza – non si è limitato a dedurre un vizio di rito, ma ha proposto censure che investono direttamente il merito delle ragioni poste a base della decisione di primo grado. In conclusione, la S.C. afferma che, nella fattispecie, poiché il Tribunale aveva annullato l’ordinanza ingiunzione in accoglimento dell’eccezione di decadenza proposta dall’opponente, correttamente l’appellante ha investito con i motivi di impugnazione tale unica ragione posta a fondamento della decisione di primo grado . Pertanto, la sentenza impugnata, visto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, va cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI – 2 Civile, ordinanza 11 maggio – 27 giugno, n. 10758 Presidente Goldoni – Relatore Matera Premesso in fatto Il relatore della Sezione ha depositato in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. Con ricorso ex art. 22 della l. 689/1981 depositato il 15-7-2005, D.D.A. chiedeva l'annullamento dell'ordinanza ingiunzione n. 21/2005 emessa dal Sindaco del Comune di Teramo per violazione della normativa di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 155/1997. Con sentenza n. 459/2007 il Tribunale di Teramo annullava l'ordinanza ingiunzione di cui sopra, in quanto emessa oltre il termine fissato in materia sanitaria dall'art. 8 della legge regionale n. 47 del 1984. Con sentenza depositata il 27-9-2010 la Corte di Appello di L'Aquila rigettava recte, dichiarava inammissibile l'appello proposto dal Comune di Teramo avverso la predetta decisione. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di Teramo, sulla base di due motivi. L'intimato non ha svolto attività difensive. 1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dei principi inerenti all'ammissibilità dell'appello. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, il Comune di Teramo, con l'atto di gravame, non si è affatto limitato a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito in senso ad esso sfavorevole, ma ha contestato l'unica questione di diritto presa in considerazione dal giudice di primo grado e attinente al merito del giudizio, perché vertente sull'esistenza o meno del potere di emissione dell'ordinanza ingiunzione. Sostiene, pertanto, che i precedenti giurisprudenziali richiamati nella sentenza impugnata non possono essere in alcun modo riferiti all'appello proposto dal Comune di Teramo. Il motivo è manifestamente fondato. La Corte di Appello ha ritenuto inammissibile l'appello proposto dal Comune di Teramo, rilevando che l'appellante si era limitato a chiedere l'annullamento della sentenza di primo grado, senza richiamare in alcun modo il merito della controversia. Essa ha richiamato, a sostegno della decisione, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole è ammissibile solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. laddove, nelle ipotesi in cui il vizio denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit, è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l'ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione Cass. Sez. Un. 14-12-1998 n. 12541 . Deve, peraltro, osservarsi che il principio di diritto innanzi enunciato non può trovare applicazione nella fattispecie in esame, in cui, per quanto si legge nella stessa sentenza impugnata, il Comune di Teramo, con l'atto di appello, ha lamentato la violazione dell'art. 28 della legge 689/1981, ovvero del principio generale che stabilisce in cinque anni il termine di prescrizione per provvedere all'emanazione dell'ordinanza ingiunzione con l'ulteriore precisazione che la norma regionale applicata dal Tribunale sarebbe comunque da ritenere illegittima, avendo previsto un termine decadenziale non contemplato dalla legge statale. Il ricorrente, pertanto, non si è limitato a dedurre un vizio di rito, ma ha proposto censure che investono direttamente il merito delle ragioni poste a base della decisione di primo grado, con la quale il Tribunale ha annullato l'ordinanza ingiunzione emessa dal Sindaco di Teramo, in considerazione della decadenza in cui era incorso il Comune nell'applicare la sanzione amministrativa oltre il termine stabilito dall'art. 8 della legge regionale n. 47/1984 sessanta giorni successivi alla scadenza del termine di trenta giorni dalla notifica dell'accertamento, fissato per consentire all'interessato di far pervenire scritti difensivi e documenti . Ciò posto e atteso che il giudice di merito, nell'esercizio del suo potere di interpretazione e qualificazione giuridica della domanda e, quindi, anche dell'atto di appello , non è condizionato dalle formule adottate in concreto dalla parte, ma, al fine di identificare correttamente l'oggetto sostanziale della pronuncia richiesta desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio , deve tener conto del contenuto effettivo della pretesa v. per tutte Cass. Sez. 1, 15-1-1999 n. 383 , è evidente che, nel caso in esame, al di là della formale richiesta di annullamento delle sentenza di primo grado, con le censure mosse l'appellante mirava ad ottenere il riesame della questione inerente all’assoggettabilità o meno dell'ordinanza ingiunzione emessa dal Comune alla normativa regionale applicata dal giudice di prime cure. Va altresì rilevato che, poiché i motivi di impugnazione devono attenere esclusivamente alla motivazione del provvedimento impugnato, qualora il giudice di primo grado abbia ritenuto di poter decidere la causa sulla base della decisione di una questione preliminare o pregiudiziale, la parte soccombente, che intenda proporre impugnazione, deve specificare i suoi motivi di impugnazione solo in relazione a tale ratio decidendi, in quanto la sua soccombenza si fonda esclusivamente su di essa essa non potrebbe, invece, specificare alcun motivo di impugnazione avverso gli altri punti della domanda, per la semplice ragione che sugli stessi non vi è stata decisione, essendo rimasti assorbiti Cass. Sez. 3, 10-5-2000 n. 5945 . Nella specie, pertanto, poiché il Tribunale aveva annullato l'ordinanza ingiunzione in accoglimento dell'eccezione di decadenza proposta dall'opponente, correttamente l'appellante ha investito con i motivi di impugnazione tale unica ragione posta a fondamento della decisione di primo grado. 2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della legge n. 689/1981, in relazione all’interpretazione data dalla Corte di Appello all'art. 8 della legge regionale n. 47/85. Sostiene che il termine di sessanta giorni previsto dalla norma regionale per l'emissione dell'ordinanza ingiunzione non è previsto a pena di decadenza e non può, pertanto comportare l'annullamento di un'ordinanza ingiunzione di pagamento in materia sanitaria, in quanto una diversa interpretazione porrebbe nel nulla il termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme, previsto dall'art. 28 della legge statale. Il motivo è inammissibile, per difetto di interesse. Come è stato più volte affermato da questa Corte, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità o declinatoria di giurisdizione o di competenza , con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare conseguentemente è ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata Cass. Sez. Un. 20-2-2007 n. 3840 Cass. Sez. 2, 2-5-2011 n. 9647 . Nella specie, pertanto, il ricorrente difetta di interesse a censurare le considerazioni svolte dal giudice di appello in ordine all'infondatezza delle censure di merito proposte con l'atto di impugnazione, rivelandosi le stesse ultronee rispetto alla pronuncia di inammissibilità del gravame in concreto adottata. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 c.p.c. . La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite. Ritenuto in diritto Il Collegio condivide la proposta di decisione del relatore, alla quale le parti non hanno mosso rilievi critici. Pertanto, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, mentre il secondo deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di Appello di L'Aquila in diversa composizione, la n quale provvedere anche sulle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di L'Aquila in altra composizione.