Respinta la richiesta dei familiari più stretti di un operaio di ampliare l’indennizzo a carico dell’azienda. Appiglio fondamentale, secondo moglie e figli dell’uomo, il danno esistenziale, legato alla brusca interruzione delle relazioni. Ma la rinunzia in Appello al quantum del danno biologico risulta decisiva.
Danno biologico, danno esistenziale, danno morale tutto ricompreso nel più ampio concetto di danno non patrimoniale. Situazione oramai cristallina, come fissata da riferimenti giurisprudenziali ad hoc per questo motivo, la rinunzia, in secondo grado, a ogni pretesa sul danno biologico ‘blocca’ sul nascere ogni successiva pretesa per il risarcimento del danno esistenziale Cassazione, sentenza numero 7131, Terza sezione Civile, depositata oggi . Marito e padre. Casus belli è il tragico episodio che vede vittima un operaio. Nessun dubbio sulla qualificazione dell’incidente come infortunio sul lavoro, così come nessun dubbio è possibile sulla responsabilità dell’azienda. Approfondimenti, invece, vengono approntati sul fronte della battaglia giudiziaria avviata dalla moglie e dai figli dell’operaio per ottenere adeguato risarcimento. Che, però, secondo i giudici, deve essere limitato all’«indennizzo dei danni patrimoniali». Per i familiari più stretti dell’uomo è una sconfitta inaccettabile. Ecco spiegata, quindi, la decisione di ricorrere in Cassazione, sostenendo la risarcibilità del «danno biologico» e, soprattutto, del «danno esistenziale». Quest’ultimo, in particolare, è evidente, secondo moglie e figli dell’operaio, perché sono lapalissiane le «conseguenze» provocate dall’«irreversibile venir meno del godimento del congiunto» e dalla «definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali». Categoria ampia. Per risolvere la delicata questione, però, i giudici di Cassazione si richiamano alla pronunzia di Appello, laddove si attestava che i familiari dell’operaio «hanno rinunciato» al «risarcimento del danno biologico». Si tratta di un passaggio decisivo, perché, alla luce di rilevanti precedenti giurisprudenziali, «danno biologico e danno esistenziale sono categorie, come lo stesso danno morale, ormai rifluite nell’unitaria categoria del cosiddetto danno non patrimoniale». Ciò comporta che la rinuncia dei famigliari dell’operaio al risarcimento del «danno biologico» è decisiva. Anche perché loro non hanno indicato «se e come avevano fatto valere un danno esistenziale», e non è possibile «comprendere come possano ora reintrodurre la questione, certamente configurabile in astratto» ma tutto «da dimostrare». Per questo motivo, è da confermare la decisione della Corte d’Appello che ha limitato l’indennizzo, a carico dell’azienda, ai soli danni patrimoniali.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 febbraio – 21 marzo 2013, numero 7131 Preisdente Finocchiaro – Relatore Frasca Svolgimento del processo 1. A.D., A.F. e M.F. hanno proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. VER.ALL. avverso la sentenza del 25 novembre 2006, con la quale la Corte d’Appello di Catania ha rigettato gli appelli riuniti proposti separatamente dalla D., in proprio e nella qualità di esercente la potestà parentale su A.F., e da M.F. avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Modica sulle domande pure separatamene proposte dagli appellanti per ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa del decesso del loro congiunto V.F. per un infortunio sul lavoro occorso mentre lavorava presso la detta società. 2. Al ricorso ha resistito con controricorso la società intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta “violazione degli articolo 10, 11, 66, T.U. 1124/1965, 13 D.lgs. 38/2000 e degli articolo 11, 12, 15 disp. prel. Cod. civ.”. Vi si lamenta che, essendo stata la fattispecie regolata dalla disciplina dell’articolo 66 del t.u. numero 1124 del 1965 e non da quella introdotta con l’articolo 13, comma secondo, del d.lgs. numero 38 del 2000, come modificato dall’articolo 73, comma terzo, della legge numero 388 del 2000, la Corte territoriale, una volta riconosciuto che la responsabilità della società datoriale era provato nell’an, al contrario di quanto aveva ritenuto il Tribunale in primo grado, avrebbe erroneamente escluso che “all’indennizzo dei danni diversi da quelli patrimoniali” fosse tenuta la datrice di lavoro. In sostanza la prospettazione è che, collocandosi la vicenda ratione temporis nel vigore della disciplina anteriore alla legislazione del 2000, che ha ricompreso nell’ambito dell’indennizzo coperto dall’assicurazione obbligatoria il c.d. danno biologico, quest’ultimo, non compreso invece in quanto dovuto ai sensi dell’articolo 66 del t.u. numero 1124 del 1965, avrebbe dovuto essere posto a carico della datrice di lavoro. In tal modo si evoca un principio corretto in relazione alla collocazione della vicenda sotto il regime anteriore all’articolo 13 citato, nel quale del danno che si definiva “biologico” era chiamato a rispondere, in caso di infortunio sul lavoro, il datore di lavoro si veda, ex multis, numero 114 del 2002 . Senonché il motivo così prospettato, cioè là dove addebita alla Corte territoriale di non aver tenuto cento di detto principio, si palesa assolutamente privo di pertinenza con la motivazione della sentenza impugnata, la quale in alcun modo l’ha contraddetto. Essa, infatti - e trattasi di circostanza che nella parte iniziale dell’esposizione del motivo, dove si riassume la motivazione della sentenza, è del tutto taciuta - ha espressamente osservato quarto, quinto e sesto rigo della pagina otto che “innanzi tutto è da precisare che gli appellanti avevano chiesto in primo grado il risarcimento del danno biologico, cui hanno rinunciato espressamente negli atti d’appello”. La Corte territoriale, dunque, non ha in alcun modo negato che fosse configurabile, nel regime normativo cui era soggetto l’infortunio, una responsabilità della datrice di lavoro per il c.d. danno biologico, ma ha rilevato che negli appelli ad esso si era rinunciato. Il motivo appare, pertanto, inammissibile, perché prospetta una critica alla sentenza impugnata che non ha alcun rispondenza nella sua motivazione, e che anzi all’esito della sua lettura appare manifestamente contraria a quanto da essa affermato si veda, ex multis, Cass. numero 359 del 2005 . 2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione degli articolo 2, 29, 30 della Costituzione della repubblica e degli articolo 2043 e 2059 del Codice Civile”. L’illustrazione esordisce con l’affermazione che “pacifica appare, la risarcibilità di un danno esistenziale, quale ‘terza figura di danno’, altra e diversa dal danno biologico e dal danno morale”. Continua, quindi, evocando i concetti con i quali veniva definito quel danno, la autonoma risarcibilità della “morte violenta di un parente stretto” quale danno iure proprio sofferto dagli stretti congiunti, il principio di diritto di cui a Cass. sez. unumero numero 6572 del 2006 e, quindi, assume che, con riferimento alla vicenda detto danno sarebbe consistito “non già nella violazione del rapporto familiare, quanto piuttosto nelle conseguenze che dall’irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, discendono”, sottolineando che nella specie vengono in rilievo un rapporto di coniugio e due rapporti di filiazione e che la circostanza della morte del loro stretto congiunto avrebbe comportato un’alterazione dell’equilibrio mentale dei ricorrenti, riflettentesi sotto il profilo della difficoltà di partecipazione all’attività quotidiana e della demotivazione rispetto alla vita futura. Il motivo prospetta una questione, quella della rilevanza di un c.d. danno esistenziale, che - al di là della possibilità di ricollegare tale categoria di danno in quella del c.d. danno non patrimoniale come ricostruito dalle Sezioni Unite nelle note sentenze gemelle del 2008 aventi capofila in Cass. sez. unumero numero 26972 di quell’anno - risulta introdotta con il ricorso per cassazione e, quindi, nuova, rispetto alla situazione dei petita dei ricorrenti descritta dalla sentenza impugnata e non oggetto di critica, per come cristallizzatasi nel giudizio di appello. S’è già veduto che la sentenza impugnata riferisce che gli attuali ricorrenti rinunciarono alla parte di domanda relativa al c.d. danno biologico. La sentenza non si occupa di danno esistenziale o comunque della tipologia di danno per come indicata nell’illustrazione del motivo. Si occupa solo dei danno patrimoniale e del c.d. danno morale. Ebbene, una volta considerato che, in base agli arresti delle Sezioni Unite danno biologico e danno esistenziale sono categorie, come lo stesso danno morale, ormai rifluite nell’unitaria categoria del c.d. danno non patrimoniale nelle sue varie sfaccettature, risulta palese che, avendo i ricorrenti con l’atto di appello rinunciato a quello che avevano individuato come danno biologico e non avendo indicato se e come avevano fatto valere un “danno esistenziale”, non è dato comprendere come possano ora reintrodurre la questione della spettanza, certamente configurabile in astratto, ma da dimostrare secondo gli insegnamenti delle Sezioni Unite , di un danno sotto i profili indicati e ciò al di là dell’invocazione di esso come “esistenziale”, qualificazione che non impedirebbe, ove, però, la questione non si profilasse nuova, di scrutinare la doglianza collocandola sotto gli ambiti qualificatori indicati dalle Sezioni unite. Il motivo risulta, dunque, inammissibile perché si risolve nell’introduzione di un petitum che non era presente o non era più presente nel giudizio di appello. 3. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Va rilevato che le considerazioni svolte nella memoria, in disparte che incomprensibilmente evocano una polizza assicurativa datoriale per la r.c.a., in alcun modo sono idonee a superare i rilievi svolti rispetto ai due motivi, atteso che si risolvono nell’evocare il modo di essere normativo anteriore alla legge del 2000, che, però, per le ragioni indicate non risulta rilevante ai fini dello scrutinio dei motivi, in dipendenza della particolarità dello svolgimento processuale di merito. In pratica si tratta di argomentazioni che valgono solo a dimostrare che un danno non patrimoniale avrebbe potuto riconoscersi a carico della resistente, sulla base della disciplina giuridica applicabile alla vicenda e concorrendone, peraltro, la dimostrazione, se il processo non fosse stato gestito dai ricorrenti come le, è stato. 4. Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi, atteso che, per un verso lo giustifica la natura della vicenda e, per altro verso la circostanza che il ricorso risulta proposto in una situazione nella quale non era sopravenuta la sistemazione del danno non patrimoniale data dalle Sezioni Unite e, d’altro canto, tenendosi presente che il danno biologico, cui con l’atto di appello rinunciò, aveva un significato che non era del tutto sovrapponibile al pregiudizio di cui ha ragionato il secondo motivo e considerato, altresì, che ne era discussa la configurabilità, ora rifluita sotto la specie del danno non patrimoniale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.