Macchinario obsoleto in azienda, imprenditore condannato per l’infortunio

Operaio vittima di un incidente a causa del malfunzionamento di una pressa. A risultare decisive, dopo un attento approfondimento, sono le caratteristiche del macchinario, assolutamente inadeguato, perché obsoleto e tecnologicamente inadeguato.

Macchinario obsoleto. Eppure tenuto comunque in azienda, e utilizzato quotidianamente. Conseguenza logica, purtroppo, è l’infortunio subito dal dipendente. E altrettanto consequenziale è la sanzione nei confronti del datore di lavoro, per aver violato le «norme per la prevenzione degli infortuni del lavoro» Cassazione, sentenza numero 10323, Quarta sezione Penale, depositata oggi . Old style. A provocare l’incidente è una pressa, a pagarne le conseguenze un operaio, che riporta lesioni «giudicate guaribili» in quasi tre mesi. A doversi assumere la responsabilità per il terribile episodio in azienda, secondo i giudici, è il datore di lavoro, per non aver provveduto a garantire la sicurezza dei propri dipendenti, e, più precisamente, mettendo a loro disposizione «un’attrezzatura obsoleta e priva dei requisiti di sicurezza». Ecco spiegata la condanna, sia in primo che in secondo grado, a una multa di 309 euro e a un risarcimento dei danni di poco superiore ai 15mila euro. Secondo il datore di lavoro, però, è forzato il ragionamento che gli addebita la responsabilità dell’episodio. Perché, ammette, sì la pressa era «vetusta» ma, comunque, «provvista di misure di sicurezza, idonee ad impedire infortuni», come testimoniato anche dal parere degli ispettori del lavoro in visita in azienda, i quali «avevano avuto modo di evidenziare come la macchina, sebbene non ispirata alle moderne misure di sicurezza, presentasse tutti gli accorgimenti del caso». Tecnologia. Ma la tesi del datore di lavoro non può reggere, secondo i giudici della Cassazione. Non può reggere, cioè, l’idea che il macchinario in azienda, pur essendo oramai obsoleto, fosse comunque capace di garantire la sicurezza degli operai che erano destinati ad utilizzarlo quotidianamente. Decisivo, a tale proposito, il riscontro dei tecnici della prevenzione, i quali, ricordano i giudici, hanno evidenziato che «la macchina non era solo obsoleta, ma anche tecnologicamente inadeguata» e, per giunta, «per nulla rispettosa delle norme antinfortunistiche». E non secondaria risulta, poi, l’ammissione dello stesso datore di lavoro, il quale aveva riconosciuto che la macchina «non era ispirata alle moderne misure di sicurezza». Senza dimenticare, peraltro, che «un incidente si era già verificato in precedenza ed era stato inutilmente segnalato» al datore di lavoro, che poi, a seguito del secondo episodio, è stato obbligato a provvedere alla «messa a norma» del macchinario. Quadro cristallino, quindi, per i giudici, che difatti confermano in toto la condanna così come delineata nel giudizio di secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 luglio 2012 – 6 marzo 2013, numero 10323 Presidente Brusco – Relatore Foti Ritenuto in fatto 1 - R.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, del 20 settembre 2011, che ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città, del 9 febbraio 2009, che lo ha ritenuto colpevole del reato di lesioni colpose commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di C.A. e lo ha condannato alla pena di 309,00 euro di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in euro 15.270,67. Secondo l’accusa, condivisa dai giudici del merito, l’imputato, titolare del “Baulificio Perugino”, per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nella violazione degli articolo 2087 cod. civ., 82 d.p.r. numero 547/55, 35 d.p.r. numero 626/94, avendo messo a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura obsoleta e priva dei requisiti di sicurezza, ha provocato al C. lesioni giudicate guaribili in 111 giorni. In particolare, è accaduto che l’operaio, mentre lavorava ad una pressa, ha subito lo schiacciamento del secondo dito della mano destra a causa dell’improvviso movimento verso il basso del punzone, provocato dal cattivo funzionamento della macchina. 2 - Avverso detta sentenza ricorre, dunque, il R., che deduce violazione di legge in punto a Di affermazione della responsabilità. Sostiene in proposito il ricorrente che la pressa, pur vetusta, era provvista di idonee misure di sicurezza, idonee ad impedire infortuni. Gli stessi ispettori del lavoro, si aggiunge nel ricorso, avevano avuto modo di evidenziare come la macchina “sebbene non ispirata alle moderne misure di sicurezza, presentasse tutti gli accorgimenti del caso” b Di liquidazione del danno, in relazione al quale la corte territoriale, a giudizio del ricorrente, non avrebbe tenuto conto del concorso di colpa della vittima ed avrebbe duplicato le voci di danno, liquidando il danno morale oltre che il danno biologico. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico. a Quanto al primo motivo di ricorso, osserva la Corte che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, è stato accertato dai tecnici della prevenzione, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata, che la macchina alla quale era addetto il lavoratore infortunato non era solo obsoleta, ma anche tecnologicamente inadeguata e, cosa ancor più significativa, per nulla rispettosa delle norme antinfortunistiche, stante l’assenza di protezioni idonee ad impedire il contatto delle mani con il punzone. Inoltre il giudice del gravame ha aggiunto, senza essere contraddetto dal ricorrente, che il punzone si era abbassato improvvisamente, e senza il consenso dell’operatore, a causa del difettoso funzionamento del meccanismo di riaggancio e che un incidente del genere si era già verificato in precedenza, ed era stato inutilmente segnalato all’imputato. A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente richiama, genericamente, presunti giudizi resi dagli ispettori del lavoro e sostiene, apoditticamente, che la macchina presentava “tutti gli accorgimenti del caso”, ammettendo, tuttavia, che la stessa “non era ispirata alle moderne misure di sicurezza” e tacendo la circostanza secondo cui la pressa è stata successivamente messa a norma dall’imputato, in esecuzione delle direttive impartite dai tecnici intervenuti per l’occasione. b Non deducibile nella sede di legittima è il secondo motivo, concernente l’aspetto risarcitorio della sentenza. In proposito, il ricorrente altro non fa - evitando di confrontarsi con gli argomenti svolti dal giudice del gravame - che ripropone osservazioni già poste all’attenzione della corte territoriale, che le ha puntualmente esaminate, indicando con coerenza logica le ragioni del proprio dissenso rispetto alle tesi difensive. Si tratta, peraltro, di osservazioni palesemente infondate, laddove pretendono di individuare un inesistente concorso di colpa della vittima, costretto a lavorare ad una macchina che ne ha messo a repentaglio l’incolumità, e laddove richiamano sentenze della Cassazione civile, non meglio indicate, ed ignorano i principi dalla stessa affermati in proposito, puntualmente segnalati nella sentenza impugnata. La manifesta infondatezza e la genericità del ricorso ne determinano l’inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 euro in favore della cassa delle ammende. La declaratoria d’inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato, pur maturata dopo la sentenza di secondo grado. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1,000 in favore della cassa delle ammende.