La coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, poiché è l’attività in sé da ritenersi potenzialmente diffusiva di droga.
Così ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 9198, depositata il 26 febbraio 2013. Le fiamme gialle scoprono una coltivazione di cannabis in casa. La Guardia di Finanza perquisisce un’abitazione ha il fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope destinate allo spaccio. Vengono accolti dall’inquilino che subito consegna 5 grammi di marijuana, un trita foglie a alcune confezioni di cartine. Questo lo spettacolo cui si trovano di fronte due stanze adibite a serra, dotate di impianto di riscaldamento, illuminazione artificiale, isolamento delle pareti, con molti vasi vuoti a altri con radici e parti di fusto di piante di cannabis. Nella stanza da letto vengono trovate numerose tracce di fogliame di cannabis posto a essiccare sul pavimento. La condanna. Il GUP del Tribunale, in sede di giudizio abbreviato, ritenuto integrato il delitto di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti previsto dall’articolo 73, d.P.R. numero 309/1990, emette una condanna di 2 mesi e 20 giorni di reclusione e di 600 euro di multa, con attenuanti, generiche e per fatto di lieve entità, e con sospensione condizionale della pena. La droga viene confiscata e distrutta. La Corte d’Appello conferma la sentenza, per questo il condannato ricorre per cassazione, sostenendo nuovamente l’uso personale e la scarsa offensività del reato. L’apparato organizzativo di coltivazione è dimostrato. La Suprema Corte rileva che il ricorrente semplicemente propone «censure in fatto che non inficiano la sentenza impugnata», poiché questa ha ampiamente dimostrato e descritto la situazione dei luoghi, da cui è risultato provato, vista anche la presenza di fertilizzante e di semi di cannabis, che «fino a epoca prossima a perquisizione» il ricorrente «avesse curato la coltivazione di numerose piante di cannabis, dalla quale derivava necessariamente la marijuana trovata in casa» in via di essiccazione, non riconducibile all’uso personale, nonostante il rinvenimento di numerose confezioni di cartine per sigarette vuote. Il fatto è a considerarsi offensivo concretamente, poiché nel fogliame ritrovato c’era THC e perché l’apparato organizzativo era di rilevante entità. Non c’è differenza tra coltivazione all’aperto o in casa. La Corte rigetta il ricorso, sottolinendo che la coltivazione di piante da cui possano estrarsi sostanze stupefacenti è penalmente rilevante, ai sensi degli articolo 26 e 28, d.P.R. numero 309/1990, anche se effettuata in casa, «posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenersi potenzialmente diffusiva della droga».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio – 26 febbraio 2013, numero 9198 Presidente Lombardi – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Il 21.11.2005 personale della Guardia di Finanza eseguiva presso l'abitazione di G.L P. , a , una perquisizione ex articolo 103 D.P.R. 309/90. Immediatamente l'imputato consegnò ai finanzieri 5 g di marijuana, un trita foglie e alcune confezioni di cartine. Nella stanza da letto furono trovate numerose tracce di fogliame di cannabis poste a essiccare sul pavimento. Furono poi individuate ben due stanze adibite a serra, dotate di impianto di riscaldamento, illuminazione artificiale, materiale isolante alle pareti, con numerosi vasi vuoti e altri con radici e patti di fusto di piante di cannabis tagliate a pochi centimetri dalle radici. Furono poi trovati numerosi semi di cannabis, foglie di cannabis poste a essiccare confezioni di fertilizzanti per cannabis e oltre 150 scatolette vuote di cartine per sigaretta. Le analisi eseguite su un campione di foglie secche in sequestro hanno permesso di appurare la presenza di THC. Con sentenza 24.5.2007 il GUP del Tribunale di Oristano, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava P.G.L. colpevole del delitto previsto dall'articolo 73 D.P.R. 309/90 e lo condannava alla pena di due mesi e venti giorni di reclusione e 600,00 Euro di multa, con le attenuanti del fatto di lieve entità e generiche con la sospensione condizionale della pena confiscava e disponeva la distruzione dello stupefacente e di quanto in sequestro. 2. Con appello tempestivo, il difensore di G.L P. chiedeva l'assoluzione perché il fatto non sussiste. Rilevava che lo stupefacente sequestrato era destinato ad uso personale, tenuto conto anche del consumo a fini terapeutici che l'imputato ne faceva in relazione a una grave patologia di cui era affetto, mentre non erano emersi elementi indicativi di una attività di coltivazione, atteso che la stessa non era in atto e l'attrezzatura era sostanzialmente abbandonata, sì che difettava il requisito della offensività. La corte d'appello con sentenza del 27 gennaio 2012, qualificato il fatto come coltivazione di piante di cannabis ai sensi degli articolo 26 e 73 D.P.R. 309/90, confermava la sentenza impugnata e condannava G.L P. alle spese del grado del giudizio. 3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e travisamento degli atti processuali. Sostiene in particolare che la motivazione della sentenza impugnata quanto all'esclusione dell'uso personale è contraddetta da elementi di prova di segno contrario. Il rinvenimento di 152 confezioni di cartine per sigarette vuote nell'abitazione dell'imputato doveva far escludere la destinazione allo spaccio. Con un secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge lamentando che la corte d'appello non abbia fatto buon governo del principio di della necessaria offensività del reato. E quindi non ha valutato la reale portata offensiva della condotta contestata. 2. Il ricorso è infondato. Il ricorrente, contestando la valutazione delle risultanze probatorie e deducendo la mancanza di offensività del fatto in relazione all'interesse tutelato dalla norma, muove nella sostanza mere censure in fatto che non inficiano la sentenza impugnata essendo questa assistita da motivazione ampiamente sufficiente e non contraddittoria. In particolare la corte d'appello ha osservato che l'esito univoco della perquisizione consentiva di affermare con assoluta certezza che l'imputato era dedito all'attività delittuosa di coltivazione di piante di cannabis. In questo senso orientavano la predisposizione di ben due serre attrezzate e dotate di apparecchiature sofisticate per la coltivazione al chiuso la presenza di fogliame di cannabis sparso a essiccare sui pavimenti la presenza di diversi fusti recisi di piante di cannabis e di numerosi vasi contenenti ancora le radici la disponibilità di fertilizzante specifico e di numerosi semi di cannabis. Era dunque ponzato che, fino a epoca prossima alla perquisizione, il P. avesse curato la coltivazione di numerose piante di cannabis, dalla quale derivava necessariamente la marijuana trovata in casa di P. in via di essiccazione. La sussistenza della condotta di coltivazione ha poi consentito alla corte d'appello di riscontrare anche la concreta offensività del fatto, desunta sia dalla provata presenza di THC nel campione di fogliame analizzato sia dalla entità dell'apparato organizzato da P. per coltivare la cannabis e dall'elevato numero di piante che egli risultava aver messo a dimora. In diritto va ribadito quanto già affermato da questa Corte Cass., sez. VI, 9/12/2009 - 23/12/2009, numero 49523 secondo cui la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti nella specie coltivazione di quindici piante di marijuana è penalmente rilevante ai sensi degli articolo 26 e 28 del d.P.R. numero 309 del 1990, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria o domestica, posto che l'attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga. 3. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.