«Farò a tua figlia quello che stai facendo al mio!». La sospetta paranoia non esclude il dolo

La perizia psichiatrica disposta ha consentito di risolvere il dubbio relativo alla compatibilità dell’elemento psicologico del reato con la sospetta paranoia dell’imputata anche ipotizzando la sussistenza di un disturbo della personalità, andrebbe comunque riconosciuta la coscienza degli atti compiuti dalla donna.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 7548/13, depositata il 15 febbraio. Il caso. Una donna viene condannata per aver compiuto una serie di atti offensivi, minacciosi e persecutori nei confronti di un avvocato, costringendo così la professionista a rinunciare al mandato difensivo conferitole dall’uomo con il quale l’imputata era in lite per l’accertamento della paternità del figlio. Tra l’altro, l’imputata aveva aggredito verbalmente la vittima minacciando «Farò a tua figlia quello che stai facendo al mio!». La donna ricorre allora per cassazione, contestando essenzialmente la negazione della sospensione condizionale della pena e vizi di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per tutti i reati a lei ascritti violenza privata, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestia e disturbo alle persone . No alla sospensione condizionale l’imputata può compiere altri reati. Gli Ermellini, rilevata la gratuità della doglianza attinente alla speditezza del processo, che va ritenuta doverosa e non è certo indice di pregiudizio nei confronti dell’imputato, affermano che la motivazione relativa alla prima censura è priva di vizi logici e giuridici infatti, in ordine alla sospensione condizionale della pena, il giudice deve valutare la capacità del reo di astenersi dalla commissione di nuovi reati e non solo del reato per il quale è stato condannato. Nel caso di specie, la gravità dei fatti, il comportamento processuale della parte e la mancanza di segni di ravvedimento fondano senza dubbio la decisione assunta dai giudici di merito. Gli atti sono stati compiuti coscientemente. Neppure il secondo motivo di ricorso può essere accolto in particolare, a giudizio della S.C., la perizia psichiatrica disposta ha consentito di risolvere il dubbio, già sollevato in primo grado, relativo alla compatibilità dell’elemento psicologico del reato con la sospetta paranoia dell’imputata anche ipotizzando la sussistenza di un disturbo della personalità, andrebbe comunque riconosciuta la coscienza degli atti compiuti dalla donna. Neppure rileva il fatto che gli illeciti compiuti sarebbero stati finalizzati a proteggere il proprio bambino tutt’al più ciò attiene ai motivi a delinquere, ma di certo non alla configurabilità del dolo. Quanto alle altre censure riferite ai singoli reati, esse sono da considerarsi inammissibili, in quanto volte a riproporre questioni già confutate in sede di merito. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 ottobre 2012 – 15 febbraio 2013, numero 7548 Presidente Zecca – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 19 dicembre 2011 la Corte d'Appello di Milano, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Como, ha riconosciuto B S. responsabile dei delitti di violenza privata, ingiuria, diffamazione, minaccia e della contravvenzione di molestia e disturbo alle persone, in danno di A A. , tutti unificati dal vincolo della continuazione ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 1.1. Le condotte ascritte all'imputata consistevano in una serie di atti offensivi, minacciosi e persecutori, protrattisi nel tempo e finalizzati a costringere la A. , esercente la professione di avvocato, a rinunciare al mandato difensivo conferitole da B.S. nella controversia in corso con la S. e avente ad oggetto l'accertamento di paternità del figlio di costei rinuncia al mandato poi, effettivamente, conseguita a tali azioni. 1.2. Le prove valorizzate dal giudice di merito erano costituite dalle dichiarazioni della persona offesa, ritenute intrinsecamente credibili e confermate, per di più, da molteplici riscontri testimoniali e documentali. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi. 2.1. Col primo motivo la ricorrente denuncia illogicità della motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena. Premessa una doglianza circa la singolare celerità del processo, indicativa a suo dire di un pregiudizio nei propri confronti, la S. osserva che, una volta ottenuta la rinuncia al mandato dell'Avv. A. , nessuna ragione avrebbe di reiterare in futuro le condotte oggetto di sanzione. 2.2. Col secondo motivo deduce vizi di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per tutti i reati ascrittile. Segnala, in particolare, la contraddittorietà insita nell'attribuzione di una lucida volontà tesa all'ottenimento di un esito prefissato la rinuncia all'incarico dell'Avv. A. , a persona della cui capacità di intendere e di volere lo stesso giudice aveva dubitato, tanto da disporre una perizia psichiatrica. Sostiene che, in realtà, le ragioni del proprio agire erano dettate soltanto dalla viva preoccupazione per le sorti del proprio figlio. Sottopone a disamina i vari capi d'Imputazione, contrastando il giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte di merito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso. 1.1. Quanto al primo motivo, va rimarcata innanzi tutto la gratuità del rilievo attinente alla speditezza - del resto relativa - con la quale il giudizio di merito è pervenuto a definizione nei due gradi, dovendosi tenere per doverosa, e non certo quale sintomo di pregiudizio, l'osservanza del principio di ragionevole durata del processo ogni volta che ve ne sia la concreta possibilità. In ordine alla doglianza concernente il diniego della sospensione condizionale della pena, va detto che la motivazione addotta in proposito dal giudice di appello è del tutto immune da vizi logici e giuridici. Ed invero, la prognosi cui il giudice è chiamato dal disposto dell'articolo 164, comma primo, cod. penumero riguarda la capacità del reo di astenersi, in futuro, dalla commissione di nuovi reati, e non certamente dalla sola reiterazione del medesimo reato per il quale è pronunciata condanna correttamente, dunque, il Tribunale lariano ha negato il beneficio in base alle considerazioni svolte in motivazione circa la gravità e sistematicità dei fatti, il comportamento processuale dell'imputata e la mancanza di un minimo segno di ravvedimento da parte sua, per derivarne il convincimento che la personalità della S. non dia spazio a previsioni favorevoli in ordine alla sua futura condotta. 1.2. Quanto al secondo motivo, insussistente è la dedotta contraddittorietà di motivazione. Il dubbio sollevato dalla difesa già in primo grado, relativamente alla compatibilità dell'elemento psicologico del reato con le condizioni psichiche dell'imputata caratterizzate da una sospetta paranoia, comunque non tale da inficiarne l'imputabilità , è stato pienamente risolto sulla base della perizia psichiatrica appositamente disposta. Il giudice di appello, investito del motivo d'impugnazione sul punto, ha dato risposta puntuale e logicamente ineccepibile con l'osservare che, anche se si tenesse per certo l'ipotizzato disturbo della personalità, al soggetto dovrebbe comunque riconoscersi la coscienza degli atti compiuti tanto più che anche un'eventuale diminuita imputabilità - peraltro non accertata nel caso concreto - non escluderebbe la sussistenza del dolo in ciò il giudice di merito si è correttamente attenuto ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità v. da ultimo Sez. 6, numero 47379 del 13/10/2011, Dall'Oglio, Rv. 251183 . Neppure rileva, ai fini della responsabilità penale, il fatto che le azioni illecite compiute dall'imputata fossero dettate dalla malintesa finalità di proteggere il proprio bambino, atteso che tale atteggiamento mentale varrebbe tutt'al più a qualificare i motivi a delinquere, senza peraltro incidere sulla configurabilità del dolo. Le restanti censure mosse dalla ricorrente con specifico riferimento ai singoli reati ascrittile sono inammissibili, in quanto comportanti la reiterazione in questa sede di doglianze già efficacemente confutate dal giudice di merito. La Corte territoriale, invero, ha preso dettagliatamente in esame le argomentazioni difensive prospettate nell'atto di appello con riferimento ai singoli reati ascritti alla S. e ha confermato il giudizio di colpevolezza, osservando che la pretesa casualità degli incontri con l'Avv. A. era smentita dal loro frequente verificarsi nei pressi dello studio legale e dai continui pedinamenti di cui la persona offesa era vittima che le espressioni rivolte alla stessa A. avevano integrato un’aggressione verbale di immediata percezione, connotata da lucida pervicacia che la minaccia concretatasi nell’espressione “farò a tua figlia quello che stai facendo al mio” era senz’altro idonea ad intimorire la persona offesa, tanto che proprio a seguito di essa la A. aveva rinunciato all’incarico difensivo. A ciò deve soltanto aggiungersi che ad integrare il reato di minaccia non si richiede alcun dolo specifico, bastando la coscienza e volontà di limitare la libertà psichica dell’interlocutore con la prospettazione di una male futuro. 2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.