L’incostituzionalità riguarda il carattere assoluto della presunzione relativa alla misura cautelare applicabile.
Nella sentenza numero 331 del 16 dicembre, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4 bis , d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286 «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» , aggiunto dall’articolo 1, comma 26, lett. f , l. 15 luglio 2009, numero 94 recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica» , nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. La disciplina censurata. Al fine di combattere le immigrazioni clandestine, l’articolo 12, comma 3, T.U. Immigrazione dispone quanto segue «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui a il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone b la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale c la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale d il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti e gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti». Il comma 4 bis , oggetto del giudizio di costituzionalità, impone che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari». Il giudizio principale dinanzi alla Corte di Cassazione. Con ordinanza depositata il 27 aprile 2011, la Corte di Cassazione ha richiamato la sentenza numero 265/2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’analoga presunzione contenuta nell’articolo 275, comma 3, c.p.p., riguardante alcuni delitti a sfondo sessuale, per violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza articolo 3 Cost. , di inviolabilità della libertà personale articolo 13, comma 1, Cost. , nonché della presunzione di non colpevolezza articolo 27, comma 2, Cost. . Analoghe declaratorie riguardano i delitti di omicidio volontario sentenza numero 164/2011 e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope sentenza numero 231/2011 . Anche in questo caso, le fattispecie di reato non sono assimilabili ai delitti di mafia, relativamente ai quali la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. Secondo il Giudice a quo , il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina «potrebbe essere [] realizzato, anche nelle ipotesi aggravate cui la norma censurata fa riferimento, con condotte profondamente diverse tra loro, indipendenti da una struttura criminale organizzata, e tali, dunque, da proporre esigenze cautelari affrontabili anche con misure diverse dalla custodia carceraria». La presunzione assoluta è incostituzionale. Nella sentenza in rassegna, la Corte Costituzionale dichiara la fondatezza della questione. Il Giudice delle leggi osserva che l’articolo 12, comma 4 bis , T.U. Immigrazione assoggetta i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ad uno speciale e più severo regime cautelare, omologo a quello prefigurato dall’articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, c.p.p. e fondato su una duplice presunzione - relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari - assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il Legislatore adeguata – ove la presunzione relativa non risulti vinta – unicamente la custodia cautelare in carcere. Richiamate le conclusioni raggiunte nei precedenti supra menzionati, il Collegio ravvisa, anche nel caso di specie, la violazione del principio di inviolabilità della libertà personale articolo 13, comma 1, Cost. e della presunzione di non colpevolezza articolo 27, comma 2, Cost. . Le figure di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contemplate dal comma 3 dell’articolo 12, T.U. Immigrazione cui rinvia la norma censurata ricomprendono fattispecie concrete marcatamente differenziate tra loro ciò risulta confermato dall’alternatività delle ipotesi delittuose. È proprio l’eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto a non consentire di «enucleare una regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le “connotazioni criminologiche” del fenomeno, secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari». Secondo il Collegio, la presunzione assoluta censurata «non può neppure rinvenire la sua base di legittimazione costituzionale nella gravità astratta del reato di favoreggiamento dell’immigrazione, né nell’esigenza di eliminare o ridurre le situazioni di allarme sociale correlate all’incremento del fenomeno della migrazione clandestina» cfr. sentenze numero 231 e numero 164 del 2011, numero 265 del 2010 . La Carta Fondamentale è violata non dalla presunzione in sé, ma dal suo carattere assoluto, implicante «una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del “minore sacrificio necessario”». Diversamente, «la previsione di una presunzione solo relativa di adeguatezza della custodia carceraria – atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario – non eccede i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso».
Corte Costituzionale, sentenza 12 – 16 dicembre 2011, numero 331 Presidente Quaranta – Redattore Frigo Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4- bis , del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , aggiunto dall’articolo 1, comma 26, lettera f , della legge 15 luglio 2009, numero 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica , promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di E.S.A.K.M.F. ed altri con ordinanza del 27 aprile 2011, iscritta al numero 169 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 35, prima serie speciale, dell’anno 2011. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza depositata il 27 aprile 2011, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli articolo 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , aggiunto dall’articolo 1, comma 26, lettera f , della legge 15 luglio 2009, numero 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica , nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. La Corte rimettente riferisce che, con ordinanza del 3 novembre 2010, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice distrettuale del riesame, aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina nei confronti di cinque cittadini egiziani, da tempo residenti Italia. Agli indagati era contestato il delitto di cui all’articolo 12, comma 3, lettere a , b e d , del d.lgs. numero 286 del 1998, per aver compiuto, tra il 3 e il 4 ottobre 2010, atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato di alcuni stranieri, giunti con un peschereccio davanti alla costa di Borgo Grappa, trasportandoli a terra con un gommone e conducendoli presso un’abitazione sita in Anzio. Si trattava, cioè, «della ipotesi autonoma del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata in relazione al numero dei migranti trasportati, alle condizioni di pericolo in cui si è svolto il trasporto e al numero dei concorrenti nel reato». Ravvisati, a carico degli indagati, i gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale del riesame rilevava come – non essendo stati acquisiti elementi dai quali evincere l’insussistenza di esigenze cautelari – risultasse operante, nella specie, la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria, stabilita dall’articolo 12, comma 4-bis, del d.lgs. numero 286 del 1998, che privava il giudice di ogni discrezionalità nella scelta della misura cautelare applicabile. Avverso la decisione proponevano ricorso per cassazione gli indagati, reiterando l’eccezione di illegittimità costituzionale del citato articolo 12, comma 4- bis , già disattesa dal Tribunale. I ricorrenti formulavano, altresì, motivi volti a denunciare un preteso profilo di nullità dell’ordinanza impugnata, nonché la carenza di motivazione della medesima in ordine alla sussistenza delle condizioni di cui agli articolo 273 e 274 del codice di procedura penale. Ad avviso della Corte rimettente, mentre i motivi da ultimo indicati non potrebbero essere accolti, la questione di legittimità costituzionale risulterebbe rilevante e non manifestamente infondata. Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva come, nei motivi di ricorso, si sostenga – «non senza fondamento» – che il fatto non è stato commesso nell’ambito di una struttura criminale organizzata avente caratteristiche di stampo mafioso circostanza che emergerebbe, in effetti, dallo stesso provvedimento impugnato, nel quale si riconosce come «la rudimentale organizzazione delle attività di collaborazione poste in essere da ciascuno degli indagati deponga per una condotta episodica e, in sostanza, di non peculiare gravità». D’altra parte, fin dall’inizio del procedimento, lo stesso pubblico ministero aveva ritenuto di dover distinguere la posizione di almeno uno degli indagati, chiedendo che al medesimo fosse applicata la misura degli arresti domiciliari istanza non accolta dal giudice – che pure, di regola, non può disporre una misura più afflittiva di quella richiesta dal pubblico ministero – solo in ragione della previsione limitativa contenuta nella norma denunciata. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva come questa Corte, con la sentenza numero 265 del 2010, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articolo 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost., dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articolo 600-bis, primo comma, 609- bis e 609-quater del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Ad avviso del giudice a quo, le medesime considerazioni poste a base di tale pronuncia – sinteticamente ripercorse nell’ordinanza di rimessione – varrebbero anche in rapporto all’omologa previsione della norma censurata. In particolare, allo stesso modo dei delitti a sfondo sessuale oggetto della citata sentenza numero 265 del 2010, neppure i delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina potrebbero essere assimilati, sotto il profilo che interessa, ai delitti di mafia, in rapporto ai quali questa Corte con l’ordinanza numero 450 del 1995 ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – consistente nel compimento di atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato – è, infatti, un delitto che, pure nelle ipotesi aggravate, può essere compiuto anche occasionalmente, con condotte individuali fortemente differenziate tra loro e al di fuori di una struttura criminale organizzata. In questa prospettiva, la norma censurata violerebbe sia l’articolo 3 Cost., sottoponendo irrazionalmente i delitti in questione al medesimo trattamento cautelare previsto per i delitti di mafia sia l’articolo 13, primo comma, Cost., introducendo una deroga al regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale senza una adeguata ragione giustificatrice sia, infine, l’articolo 27, secondo comma, Cost., attribuendo alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza dell’imputato prima della condanna definitiva. 2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. La difesa dello Stato rileva che è ben vero che questa Corte, con la sentenza numero 265 del 2010, ha dichiarato costituzionalmente illegittima, con riferimento a taluni delitti a sfondo sessuale, l’analoga disposizione dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero declaratoria di illegittimità costituzionale successivamente estesa dalla sentenza numero 164 del 2011 anche al delitto di omicidio volontario articolo 575 cod. penumero . In precedenza, tuttavia, la Corte, con l’ordinanza numero 450 del 1995, aveva escluso che la presunzione sancita dal citato articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero potesse ritenersi costituzionalmente illegittima in riferimento ai delitti di mafia, tenuto conto della specificità degli stessi, caratterizzati dalla permanenza e dalla «vischiosità» del rapporto del reo con il sodalizio criminoso di appartenenza. Nell’occasione, la Corte aveva specificamente affermato che, mentre l’apprezzamento delle esigenze cautelari «l’ an della cautela» deve essere lasciato al giudice, l’individuazione del tipo di misura cautelare «il quomodo » può bene essere operata, in termini generali, dal legislatore, nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori coinvolti. La giurisprudenza costituzionale avrebbe valutato, quindi, diversamente le presunzioni di adeguatezza della sola custodia cautelare, a seconda della natura dei reati e della pericolosità sociale degli indiziati. A questo riguardo, andrebbe tenuto conto del fatto che le citate sentenze numero 265 del 2010 e numero 164 del 2011 hanno riguardato figure criminose – quali i reati sessuali e l’omicidio volontario – che, nella maggior parte dei casi, si pongono al di fuori di un contesto di criminalità organizzata. Di contro, le fattispecie delittuose previste dall’articolo 12, comma 3, del d.lgs. numero 286 del 1998 – se pure non costituiscono, di per sé, reati a concorso necessario – colpirebbero condotte poste in essere, nella generalità delle ipotesi concrete, da soggetti inseriti in organizzazioni criminali stabilmente dedite a promuovere o a favorire l’ingresso clandestino di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato. Come comprovato anche dall’esperienza giudiziaria, i reati in discorso richiederebbero, infatti, una adeguata predisposizione di mezzi e l’impiego di uomini specificamente «addestrati per il traffico di esseri umani». Di conseguenza, essi risulterebbero assimilabili più ai delitti di criminalità organizzata indicati nell’articolo 51, comma 3- bis , cod. proc. penumero , che non a quelli oggetto delle richiamate sentenze numero 265 del 2010 e numero 164 del 2011. Così come in rapporto ai delitti di mafia in senso lato, non potrebbe ritenersi, dunque, irragionevole che il legislatore abbia individuato nella custodia in carcere l’unica misura idonea a fronteggiare le esigenze cautelari in rapporto alle figure criminose di cui si discute. Ciò, sia in considerazione della necessità di interrompere il vincolo che lega il singolo soggetto al gruppo criminale di appartenenza, obiettivo che le misure cautelari più lievi risulterebbero inidonee a realizzare sia in ragione dell’«alto coefficiente di pericolosità per la sicurezza collettiva connaturato alle suddette fattispecie di reato, anche in relazione alla recrudescenza del fenomeno». Considerato in diritto 1.– La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , aggiunto dall’articolo 1, comma 26, lettera f , della legge 15 luglio 2009, numero 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica , nella parte in cui non consente di applicare misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine a taluno dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsti dal comma 3 del medesimo articolo 12. Il giudice a quo reputa estensibili ai procedimenti relativi a detti reati le ragioni che hanno indotto questa Corte, con la sentenza numero 265 del 2010, a dichiarare costituzionalmente illegittima l’analoga presunzione prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale in riferimento a taluni delitti a sfondo sessuale articolo 600- bis , primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale . Al pari di tali delitti, neanche le fattispecie di cui all’articolo 12, comma 3, del d.lgs. numero 286 del 1998 potrebbero essere, infatti, assimilate, sotto il profilo in esame, ai delitti di mafia, relativamente ai quali questa Corte ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina potrebbe essere infatti realizzato, anche nelle ipotesi aggravate cui la norma censurata fa riferimento, con condotte profondamente diverse tra loro, indipendenti da una struttura criminale organizzata, e tali, dunque, da proporre esigenze cautelari affrontabili anche con misure diverse dalla custodia carceraria. La presunzione censurata verrebbe, di conseguenza, a porsi in contrasto – conformemente a quanto deciso dalla citata sentenza numero 265 del 2010 – con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza articolo 3 Cost. e di inviolabilità della libertà personale articolo 13, primo comma, Cost. , nonché con la presunzione di non colpevolezza articolo 27, secondo comma, Cost. . 2.– La questione è fondata. 3.– La norma denunciata assoggetta i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina da essa considerati a uno speciale e più severo regime cautelare, omologo a quello prefigurato, in rapporto a un complesso di altre figure delittuose, dall’articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2, comma 1, lettere a e a-bis , del decreto-legge 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38. Si tratta di un regime che fa perno su una duplice presunzione relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata – ove la presunzione relativa non risulti vinta – unicamente la custodia cautelare in carcere. 3.1.– Come ricorda il giudice a quo, questa Corte, con la sentenza numero 265 del 2010, ha già dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del codice di cui quella censurata replica le cadenze, nella parte in cui configura una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura carceraria nei confronti degli indiziati di taluni delitti a sfondo sessuale induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale e atti sessuali con minorenne . Ad analoghe declaratorie di illegittimità costituzionale la Corte è altresì pervenuta, successivamente all’ordinanza di rimessione, nei riguardi della medesima norma, nella parte in cui rende operante la predetta presunzione assoluta anche nei procedimenti per i delitti di omicidio volontario sentenza numero 164 del 2011 e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope sentenza numero 231 del 2011 . 3.2.– Nelle decisioni ora citate, questa Corte ha rilevato come, alla luce dei principi costituzionali di riferimento – segnatamente, il principio di inviolabilità della libertà personale articolo 13, primo comma, Cost. e la presunzione di non colpevolezza articolo 27, secondo comma, Cost. – la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del «minore sacrificio necessario» la compressione della libertà personale va contenuta, cioè, entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della «pluralità graduata», predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale dall’altra, a prefigurare criteri per scelte «individualizzanti» del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete. Canoni ai quali non contraddice, la disciplina generale del codice di procedura penale, basata sulla tipizzazione di un «ventaglio» di misure di gravità crescente articolo 281-285 e sulla correlata enunciazione del principio di «adeguatezza» articolo 275, comma 1 , al lume del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a soddisfare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto e, conseguentemente, a far ricorso alla misura “massima” la custodia cautelare in carcere solo quando ogni altra misura risulti inadeguata articolo 275, comma 3, primo periodo . 3.3.– Discostandosi in modo marcato da tale regime, il novellato articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero – e, sulla sua falsariga, la norma oggi sottoposta a scrutinio – sottraggono, per converso, al giudice ogni potere di scelta, vincolandolo a disporre la misura maggiormente rigorosa, senza alcuna possibile alternativa, allorché la gravità indiziaria attenga a determinate fattispecie di reato. Questa soluzione normativa si traduce in una valutazione legale di idoneità della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze cautelari presunte, a loro volta, iuris tantum . A tale proposito, questa Corte ha, peraltro, ribadito che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’ id quod plerumque accidit . In particolare, l’irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» sentenze numero 231 e numero 164 del 2011, numero 265 e numero 139 del 2010 . L’evenienza ora indicata era puntualmente riscontrabile in rapporto alla presunzione assoluta in questione, nella parte in cui risultava riferita, tra gli altri, tanto ai delitti a sfondo sessuale dianzi indicati sentenza numero 265 del 2010 , quanto all’omicidio volontario sentenza numero 164 del 2011 , quanto, ancora, all’associazione finalizzata al narcotraffico sentenza numero 231 del 2011 . A tali figure delittuose non poteva, infatti, estendersi la ratio giustificativa del regime derogatorio già ravvisata dalla Corte in rapporto ai delitti di mafia i soli considerati dall’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero anteriormente alla novella legislativa del 2009 ordinanza numero 450 del 1995 ossia che dalla struttura stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche – legate alla circostanza che l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice – deriva, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità . Connotazioni analoghe non erano infatti riscontrabili in rapporto alle figure criminose sopra elencate. Pur nella loro indubbia gravità e riprovevolezza – destinata a pesare opportunamente nella determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpevolezza – i suddetti delitti abbracciano, infatti, ipotesi concrete marcatamente eterogenee tra loro e suscettibili soprattutto di proporre, in un numero non marginale di casi, esigenze cautelari adeguatamente fronteggiabili con misure diverse e meno afflittive di quella carceraria. Questa Corte ha ritenuto, quindi, che l’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero violasse, in parte qua, sia l’articolo 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti considerati a quelli concernenti i delitti di mafia, nonché per l’irrazionale assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai relativi paradigmi punitivi sia l’articolo 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale sia, infine, l’articolo 27, secondo comma, Cost., per essere attribuiti alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena. 4.– Alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche in rapporto alle figure di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, cui il regime cautelare speciale è esteso dal censurato articolo 12, comma 4-bis, del d.lgs. numero 286 del 1998. Si tratta, in specie, delle ipotesi previste dal comma 3 del medesimo articolo oggetto, a sua volta, di profonda modifica ad opera della legge numero 94 del 2009 , nelle quali il fatto di favoreggiamento – identificato in quello di chi, in violazione del testo unico sull’immigrazione, «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente» – viene configurato come fattispecie distinta e più severamente punita di quella di cui al comma 1, per il concorso di elementi che accrescono, nella valutazione legislativa, il disvalore dell’illecito. Tali elementi attengono, alternativamente, al numero degli stranieri agevolati lettera a o dei concorrenti nel reato lettera d, prima parte alle modalità del fatto che espongano a pericolo la vita o l’incolumità del trasportato o lo sottopongano a trattamento inumano o degradante lettere b e c ai mezzi utilizzati servizi internazionali di trasporto o documentazione alterata, contraffatta o comunque illegalmente ottenuta lettera d, seconda parte alla disponibilità, infine, di armi o materie esplodenti da parte degli autori del fatto lettera e . Anche in ragione dell’alternatività delle ipotesi ora indicate, la figura delittuosa viene, peraltro, a ricomprendere fattispecie concrete marcatamente differenziate tra loro, sotto il profilo che qui rileva. Il delitto in discorso costituisce, infatti, un reato a consumazione anticipata, che si perfeziona con il solo compimento di «atti diretti a procurare» l’ingresso illegale di stranieri «nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente». Il verbo «procurare» conferisce, altresì, alla fattispecie un’ampia latitudine applicativa, abbracciando qualunque apporto efficiente e causalmente orientato a produrre il risultato finale, ivi comprese – secondo una corrente lettura giurisprudenziale – talune attività immediatamente successive all’arrivo in Italia degli stranieri, che agevolino l’esito dell’operazione. Dal paradigma legale tipico esula, in ogni caso, il necessario collegamento dell’agente con una struttura associativa permanente. Il reato può bene costituire frutto di iniziativa meramente individuale la presenza di un numero di concorrenti pari o superiore a tre è, infatti – come accennato – solo una delle ipotesi alternativamente considerata dalla citata norma. D’altra parte, quando pure risulti ascrivibile a una pluralità di persone, il fatto può comunque mantenere un carattere puramente episodico od occasionale e basarsi su una organizzazione rudimentale di mezzi evenienza, questa, che – stando a quanto si riferisce nell’ordinanza di rimessione – si sarebbe, del resto, verificata nel caso oggetto del giudizio a quo. Ciò, indipendentemente dal rilievo che, secondo quanto già chiarito da questa Corte in rapporto al delitto di associazione finalizzata al narcotraffico, neppure la natura associativa del reato basterebbe, di per sé sola, a legittimare la presunzione in parola, ove non accompagnata da una particolare “qualità” del vincolo fra gli associati, come nell’ipotesi dell’associazione mafiosa sentenza numero 231 del 2011 . In sostanza, dunque, le fattispecie criminose cui la presunzione in esame è riferita possono assumere le più disparate connotazioni dal fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita all’illecito commesso una tantum da singoli individui o gruppi di individui, che agiscono per le più varie motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto ai loro particolari legami con i migranti agevolati, essendo il fine di profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante comma 3-bis, lettera b, dell’articolo 12 del d.lgs. numero 286 del 1998 . L’eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto non consente, dunque, di enucleare una regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le «connotazioni criminologiche» del fenomeno, secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari. La presunzione assoluta censurata non può neppure rinvenire la sua base di legittimazione costituzionale nella gravità astratta del reato di favoreggiamento dell’immigrazione, né nell’esigenza di eliminare o ridurre le situazioni di allarme sociale correlate all’incremento del fenomeno della migrazione clandestina. Va, infatti, ribadito quanto già affermato al riguardo da questa Corte e, cioè, che la gravità astratta del reato, considerata in rapporto alla misura della pena o alla natura dell’interesse protetto, è significativa ai fini della determinazione della sanzione, ma inidonea a fungere da elemento preclusivo alla verifica del grado delle esigenze cautelari e all’individuazione della misura concretamente idonea a farvi fronte mentre il rimedio all’allarme sociale causato dal reato non può essere annoverato tra le finalità della custodia cautelare, costituendo una funzione istituzionale della pena, perché presuppone la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme sentenze numero 231 e numero 164 del 2011, numero 265 del 2010 . 5.– Ciò che vulnera i valori costituzionali non è la presunzione in sé, ma il suo carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del «minore sacrificio necessario». Di contro, la previsione di una presunzione solo relativa di adeguatezza della custodia carceraria – atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario – non eccede i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso sentenze numero 231 e numero 164 del 2011, numero 265 del 2010 . Il comma 4-bis dall’articolo 12 del d.lgs. numero 286 del 1998 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , aggiunto dall’articolo 1, comma 26, lettera f , della legge 15 luglio 2009, numero 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica , nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.