Per invocare il rispetto delle distanze delle aperture verso il fondo vicino, la veduta obliqua deve essere anche diretta

L’articolo 907, secondo comma, c.c., nell’ambito della disciplina della distanza delle costruzioni dalle vedute, specifica che se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, il computo delle distanze delle costruzioni dalle medesime deve essere fatto anche dai lati delle finestre.

Tale distanza, però non sussiste se si ha solamente una veduta obliqua. In sostanza in questo caso si può edificare a distanza inferiore dall’apertura senza incorrere nell’ordine di demolizione e/o arretramento del fabbricato. Questa, in estrema sintesi, la risposta fornita dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 79 del 3 gennaio 2012. Il principio espresso dagli ermellini è in linea con il filone giurisprudenziale seguito dalla stessa Corte in subjecta materia . Il caso . Tutto prende il via da quella che può essere definita la classica lite di vicinato. Chiamando, per semplicità, le parti Tizio e Caio, il fatto è questo il primo propone un’azione contro il secondo. Vistosi attaccato Caio si difende, spiegando perché le proprie opere dovessero essere considerate legittime, e passa al contrattacco spiegando domanda riconvenzionale per l’eliminazione di alcune irregolarità commesse da Tizio. Tutto ruota attorno a questioni attinenti aggravamento delle servitù, proprietà dei muri di confine e rispetto delle costruzioni dalle vedute esistenti. Insomma la classica causa dove s’intrecciano un ginepraio di fattispecie frutto delle modificazioni che, di tanto in tanto, si apportano alle unità immobiliari. Il Tribunale, al termine dell’istruttoria, accoglie parzialmente le richieste avanzate sia da Tizio che da Caio. Nel giudizio la situazione non cambia. In particolare viene nuovamente respinta la domanda con la quale Tizio chiedeva l’accertamento dell’illegittimità della costruzione di Caio perché troppo vicina ad una sua veduta secondo la Corte d’appello quella costruzione non era illegittima in quanto la veduta era solamente laterale. All’appello seguiva, quindi, il ricorso per Cassazione o meglio il ricorso ed il controricorso. Evidentemente nessuna delle due parti in causa si riteneva soddisfatta del risultato raggiunto. La costruzione può stare a distanza inferiore di tre metri dalla veduta se questa è solamente obliqua . Le impugnazioni dei ricorrenti sono state entrambe respinte per la Corte regolatrice tutti i motivi oggetto delle doglianze o erano inammissibili per la genericità dei medesimi o comunque infondati perché il giudice del gravame aveva operato correttamente. In particolare la sentenza numero 79 del 3 gennaio 2012, come si diceva in principio, si fa notare in quanto ribadisce quella che è l’interpretazione dominante in seno alla giurisprudenza di legittimità per ciò che concerne il secondo comma dell’articolo 907 c.c. e quindi la distanza delle costruzioni dalle vedute. In sostanza Tizio si lamentava poiché, a suo dire, la costruzione edificata da Caio non rispettava la distanza misurata dai lati della sua veduta obliqua. Per i giudici di piazza Cavour le cose non stavano così perché «l’obbligo del proprietario del fondo vicino di non fabbricare a distanza inferiore ai tre metri dai lati della finestra da cui si sia acquisito il diritto di esercitare sia veduta diretta che veduta obliqua, ai sensi dell’articolo 907, comma 2, c.c., sussiste solo nel caso in cui la duplice veduta si eserciti sullo stesso fondo» cfr. Cass. 11 marzo 1997 numero 2180 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 novembre 2012 3 gennaio 2013, numero 79 Presidente Oddo – Relatore Bianchini Svolgimento del processo A C.D.F. , proprietaria di un appartamento sito all'ultimo piano dello stabile sito in via omissis , citò innanzi al Tribunale di Napoli i coniugi M.R. e G P. , proprietari di un sottostante appartamento nel medesimo fabbricato, a favore del quale era stata costituita una servitù di passaggio attraverso un vano di proprietà esclusiva di essa attrice, lamentando che gli stessi avevano chiuso detto vano, appropriandosi del volume che ne era derivato evidenziò altresì che i medesimi convenuti avevano elevato una costruzione sul proprio lastrico di copertura rendendo comune il muro perimetrale dell'appartamento dell'esponente, occupando parzialmente sia l'area del torrino delle scale, sia quella del terrazzo di esclusiva proprietà di essa istante, ostruendo inoltre, con una porzione della costruzione realizzata, una veduta laterale vantata da essa attrice ed aperto una finestra laterale inspiciente nell'appartamento di essa esponente e, infine avevano anche costituito una servitù di scolo di acque meteoriche sul terrazzo di pertinenza dell'appartamento medesimo. Chiese pertanto che i convenuti fossero condannati a a rimuovere quanto realizzato con la nuova costruzione sul torrino e sul terrazzo di essa attrice, anche in relazione all'ostruzione di veduta di aria e luce b a rimuovere la chiusura del vano, con ricostituzione di quella a filo della muratura interna dell'appartamento della convenuta e con condanna alle consequenziali spese e alla rifusione dei danni c alla esecuzione di opere che consentissero la corretta canalizzazione delle acque meteoriche d — a ripristinare il precedente sistema pluviale nonché al risarcimento dei danni derivati dalla sua modifica e all'arretramento della finestra posta a distanza inferiore a cm 75 f al pagamento del valore di metà della parete perimetrale del torrino scale, reso comune qualora si fosse ritenuta realizzata l'acquisizione dell'area di pertinenza ove sorgeva il manufatto al patrimonio dei convenuti per effetto della accessione invertita, chiese 1 — che i predetti fossero condannati al pagamento del doppio del valore delle superfici occupate, anche con riferimento al muro reso comune 2 — che i medesimi fossero condannati al ristoro di tutti i danni per la diminuzione di valore dell'appartamento. I convenuti, costituendosi, chiesero il rigetto delle domande sostenendo quanto alla lamentata chiusura a filo dell'originario vano di accesso all'ultimo pianerottolo ed al terrazzo, che la stessa era stata operata correttamente, previa tamponatura per l'intero spessore del muro quanto alla occupazione dell'area del torrino, e del terrazzo, negarono che le loro opere avessero invaso lo spazio altrui e di aver reso comune il muro perimetrale dell'appartamento dell'attrice, atteso che esso non poteva dirsi di proprietà esclusiva della medesima, essendo al contrario di proprietà condominiale, senza poi considerare, da un lato, che la costruzione non sarebbe stata in appoggio bensì in aderenza, dall'altro che, anche nel caso di denegata costruzione in appoggio, ciò sarebbe avvenuto esercitando un diritto previsto dall'atto di vendita dalla proprietaria dell'intero fabbricato, la società Villa Miramare quanto all'addebito di aver ostruito, con un locale adibito a bagno, la veduta laterale della finestra dell'attrice, che sarebbe stata quest'ultima ad aver realizzato una finestra illegittima sulla muratura comune della facciata della palazzina quanto infine alla modifica della servitù di scolo, che sarebbe stata la stessa C. ad aver aggravato la servitù preesistente in danno di essi convenuti, convogliando sulla copertura del torrino e, da qui, sul terrazzo di essi esponenti, le acque meteoriche della nuova costruzione dalla stessa realizzata. Svolsero pertanto domanda riconvcnzionale perché l'attrice fosse condannata alla rimozione delle opere dalla medesima illegittimamente realizzate consistenti nella menzionata servitù di scolo nell'ampliamento del pianerottolo terminale delle scale, con occupazione di superficie condominiale e nell'apertura, nel vano così ampliato, di una finestra sulla facciata della palazzina a distanza inferiore a quella legale nella costruzione di un soppalco e di un nuovo rampante di scale nell'ultimo tratto del volume d'aria interessato dalla sagoma di ingombro destinata dallo sviluppo delle scale e nell'apertura di un finestrone nella facciata della palazzina, il tutto oltre al risarcimento dei danni. Effettuata una consulenza tecnica, il Tribunale di Napoli, con sentenza numero 15253/2000, accolse parzialmente le contrapposte richieste, ordinando da un lato ai convenuti di rimuovere ogni appoggio ed incastro sulla parete nord-ovest dell'attrice, dall'altro all'attrice di arretrare la finestra a 75 cm dalla proprietà dei primi, compensando le spese. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza numero 2457/2005, respinse sia il gravame principale della C. sia quello incidentale dei M. /P. . Il giudice dell'impugnazione di merito — per quello che ancora interessa in sede di legittimità escluse innanzi tutto che il Tribunale avesse pronunziato ultra petita in quanto la domanda principale sarebbe stata diretta alla rimozione di quanto realizzato con la nuova costruzione sul torrino e sul terrazzo di proprietà dell'attrice e solo in via subordinata qualora cioè fosse stata accolta la domanda di accessione invertita di condanna dei convenuti al pagamento delle indennità per il muro reso comune negò poi che il giudice di primo grado dovesse, pur accogliendo la domanda della C. , ordinare la demolizione di tutto il manufatto costruito dai M. /P. sul terrazzo di copertura, osservando che dalla disposta consulenza tecnica sarebbe emerso che la nuova costruzione insisteva sul terrazzo di proprietà esclusiva di costoro e quindi doveva solo disporsi che tale opera non si appoggiasse sul muro di accertata proprietà attorea — e non già condominiale, come sostenuto dai convenuti - quanto poi all'appello incidentale la Corte napoletana, esaminati i rispettivi titoli di acquisto, evidenziò che, mentre il rogito di vendita ai M. /P. consentiva loro di costruire sul terrazzo di copertura e di utilizzare in appoggio le strutture condominiali, quello di vendita alla C. aveva avuto ad oggetto anche il torrino che le era stato ceduto in proprietà esclusiva e quindi doveva dirsi trasferita anche la proprietà delle pareti che lo delimitavano, non potendosi concepire in via astratta e salva diversa statuizione, nella fattispecie non sussistente, di diversa previsione negoziale, il trasferimento della proprietà di un immobile senza la contemporanea cessione delle pareti perimetrali rilevò inoltre che l'abbattimento di tale manufatto non avrebbe potuto essere pronunziato neppure quale forma di tutela della veduta laterale dei M. /P. , atteso che dalla finestra in questione si sarebbe potuta esercitare solo una veduta laterale sul fondo dei predetti. Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso le parti M. /P. , facendo valere due motivi, illustrandoli con successiva memoria ha resistito la C. con controricorso, contenente ricorso incidentale, fondato su due motivi a loro volta le parti ricorrenti hanno formulato un controricorso all'impugnazione incidentale. Motivi della decisione I due motivi vanno riuniti in quanto proposti contro la medesima sentenza, in applicazione del principio di cui all'articolo 335 cpc. Ricorso numero r.g. 33138/2006 I — Con il primo motivo viene denunziata la violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti articolo 1362 cod. civ. e sulla corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato — articolo 112 cpc — assumendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un'erronea interpretazione della domanda proposta dalla C. , ritenendola diretta, in via principale, alla rimozione della costruzione realizzata da essi ricorrenti sul terrazzo di proprietà esclusiva, ed in via solo subordinata, al pagamento dell'indennità per aver reso comune metà del muro, laddove invece le due richieste sarebbero state proposte congiuntamente ma condizionate all'esistenza di differenti presupposti la richiesta di rimozione alla verifica che il manufatto fosse stato edificato su proprietà della originaria attrice la domanda di pagamento dell'indennità all'accertamento che invece l'edificazione fosse avvenuta sulla proprietà di essi ricorrenti e che il manufatto fosse stato solo appoggiato alla parete del cespite della controparte. 1.a — Da tale interpretazione traggono la conclusione che, essendo stato positivamente escluso che il locale oggetto di controversia fosse stato costruito sulla proprietà dell'avversaria, da un lato la Corte di appello avrebbe dovuto respingere la domanda di demolizione e, dall'altro avrebbe dovuto condannare essi convenuti al pagamento della medianza del muro. 1.b — La doglianza non è fondata. 1.b.1 — Va innanzi tutto evidenziato che il vizio di ultrapetizione venne proposto nell'appello incidentale in una prospettiva del tutto diversa da quella oggetto di critica nel mezzo in esame, sostenendosi allora che la C. avesse concluso solo per la condanna al pagamento dell'indennità c.d. di medianza a ciò la Corte territoriale aveva risposto mettendo in evidenza la duplicità delle domande, non incorrendo in alcun vizio nell'interpretazione delle medesime nel controricorso a ricorso incidentale i M. /P. ritornano invece all'originaria tesi sostenuta in appello in merito alla unicità della domanda della C. di condanna al pagamento della indennità di medianza cfr. fol. 2 dell'atto . 1.b.2 — Non è riscontrabile un vizio di ultrapetizione neppure predicando l'ammissibilità della nuova prospettazione difensiva — come sopra riportata in quanto il motivo in esame non censura l'esorbitanza da parte del giudice dell'appello dai poteri suoi propri di riconoscere a chi abbia ragione esclusivamente il bene della vita — id est la pronunzia idonea a conseguirlo — richiesto e non altro, quanto piuttosto la carenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di eliminazione degli innesti nel muro, dando per accertata l'insistenza di quest'ultimo sulla proprietà dell'allora attrice che pure riconosce proposta. 2 — Con il secondo motivo i coniugi M. /P. denunziano la violazione degli articolo 1117 880 e 874 cod. civ. nonché il vizio di omessa e contraddittoria motivazione, sostenendo che la Corte napoletana avrebbe omesso di pronunziarsi su ulteriore motivo del proprio appello, con il quale avevano dedotto che la parete nord-ovest del tonino acquistato dalla C. non sarebbe appartenuta alla medesima in quanto avrebbe costituito una parete di facciata dello stabile condominiale in quanto, come osservato dal consulente tecnico di ufficio, avrebbe costituito prolungamento del muro di spina , così da escludere il pagamento di indennità per aver reso comune siffatto muro. 2.a — Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse, dal momento che né il Tribunale né la Corte di Appello che la pronunzia del primo giudice aveva confermato-avevano mai condannato gli attuali ricorrenti al pagamento della c.d. indennità di medianza. 2.a.l — Il motivo sarebbe altresì inidoneo ad attivare il vaglio critico della Corte anche se lo si interpretasse — valorizzando la parte argomentativa iniziale del mezzo — come diretto a censurare l'omessa richiesta di accertamento della proprietà condominiale del muro di appoggio utilizzato da essi ricorrenti per costituire la quarta parete del proprio locale soggiorno a prescindere dunque da qualunque condanna al pagamento dell'indennità suddetta- anche in questo caso però la valutazione di proprietà esclusiva è stata formulata tenendo conto della riserva contenuta nell'articolo 1117 cod. civ. e dalla lettura delle clausole del titolo di acquisto e di tale ratio decidendi non si da atto nel motivo quanto poi al dedotto vizio di motivazione, il mezzo, non contenendo nessuno sviluppo argomentativo che consenta la sua riconduzione allo schema legale delineato dall'articolo 360,1 comma, numero 5 cpc, si appalesa inammissibile. Ricorso numero f.g. 2689/2007 3 — Con il primo motivo di ricorso incidentale viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 cpc nonché, genericamente, un vizio di motivazione assumendo che, in contrasto con quanto sostenuto dalla Corte del merito, sarebbe sussistita la prova costituita dalle rappresentazioni grafiche catastali della preesistenza del vano finestra — di cui si era lamentata l'erronea condanna alla rimozione rispetto alla costruzione dei convenuti. 3.a — Il motivo è inammissibile in quanto deducente un errore percettivo da parte del giudice dell'appello al fine di far formulare una rinnovata indagine di fatto, inibita a questa Corte, al fine di contrastare la contraria asserzione da parte del giudice dell'appello. 4 — Con il secondo motivo di ricorso incidentale ci si duole della falsa applicazione dell'articolo 907, II comma, cod civ. e si deduce l’insufficienza e l'erroneità della motivazione sostenendosi che, dalla piana lettura dei rilievi planimetrici e dalle riprese fotografiche versate in atti, emergerebbe che dalla parete degli attuali ricorrenti si aprirebbe una finestra che consentirebbe anche una visione diretta verso la proprietà di essi deducenti denuncia poi la ricorrente incidentale un errore nella valutazione dell'ambito applicativo della norma, ritenuta invocabile nella fattispecie, laddove si sarebbe ritenuta tutelabile la veduta laterale, in precedenza esercitabile dal balcone dell'attrice, solo se accompagnata dalla veduta diretta, escludendola per mancanza di quest'ultima assume in contrario che, essendo la norma diretta a regolare la distanza che deve essere osservata nelle costruzioni, il proprietario del fondo rispetto al quale sono affacciate finestre esistenti nel fabbricato del proprietario vicino, troverebbe applicazione sia quando si tratti solo di vedute oblique sia quando siffatta veduta sia accompagnata da una diretta e le medesime non gravino sullo stesso fondo. 4.a — Il motivo e innanzi tutto inammissibile nella parte in cui, con un sollecitato, nuovo esame dei dati di causa, sostiene la erroneità — id est la non condivisione – del ragionamento logico seguito dal primo giudice e la insufficienza dello stesso, atteso che il primo rilievo non rientra nel vizio disciplinato dall'articolo 360, 1 comma, numero 5 cpc e il secondo non può formare oggetto di diverso scrutinio non essendo specificato — al di là di un errore percettivo dei dati di causa, come più sopra messo in evidenza in quale parte il ragionamento giudiziale non avrebbe esplicitato il proprio percorso logico. 4.b — Quanto poi al vizio attinente alla perimetrazione dell'applicazione della regula juris, richiamate le considerazioni sopra fatte — vedi p.3.a — in merito alla negazione della preesistenza del vano finestra rispetto alla costruzione in esame — lo stesso è insussistente in quanto il giudice dell'appello ha dato applicazione all'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui l'obbligo del proprietario del fondo vicino di non fabbricare a distanza inferiore ai tre metri dai lati della finestra da cui si sia acquisito il diritto di esercitare sia veduta diretta che veduta obliqua, a' sensi dell'articolo 907, II comma, cod. civ., sussiste solo nel caso in cui la duplice veduta si eserciti sullo stesso fondo vedi Cass. Sez. II numero 2180/1997 e non sono stati prospettati validi argomenti per derogare dalla surriferita interpretazione. 5 Il rigetto di entrambi i ricorsi costituisce motivo giustificato per compensare le spese. P.Q.M. La Corte Riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese.