Confisca “allargata”: più spazio per le allegazioni difensive e limiti più stringenti alla presunzione di illecita provenienza

Contro la presunzione di illecita provenienza, ex art. 12 sexies , L. n. 356/92, di beni sproporzionati ai redditi di un determinato soggetto sono sufficienti allegazioni difensive idonee a dimostrarne in astratto la lecita provenienza e detta presunzione non opera, comunque, per i beni acquistati dalla convivente prima del matrimonio.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 46453 del 21 novembre 2013. Cenni sulla confisca allargata”. L'art. 12, sexies , L. n. 356/92 prevede una misura di carattere patrimoniale con cui si sottopongono a confisca le ricchezze illecitamente accumulate, anche per interposta persona, dalla criminalità organizzata o dagli autori di reati di particolare allarme sociale. L'art. 12 sexies si applica, infatti, a soggetti condannati per uno di tali reati, che, anche per interposta persona fisica o giuridica, risultino essere titolari od avere la disponibilità a qualsiasi titolo di denaro, beni o altre utilità di valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica e dei quali non possano giustificare la legittima provenienza. La peculiarità di tale confisca, denominata allargata”, si rinviene nel rapporto tra il reato e i beni sottoponibili ad ablazione. Al fine di disporre tale forma di confisca ed il prodromico sequestro finalizzato alla stessa non occorre, infatti, l'accertamento di un nesso eziologico” tra i reati elencati in forma tassativa nella norma di riferimento e i beni oggetto della cautela reale e del successivo provvedimento ablatorio. Il legislatore per raggiungere lo scopo suindicato ha, dunque, operato una presunzione di provenienza illecita del patrimonio, senza distinguere se tali beni siano, o non siano, derivati dal reato per il quale si procede o sia stata inflitta la condanna. Non è richiesta per la applicazione della misura la dimostrazione di alcun nesso di pertinenzialità” tra i beni e i reati per cui si procede o è intervenuta condanna, ma occorre la sussistenza di un mero vincolo consequenziale tra i beni e l'attività delittuosa facente capo al soggetto, connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza di detti beni nella disponibilità del proposto. Di fatto, a fronte di una condanna per un determinato novero di reati ed alla prova delle sproporzione fra il patrimonio del soggetto condannato ed i redditi del medesimo, la legge ne presume la illecita provenienza, rovesciando sul condannato l’onere di fornire la prova contraria e, dunque, di dimostrare o quanto meno allegare la lecita provenienza di detti beni. L’antesignano e l’incostituzionalità riflessi interpretativi. Come noto l’antesignano della norma in esame è l’art. 12 quinquies , comma 2, L n. 356/92 che configurava un grave delitto in capo a coloro, nei cui confronti erano svolte indagini per determinati delitti di criminalità organizzata e rilevante allarme sociale riciclaggio, usura, estorsione, stupefacenti , che, anche per interposta persona fisica o giuridica, risultassero essere titolari o avere la disponibilità, a qualsiasi titolo, di denaro, beni o altre utilità di valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica e dei quali non potessero giustificare la legittima provenienza. Tale norma, tuttavia, non superò il vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 48 del febbraio 1994, evidenziò il contrasto con il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27 della Costituzione, in quanto l'onere della prova di tale reato risultava di fatto a carico dell'imputato, il quale doveva dimostrare la legittima provenienza del patrimonio incriminato. Conscio dei limiti dettati dalla Corte Costituzionale, il legislatore di fatto reiterò la norma, ma introducendo, in luogo di una autonoma ipotesi di reato, una misura di prevenzione ablativa, che, in presenza dei medesimi presupposti prima richiesti per la sussistenza del reato, determina la confisca del patrimonio del proposto. Nonostante l’intervenuto radicale mutamento della natura giuridica – da delitto a misura di prevenzione – della fattispecie di cui ci occupiamo deve restare fermo il principio statuito della Corte, ovvero che ci si trova di fronte ad una vera e propria inversione dell’onere della prova a carico del proposto, che, stante il carattere di eccezionalità, non può che essere interpretato in termini restrittivi e di rigorosa tassatività. I principi sanciti dalla Cassazione un onere di allegazione La Cassazione, pur non menzionando il precedente appena illustrato e la pronuncia della Corte Costituzionale n. 48/1994 , pare tuttavia tener conto dei principi dalla medesima enunciati e riaffermare i limiti rigorosi con cui deve essere interpretata la norma che onera il proposto di fornire la prova rectius – come vedremo – un onere di mera allegazione della lecita provenienza dei beni e, dunque, introduce di fatto ed a tutti gli effetti una vera e propria inversione dell’onere della prova. Come ricorda, infatti, la Cassazione nella pronuncia in commento, condizioni per l'applicazione della misura di prevenzione sono, da un lato, la ritenuta sproporzione tra i beni e la capacità reddituale del soggetto prova di cui è onerata la pubblica accusa , dall’altro, l’assenza di prova circa la lecita provenienza dei beni prova contraria e liberatoria di cui è onerato il proposto . Nel caso in esame, il ricorrente, avanti al Tribunale del riesame, aveva in effetti allegato circostanze idonee in astratto a smentire i due suddetti presupposti di applicabilità della confisca e, dunque, del sequestro alla medesima finalizzato , senza tuttavia ricevere sul punto adeguata risposta dal giudice del primo gravame, che si era limitato ad evidenziare che le dichiarazioni dei redditi presentate dal proposto apparivano irrisorie rispetto al patrimonio di cui lo stesso disponeva. Di contrario avviso, i giudici della Suprema Corte che evidenziano come, a fronte di allegazioni astrattamente idonee a comprovare la lecita provenienza dei beni, il giudice del merito debba verificarle con attenzione e singolarmente, onde accertare se, attraverso le stesse, il ricorrente abbia o meno assolto al relativo onere che la legge pone a suo carico. Detto principio appare conforme a quanto sul punto e da tempo ha unanimemente osservato la dottrina. Nel dettaglio al soggetto spetterà l'onere di vanificare la portata indiziante della appena indicata sproporzione, dimostrando di avere legittimamente acquisito al proprio patrimonio i beni in questione. Si tratta, quindi, di una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, in cui viene trasferito al soggetto che ha la disponibilità dei beni un mero onere di allegazione circa l'origine del bene, da valutarsi in concreto da parte del giudice secondo il principio della libertà della prova e del libero convincimento. ed i limiti della presunzione in malam partem spetta all’accusa provare l’intestazione fittizia e la loro reale disponibilità. Non certo di minore rilievo l’ulteriore principio di diritto statuito dalla Suprema Corte volto, in questa occasione, non a delimitare la tenuta della presunzione in malam partem, ma a tracciarne i confini di operatività. La Corte infatti chiarisce altresì che, da un lato, incombe sull’accusa l’onere di provare la intestazione fittizia dei beni risultanti di proprietà della moglie e la correlativa reale disponibilità di detti beni in capo all’indagato o al condannato. È, infatti, ben vero che deve ritenersi ricompreso nell’obbligo della confisca ex art. 12 sexies il bene che, pur essendo nella disponibilità dell’imputato, risulti formalmente intestato alla moglie ovvero ad un familiare convivente , la cui incapacità di giustificare la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto ne dimostra la intestazione fittizia. Dall’altro lato, proseguono gli Ermellini, tale presunzione non può riguardare e, dunque, estendersi ai beni acquistati dal convivente prima del matrimonio, in quanto trattasi di beni non contaminati” da alcun sospetto di illiceità e rispetto ai quali non può nemmeno presumersi alcuna intestazione fittizia volta ad occultarne la reale titolarità.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 ottobre – 21 novembre 2013, n. 46453 Presidente Marasca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 21-12-2012 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli disponeva, ai sensi dell'art. 321/2 cod. proc. pen. e dell'art. 12-sexies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con mod. dalla L. 7 agosto 1992, il sequestro preventivo di depositi bancari, polizze assicurative, autoveicoli e quote di immobili riferibili a A.S. , indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso. 2. Avverso tale provvedimento proponeva richiesta di riesame il difensore dell'indagato, rilevando l'assenza dei presupposti per l'applicazione della misura. Faceva rilevare, in particolare, che le somme depositate sui conti bancari e i mezzi a lui in uso erano il frutto della sua attività di avvocato civilista e che gli altri beni sequestrati erano stati acquistati col contributo dei genitori e di amici e con indennizzi assicurativi, mentre altri beni erano stati acquistati dalla moglie prima del matrimonio. 3. Il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza dell'11-2-2013, confermava il suddetto decreto di sequestro, in considerazione del fatto che il ricorrente aveva presentato, negli ultimi anni, risibili dichiarazioni dei redditi , a comprova della sproporzione tra beni e redditi. Inoltre, non aveva in alcun modo provato la lecita provenienza dei beni, in quanto le fatture, tutte dell'anno 2012, non coincidevano con l'epoca degli acquisti i bollettini di versamento delle rate di finanziamento erano in fotocopia il certificato di matrimonio non provava nulla. Infine, anche gli immobili intestati alla moglie concorrevano a provare la sproporzione tra il reddito dichiarato e le possidenze, in assenza, anche per quest'ultima, di dichiarazioni di proventi leciti . 4. Contro l'ordinanza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse di A.S. , l'avv. Antonio Pesce, il quale si duole della erronea applicazione dell'art. 12-sexies d.l. 306/92, nonché dell'assenza di motivazione. Deduce che la Corte di merito non ha tenuto conto della dimostrazione, fornita dal ricorrente, della provenienza legittima della provvista economica per l'acquisto di ciascun bene sequestrato ed ha assolto il suo obbligo motivazionale con espressioni generiche e apodittiche. Lamenta, quanto ai beni della moglie, che non abbia tenuto in nessun conto l'epoca dell'acquisto degli stessi, antecedente al matrimonio fatto che poneva i beni fuori dell'area della sequestrabilità. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Condizioni per l'applicazione della misura di prevenzione sono, come ritenuto pure dal giudicante, la sproporzione tra i beni e la capacità reddituale del proposto, nonché l'assenza di prova circa la lecita provenienza dei beni. Tali condizioni erano state specificamente e puntualmente contestate dal ricorrente in sede di gravame, allegando circostanze astrattamente idonee a contestare entrambe le condizioni suddette, senza tuttavia ricevere risposta. Infatti aveva dedotto che - il veicolo Ford Focus, immatricolato il omissis , era stato acquistato anche con i proventi di un indennizzo assicurativo di Euro 22.996,54 disposto dalla Navale Ass.ni a favore della moglie An.Fo. - il veicolo Opel Agila tg , era intestato solo formalmente all'indagato, ma era stato acquistato il 27/5/2008 dal padre A.A. a mezzo di finanziamento concesso dalla Neos Banca spa e da lui pagato e usato - il terreno e il fabbricato siti in omissis erano stati acquistati dall'indagato il omissis per la somma di Euro 36.151,00, con denaro donatogli dal padre A.A. e dai genitori della moglie, nonché con i soldi ricevuti, in occasione delle nozze, da parenti ed amici - della polizza assicurativa n. omissis , stipulata il omissis con l'INA ASSITALIA, era stata pagata un'unica rata di Euro 1.705,16 come da allegato estratto conto - le somme esistenti sul c/c n. acceso sulla Banca Vesuviana erano il provento dell'attività di avvocato allegava copia delle parcelle e delle note di credito e il retratto di una rimessa di Euro 4.000 effettuata a omissis dalla Spa Assitalia allegava atto di transazione e quietanza - le quote di terreno site in omissis , alla via , erano state acquistate dalla moglie nel , prima del matrimonio, con l'aiuto dei genitori. Rispetto a tale analitica confutazione, che riguardava tutti i beni sottoposti a sequestro e veniva accompagnata dalla produzione di documentazione che metteva in discussione entrambi i requisiti della misura patrimoniale, il Tribunale ha esaminato diffusamente il profilo del fumus commissi delicti, si è soffermato ampiamente sui principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di misure patrimoniali, ma ha speso solo poche e scarne parole per confutare le allegazioni difensive, anche laddove apparivano idonee, in astratto, a provare la lecita provenienza dei beni. Tanto vale sia per i beni intestati direttamente all'A. - per i quali vige la presunzione di illecita accumulazione - sia per i beni intestati alla moglie e acquistati prima del matrimonio, per i quali la presunzione suddetta non ha ragione di operare. D'altra parte, anche per i beni del primo tipo è data all'interessato la facoltà di provare che sono stati acquistati con denaro proveniente dalla propria attività lavorativa o con altre lecite utilità nel caso di specie il ricorrente aveva giustificato alcuni acquisti col retratto di un consistente indennizzo assicurativo e con pagamenti effettuati dal genitore vale a dire, in circostanze facilmente verificabili , mentre per i beni intestati alla moglie incombe sull'accusa anche la prova della intestazione fittizia e della correlativa disponibilità dei beni in capo all'indagato o al condannato . È ben vero che deve ritenersi compreso nell'obbligo della confisca previsto dall'art. 12 sexies della L. 7 agosto 1992, n. 356, il bene che, pur essendo nella disponibilità dell'imputato, risulti formalmente di proprietà di persona a lui legata da rapporti personali come il familiare convivente , la cui incapacità di giustificare la provenienza del denaro impiegato nell'acquisto ne rivela l'intestazione fittizia in questo senso, Cass., n. 31895 dell'1-4-2008. Cass., n. 3889 del 24/10/2000 , ma tale presunzione non può riguardare i beni acquistati dal convivente prima del matrimonio, dal momento che, in assenza di rigorosa prova contraria, si tratta di beni non contaminati dal sospetto di illiceità né di beni che è ragionevole presumere siano stati intestati al convivente per sottrarli alla confisca. Per quanto sopra il provvedimento va annullato con rinvio al Tribunale di Napoli per un nuovo esame dei profili sopra esaminati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.