Un bacio in macchina per riconquistarla … ma oltre allo stalking scatta la violenza sessuale e il sequestro di persona

Per riallacciare la relazione, oltre a perseguitarla, tenta di baciarla dopo essersi introdotto abusivamente nella macchina della ex assieme agli atti persecutori scattano anche la violenza sessuale e il sequestro di persona.

Scopo della norma sul delitto di atti persecutori è la tutela della persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicché atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la sua incolumità, integrano la fattispecie criminosa ex art. 612- bis c.p Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46446, depositata il 21 novembre 2013. Il caso. Un uomo viene accusato di avere, dal febbraio al maggio 2009, seguito, pedinato, ingiuriato, diffamato, minacciato e usato violenza nei confronti della ex fidanzata con lo scopo di costringerla a riallacciare la relazione che aveva con lui e di avere, in una occasione, tentato di baciarla contro la sua volontà, dopo essersi introdotto nella autovettura della donna e di averle impedito di allontanarsi per circa un quarto d’ora. I giudici di secondo grado, in parziale riforma alla sentenza di prime cure, hanno condannato l’imputato per i delitti di sequestro di persona, tentata violenza sessuale e atti persecutori. Propone ricorso per cassazione l’imputato lamentando 1 con riferimento allo stalking che l’istruttoria dibattimentale non abbia fornito la prova di nessuno dei tre eventi alternativi previsti dall’art. 612- bis c.p. che avrebbero cagionato le condotte persecutorie 2 con riguardo al sequestro di persona, la contraddittorietà e illogicità della motivazione per non avere i giudici di merito valutato la condotta dell’imputato, il quale fine era solo di avere il nuovo numero di telefono dell’ex fidanzata e un bacio 3 per ciò che concerne il delitto ex art. 609-bis c.p., per mancata valenza sessuale dell’episodio del bacio. Speranza di riconquistare la ex. La sentenza della Suprema Corte n. 46446/13 ha dichiarato infondato il ricorso con riferimento a tutti i motivi. Nessun dubbio sulla sussistenza dei delitti di violenza sessuale e sequestro di persona, pur se consumati all’interno della cornice persecutoria posta in essere dall’imputato per convincere la ex fidanzata a riprendere la loro storia sentimentale. Appare evidente, infatti, che nella nozione di atti sessuali rientrano tutti quelli della zona del corpo che sono considerate erogene, ovvero tali da dimostrare l’istinto sessuale Cass. pen., sez. III, n. 28118/2013 . E non vi è dubbio che il bacio sulla bocca sia una delle principali manifestazioni dell’istinto sessuale. Quanto all’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è costituito dal dolo generico, cioè dalla coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente ed è irrilevante l’eventuale fine ulteriore propostosi dal soggetto agente Cass. pen., sez. III, n. 20754/13 . Dunque, non rileva il motivo addotto nel nostro caso dall’ex fidanzato la speranza di riconquistare la vittima. Dello stesso tenore le dichiarazioni della Suprema Corte in ordine alla sussistenza del reato di sequestro di persona, peraltro non contestato dall’imputato se non con riferimento alla durata , il quale ha cercato soltanto di dare una spiegazione avere il nuovo numero di telefono dell’ex fidanzata e tentare di darle un bacio. Ora, ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del delitto di sequestro di persona, non è necessario che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente qualsiasi condotta che, in relazione alle particolari circostanze del caso, sia suscettibile di privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà Cass. pen., sez. III, n. 45931/2013 . Inoltre, anche il delitto ex art. 605 c.p., sul piano dell’elemento soggettivo, è integrato dal dolo generico consistente nella volontà cosciente e libera di privare il soggetto passivo della libertà personale. Volontà – ricordano gli Ermellini – che, nella specie, non viene nemmeno contestata. Il problema del tempus regit actum. Più spazio ha dedicato la sentenza n. 46446/13 alle motivazioni inerenti la sussistenza del delitto di stalking . Innanzitutto, la Suprema Corte ha chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, i giudici di merito hanno fatto riferimento solo alle condotte persecutorie consumate nel periodo successivo, e non a quelle precedenti, all’entrata in vigore della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612- bis c.p. avvenuta con d.l. n. 11/2009, convertito in legge n. 38/2009 . Il ricorrente con le sue critiche ripropone il problema del tempus regit actum , che, a sua volta, coinvolge il tema della natura di reato abituale e della dimensione della condotta e il tema dell'evento del reato in esame. Come affermato in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di atti persecutori si configura nel momento in cui gli atti vengono reiterati nel tempo, ma il fatto che l'inizio della condotta avvenga ancor prima che entri in vigore la legge, non rende penalmente irrilevanti gli atti successivi. Tuttavia, perché si applichi la nuova norma, non basta che sotto la sua vigenza sia stato compiuto l'ultimo atto, ma occorre che tale atto sia preceduto da altri comportamenti tipici ugualmente compiuti sotto la vigenza della nuova norma incriminatrice Cass. pen., sez. V, n. 10388/2013 . Sotto tale profilo, la giurisprudenza interna si mostra più garantita di quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella sentenza del 18 aprile 2013, Rohlena c. Repubblica Ceca, la Corte di Strasburgo, affronta il tema dei rapporti tra i reati ‘di durata’ e il principio di irretroattività sfavorevole. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato per maltrattamenti in famiglia, perpetrati in maniera ininterrotta tra il 2000 ed il 2006, ai sensi di una fattispecie incriminatrice entrata in vigore nel 2004 il thema decidendum sottoposto ai giudici di Strasburgo riguardava, dunque, la compatibilità con l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo della porzione di pena inflitta per le condotte comprese tra il 2000 e il 2004. La sentenza ritiene infondata la doglianza del ricorrente e dichiara che non vi è stata violazione della Convenzione. Al di là dell'inquadramento della fattispecie nelle categorie del reato, la Corte parla, a tal proposito, di infraction continue . Comportamenti ambigui della vittima? Di estremo interesse le argomentazioni della sentenza in rassegna in ordine alla lamentata non sussistenza del delitto di stalking da parte dell’imputato perché la relazione era stata caratterizzata dall’indecisione e dall’ambiguità di comportamenti della persona offesa che era o era stata evidentemente interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale col suo persecutore ma si era poi resa conto del vicolo stretto in cui si era cacciata ed aveva maturato, non importa per quale motivo per la violenza dell’uomo o per la sterilità del loro rapporto, ma certamente con sofferenza testimoniata dall’indecisione , la risoluzione di interrompere la relazione. Per la Suprema Corte, tale interpretazione della norma va condivisa, giacché scopo della stessa è la tutela della persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicché atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la sua incolumità, integrano la fattispecie criminosa ex art. 612- bis c.p Tanto deve affermarsi – conclude la sentenza n. 46446/13 – anche nel caso in cui gli atti persecutori siano favoriti dall’atteggiamento equivoco della vittima che, pur quando è avviluppata in un coacervo di pensieri e di sentimenti talvolta indotti dallo stesso persecutore , ha diritto alla tutela apprestata dalla norma, giacché il rispetto della personalità individuale e della libertà morale della persona esigono che ‘altro’ non approfitti della debolezza caratteriale, o degli stati di momentaneo o perdurante disorientamento cognitivo o affettivo, per indurre nella vittima, con metodi assillanti e violenti, stati di ansia e timori funzionali al conseguimento dei suoi obiettivi . Il terreno delle argomentazioni, in verità, si fa spinoso, soprattutto laddove l’atteggiamento di indecisione e ambiguità della vittima sfoci financo a chiedersi se l'ipotesi di stalking possa coesistere con una riconosciuta relazione in atto tra le imputato e la vittima in senso contrario sembra pronunciarsi Cass. pen., sez. III, sentenza n. 29409/2013, ove la persona offesa avrebbe continuato ad inviare all’amante-persecutore messaggi di amore all'insaputa del marito .

Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza 25 ottobre – 21 novembre 2013, n. 46446 Presidente Lombardi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 22/5/2102, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Rimini, ha condannato B.M. a pena di giustizia per sequestro di persona 605 cod. pen , tentativo di violenza sessuale artt. 56 e 609 cod. pen. e atti persecutori art. 612/bis cod. pen. in danno di U.S. . L'accusa mossa all'imputato è quella di avere, da febbraio al maggio del 2009, seguito, pedinato, ingiuriato, diffamato, minacciato e usato violenza nei confronti della ex fidanzata con lo scopo di costringerla a riallacciare la relazione che aveva avuto con lui e di avere, in una occasione, il omissis , tentato di baciarla contro la sua volontà, dopo essersi introdotto abusivamente nell'autovettura della donna ed averle impedito di allontanarsi per circa un quarto d'ora. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l'imputato dolendosi - della inosservanza dell'art. 612/bis cod. pen., per essere stata affermata la sua responsabilità per il reato previsto da detto articolo in assenza delle condizioni richieste dalla norma. Lamenta, in particolare, che l'istruttoria non abbia fornito la prova di uno stato di ansia o paura ingenerato nella persona offesa, ovvero di timore per l'incolumità propria o dei familiari, ovvero ancora di cambiamento delle abitudini di vita per effetto del comportamento da lui tenuto. Si duole, in punto di prova, del fatto che sia stata attribuita credibilità alla persona offesa nonostante te vistose incongruenze del suo racconto e l'esistenza di dati probatori deponenti in senso contrario, tra cui i numerosissimi messaggi inviati e telefonate a lui fatte dalla donna nel periodo in considerazione e le diverse dichiarazioni rese dai testimoni introdotti dalla difesa - della contraddittorietà e illogicità della motivazione resa in ordine al sequestro di persona. Lamenta che i giudici di merito abbiano dilatato al massimo la durata dell'episodio e non abbiano tenuto conto del contesto dei rapporti esistenti, nell'aprile del 2009, tra le parti, caratterizzati da ricerche e ripulse, che dovrebbero portare a valutare diversamente la sua condotta, motivata soltanto dal desiderio di ottenere dalla ex-fidanzata il nuovo numero di telefono e un bacio - violazione dell'art. 609/bis in relazione all'episodio di violenza sessuale. Si duole, riguardo, che sia stata attribuita valenza sessuale ad un tentativo di bacio che era soltanto la rappresentazione melodrammatica o cinematografica di un sentimento, tant'è che è stato assolto per un analogo episodio posto in essere nel 2008. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Sebbene denunzi, in relazione al reato di atti persecutori , violazione di legge, in realtà il ricorrente si duole della credibilità attribuita alla persona offesa e della lettura complessiva, da parte del giudicante, della vicenda portata al suo esame, posto che in sentenza è chiaramente argomentato l'effetto che il comportamento dell'imputato ebbe sulla persona offesa quello di indurla in uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità fisica, fino al punto da costringerla a diradare le proprie uscite serali e a farsi accompagnare a casa da amici e conoscenti, quando, la sera, usciva dal lavoro. Risulta certamente integrato, pertanto, l'elemento oggettivo del reato, per cui nessuna violazione di legge può dirsi consumata. Peraltro, nemmeno il vizio di motivazione, pure argomentato dal ricorrente, è sussistente, dal momento che le dichiarazioni della donna sono state attentamente vagliate dai giudicante e confrontate con le altre risultanze istruttorie, senza che le dichiarazioni in questione ricevessero smentita anzi ricevendo conferma nella loro integralità. Sul punto, basti rilevare che la Corte d'appello ha dedicato ben quattro pagine da pag. 12 a pag. 15 alla valutazione della credibilità della U. e che lo ha fatto tenendo conto della totalità degli elementi probatori acquisiti al processo, con criteri di logica e di adesione al senso comune, per cui le critiche all'apparato motivazionale della sentenza sono, sotto il profilo in esame, totalmente infondate. In realtà, il nodo del processo è rappresentato, più che dalla credibilità di parti e testimoni ognuno dei quali ha rappresentato i fatti dal suo angolo d'osservazione , dalla interpretazione e dalla qualificazione dei comportamenti tenuti dai protagonisti di questa vicenda, di cui la Corte d'appello non ha mancato di rilevare, per entrambi, la singolarità e la problematicità, seppur ritenendo di poter giungere, infine, ad un approdo favorevole alla tesi dell'accusa. E ciò ha fatto con argomenti di intrinseca ragionevolezza e forte logicità, idonei a spiegare sia l'anomalia del comportamento della U. che la qualificazione data a quello del B. . La Corte, infatti, premesso che la contestazione di atti persecutori riguarda il periodo di marzo-maggio 2009, ha conseguentemente escluso che le vicende del periodo pregresso avessero rilevanza ai fini che qui interessano quindi, ha escluso che avessero rilevanza le numerosissime telefonate e i numerosissimi SMS scambiati tra le parti nei mesi di gennaio e febbraio 2009, su cui la difesa dell'imputato ha, invece, fatto affidamento e che fossero significative, in funzione difensiva, le dichiarazioni di S. e O. , giacché il primo, parlando di telefonate ossessive fatte dalla U. al B. , si era riferito al periodo di gennaio-febbraio 2009, mentre il secondo aveva lavorato insieme al B. fino a marzo 2009, per cui anche le conoscenze di quest'ultimo si riferivano, per la massima parte, ad un periodo estraneo alla contestazione. Dipoi ha considerato gli scambi telefonici avvenuti tra marzo e maggio 2009, rilevando una significativa diminuzione delle chiamate telefonate e SMS provenienti dalla U. , e ha esaminato il contenuto delle numerose testimonianze assunte, evidenziando che tutte rimandavano alla forte preoccupazione insorta nella donna per il comportamento dell'uomo dopo la decisione di separarsi da lui , che la cercava, seguiva, pedinava, ingiuriava, diffamava persino con scritture murali e, in una occasione, non esitò a tagliare la strada all'auto su cui viaggiava insieme ad un collega di lavoro Ba. . Né in precedenza aveva disdegnato di colpirla con uno schiaffo, fino a procurargli la lesione del timpano, a conferma dell'inclinazione dell'uomo verso atteggiamenti violenti anche contro sé stesso . Si tratta di comportamenti che a ragione sono stati ritenuti persecutori dalla Corte di merito, siccome ingiustificati persino in una relazione burrascosa com'è stata ritenuta quella tra B. e U. e persino in una relazione caratterizzata dall'indecisione e dall'ambiguità di comportamenti della persona offesa, che era o era stata evidentemente interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale col suo persecutore, ma si era poi resa conto del vicolo stretto in cui si era cacciata ed aveva maturato, non importa per quale motivo per la violenza dell'uomo o per la sterilità del loro rapporto, ma certamente con la sofferenza testimoniata dall'indecisione , la risoluzione di interrompere la relazione. Tale interpretazione della norma va condivisa, giacché scopo della stessa è la tutela della persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicché atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano la fattispecie criminosa contestata. Tanto deve affermarsi anche nel caso gli atti persecutori siano favoriti dall'atteggiamento equivoco della vittima, che, pur quando è avviluppata in un coacervo di pensieri e di sentimenti talvolta indotti dallo stesso persecutore , ha diritto alla tutela apprestata dalla norma, giacché il rispetto della personalità individuale e della libertà morale della persona esigono che l'altro non approfitti della debolezza caratteriale, o degli stati di momentaneo o perdurante disorientamento cognitivo o affettivo, per indurre nella vittima, con metodi assillanti e violenti, stati di ansia e di timore funzionali al conseguimento dei suoi obbiettivi. 2. Infondate sono anche le critiche all'apparato motivazionale della decisione in punto di sequestro di persona. Anche ritenendo, come fa il ricorrente, che l'introduzione abusiva nell'abitacolo dell'autovettura sia durata molto meno di quello che è apparso alla U. , e che la compromissione della libertà di movimento di quest'ultima abbia avuto durata decisamente inferiore, resta il fatto che per un tempo apprezzabile la donna è stata privata della propria libertà, per cui tutte le disquisizioni sul tempo di permanenza del B. nell'autovettura e sulla percezione del tempo da parte della donna si rivelano ininfluenti nella valutazione della condotta. Sterili, invece, sono le disquisizioni sulla credibilità della donna, posto che lo stesso ricorrente non nega l'episodio e si limita a dargli una personale spiegazione il desiderio di procurarsi il numero telefonico della donna e dargli un bacio . Ma si tratta di spiegazione che non elide l'antigiuridicità della condotta, poiché non rilevano i motivi dell'intrusione nell'autovettura e della costrizione operata in danno della vittima, in quanto il sequestro di persona è integrato dal dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di privare il soggetto passivo della libertà personale Cass., 7/3/2012, n. 14802 Cass., sez. V, 25/6/1987, Bruno Cass., 16/2/1989, Ciarella . Volontà che, nella specie, non viene nemmeno contestata. Né assume rilevanza il contesto in cui la privazione è avvenuta, posto che non sono i rapporti interpersonali a rendere lecito un comportamento che si traduce in obbiettiva limitazione della libertà di movimento della persona. 3. Del tutto infondate sono, infine, le critiche concernenti il reato di cui all'art. 609/bis cod. penale. Per atti sessuali vanno intesi, infatti, tutti quegli atti che coinvolgono zone del corpo che, in base alla scienza medica, psicologica e antropologica, sono considerate erogenee, ovvero tali da dimostrare l'istinto sessuale Cass., 21/1/2000, Alessandrini Cass., 10/10/2000, Gerardi . E non v'è dubbio che il bacio sulla bocca sia una delle principali manifestazioni dell'istinto sessuale, a nulla rilevando che, per le particolari condizioni in cui sia dato o scambiato, si riveli inidoneo ad eccitare l'istinto suddetto. Quanto all'elemento soggettivo a cui sembra alludere il ricorrente con le sue riflessioni , esso è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente, mentre è irrilevante l'eventuale fine ulteriore di concupiscenza, ludico o d'umiliazione che ha spinto l'agente a commettere il reato Cass., 9/5/2008, n. 28815 . Irrilevante è, pertanto, nella specie, il motivo da cui B. è stato mosso, giacché anche la speranza di riconquistare la donna, o l'intenzione di dare un saggio del proprio ardore , riconduce alla fattispecie delittuosa in commento. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.