Termine per il pagamento scaduto e nuova norma in vigore: ora il reato è consumato

L’omesso versamento IVA per l’anno 2005 si è consumato alla scadenza del termine, ovvero il 27 dicembre 2006, e quindi in un momento successivo all’entrata in vigore della disposizione incriminatrice.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38012/2013, depositata lo scorso 17 settembre. La fattispecie. Il legale rappresentante di una società, assolto in primo grado, veniva condannato in secondo per il reato di omesso versamento IVA, in quanto aveva consapevolmente accettato il ruolo di prestanome, firmando le dichiarazioni dei redditi e i bilanci senza minimamente preoccuparsi di adempiere ai numerosi obblighi che da ciò derivavano, ponendo in essere una condotta dolosa omissiva. Omesso versamento IVA, da quando è reato? La Corte di Cassazione adita, rigettando il ricorso dell’imputato, richiama una decisione delle Sezioni Unite, che si è espressa in merito alla possibile applicazione dell’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 reati tributari - omesso versamento di IVA , entrato in vigore il 4 luglio 2006, anche agli omessi versamenti IVA per l’anno 2005, con scadenza al 27 dicembre 2006, o se in tale ipotesi l’illecito debba ritenersi consumato alle singole scadenze del 2005 e sia dunque punibile con le sole sanzioni amministrative art. 13 d.lgs. n. 471/1997 . Reato consumato in un momento successivo all’entrata in vigore della nuova legge. Secondo gli Ermellini, la condotta omissiva propria, che ha ad oggetto il versamento dell’imposta afferente all’intero anno, si protrae fino alla scadenza del richiamato termine 27 dicembre 2006 n che coincide con la data di commissione del reato, a nulla rilevando il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali . In sostanza, la censura del ricorrente è infondata, perché il reato si è consumato il 27 dicembre 2006, e quindi in un momento successivo all’entrata in vigore della disposizione incriminatrice.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 giugno – 17 settembre 2013, n. 38012 Presidente Squassoni – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 22 aprile 2010, il Tribunale di Monza ha assolto l'imputato, per non aver commesso il fatto, dal reato di cui all'art. 10 ter del decreto legislativo n. 74 del 2000, contestatogli perché, in qualità di legale rappresentante di una società, ometteva di versare l'imposta sul valore aggiunto per l'importo di Euro 88.815,00 per l'anno 2005. Il giudice di primo grado è giunto a tale conclusione sul rilievo che l'imputato era solo formalmente il legale rappresentante della società, di fatto amministrata dal padre Giuseppe, soggetto precedentemente fallito, e non si era mai occupato in concreto dell'amministrazione della stessa, limitandosi a sottoscrivere i bilanci e le dichiarazioni dei redditi che il padre gli sottoponeva. Con sentenza dell'11 maggio 2012, la Corte d'appello di Milano, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale, ha condannato l'imputato per detto reato, rilevando che egli aveva consapevolmente da lungo tempo accettato il ruolo di prestanome, firmando le dichiarazioni dei redditi e i bilanci senza minimamente preoccuparsi di adempiere ai numerosi obblighi che da ciò gli derivavano, ponendo così in essere una condotta dolosa omissiva. 2. - Avverso tale ultima pronuncia l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, rilevando, con unico motivo di doglianza, la carenza e la manifesta illogicità della motivazione per la mancata disamina dei rilievi difensivi. Evidenzia la difesa che l'imputato aveva solo saltuariamente lavorato per l'azienda con mansioni operative presso un cantiere e che aveva accettato di fare da prestanome per il padre perché quest'ultimo era precedentemente fallito ed aveva fatto affidamento sulla correttezza della gestione portata avanti in via di fatto da quest'ultimo. Il ricorrente sostiene altresì che il mancato versamento contestato, relativo all'imposta per l'anno 2005, si è perfezionato prima dell'entrata in vigore della disposizione incriminatrice 4 luglio 2006 . Considerato in diritto 3. - Il ricorso è infondato. Inammissibile, per genericità, è il primo rilievo difensivo, secondo cui l'imputato era un mero prestanome del padre, del tutto ignaro delle attività da quest'ultimo poste in essere. Il ricorrente non mostra, infatti, di tenere conto dell'analitica e coerente motivazione fornita dalla Corte d'appello sul punto, la quale ha desunto la sussistenza della responsabilità penale da elementi correttamente ritenuti univoci e concordanti. In particolare, la Corte ha evidenziato a il fatto che il padre aveva chiesto all'imputato di rivestire il ruolo di amministratore, non potendo rivestirlo personalmente perché precedentemente fallito, laddove la declaratoria di fallimento era indice di una scarsa capacità di gestione da parte del padre e avrebbe dunque dovuto indurre l'imputato ad una particolare cautela b il fatto che l'imputato aveva firmato tutti gli atti della società, ivi compresa la dichiarazione Iva, che imponeva il versamento dell'imposta c il rilievo che il mancato controllo circa l'effettivo versamento dell'imposta configura una responsabilità omissiva al titolo di dolo eventuale, perché l'imputato ha previsto ed accettato il rischio del mancato pagamento del tributo da parte del genitore d il fatto che anche il padre dell'imputato sia stato incriminato non esclude la responsabilità penale dell'imputato, ben potendo rispondere entrambi del reato. Quanto, poi, al tempus commissi delicti , deve rilevarsi che le sezioni unite di questa Corte hanno, in data 28 marzo 2013, risolto il dubbio sollevato dalla terza sezione di questa stessa Corte relativamente alla questione se l'art. 10 ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dall'art. 35, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ed entrato in vigore il 4 luglio 2006, si applichi anche agli omessi versamenti dell'Iva per l'anno 2005, da effettuarsi nel corso del 2005, e non versati alla scadenza del 27 dicembre 2006, prevista dal citato art. 10 ter, oppure se in tale ipotesi l'illecito debba ritenersi comunque consumato alle singole scadenze del 2005 e sia quindi punibile con le sole sanzioni amministrative previste dall'art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Le sezioni unite hanno ritenuto di adottare la prima delle due soluzioni, escludendo che l'illecito potesse ritenersi consumato alle singole scadenze del 2005 e fosse, dunque, punibile con le sole sanzioni amministrative previste dalla normativa previgente. La mancata effettuazione del pagamento al 27 dicembre 2006 denota, infatti, un disvalore ulteriore rispetto al semplice omesso pagamento alle singole scadenze del 2005, che induce a ritenere che non vi sia continuità fra la disciplina amministrativa sanzionatoria e la disciplina penale. In altri termini, la condotta omissiva propria, che ha ad oggetto il versamento dell'imposta afferente all'intero anno, si protrae fino alla scadenza del richiamato termine, che coincide con la data di commissione del reato, a nulla rilevando il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali. Ne deriva, quanto al caso in esame, l'infondatezza della censura del ricorrente, perché il reato si è consumato il 27 dicembre 2006, ovvero in un momento successivo all'entrata in vigore della disposizione incriminatrice. 4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.