L'accertamento dell'avvenuta riconciliazione tra coniugi separati è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae a censura in sede di legittimità, là dove difettino vizi logici o giuridici. Peraltro, la riconciliazione non può essere provata con il ricorso al principio dell’animus conciliandi poiché va attribuito rilievo centrale agli elementi di fatto e alle iniziative concrete incompatibili con lo stato di separazione, come il ripristino della coabitazione.
In tal caso, spetterà al coniuge interessato a negarla, dimostrare che tale ripresa era motivata da ragioni diverse, insuscettibili di esprimere valenza riconciliativa. Lo spiega la Prima sezione Civile della Suprema Corte von la pronuncia numero 16661 del 12 aprile 2012, pubblicata mediante deposito il successivo 1 ottobre Questione di merito. La Cassazione si è pronunciata in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, confermando il costante orientamento della giurisprudenza secondo il quale l’accertamento dell’interruzione della separazione per intervenuta riconciliazione tra i coniugi è questione di merito che non può essere censurata in sede di legittimità e che va provata con ricorso a criteri oggettivi. Il caso. La massima è stata resa a seguito del ricorso proposto avverso una sentenza della Corte di appello di L’Aquila che, nel confermare la decisione di I grado, aveva rigettato l’eccezione della ex moglie di interruzione della separazione, dichiarando la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Quanto al regime patrimoniale, i giudici del gravame avevano rimodulato l’importo dell’assegno di mantenimento dei figli dovuto dal padre e, in parziale accoglimento dell’appello principale da quest’ultimo interposto, ridotto le somme dell’assegno divorzile. Ciò, dopo avere acquisito gli elementi necessari ad effettuare il dovuto raffronto tra il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e quello in dipendenza del divorzio. Innanzi alla S.C. è stata censurata la contraddittorietà del percorso logico seguito dalla Corte territoriale che aveva escluso l’ammissione di alcuni mezzi di prova volti a dimostrare l’intervenuta riconciliazione tra i coniugi, nonché l’ingiustificato rigetto dell’ingresso all’istruttoria per il coniuge richiedente l’assegno divorzile, quantificato, in tesi, sulla base di errori di valutazione. Insindacabilità della valutazione sull’interruzione della separazione. Ripercorrendo il costante orientamento giurisprudenziale, ad integrale conferma della sentenza gravata, i giudici della legittimità hanno ribadito che l’apprezzamento dei fatti di causa è riservato al giudice del merito mentre alla Corte di cassazione è conferito il solo potere di controllarne l’operato, sotto il profilo logico, formale e della correttezza giuridica. Poiché l’accertamento della riconciliazione tra coniugi separati costituisce un’indagine di fatto sul comportamento non equivoco degli stessi, ove adeguatamente motivata, non potrà essere censurata in sede di legittimità. La prova dell’animus conciliandi. La valutazione sull’interruzione della separazione, secondo la Corte, deve essere condotta sulla base di elementi oggettivi, tra tutti, il ripristino della coabitazione tra i coniugi, poiché il giudice non può accedere alla sfera intima dei sentimenti. I criteri per la determinazione del contributo economico. Sull’ultima questione, la sentenza in commento ha confermato anche che l’accertamento del diritto all’assegno divorzile presuppone un’analisi attinente sia all’an che al quantum, chiarendo che il presupposto per la concessione è costituito dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 aprile – 1° ottobre 2012, numero 16661 Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Con ricorso depositato il 17 giugno 2005, l'avvocato M.A. chiese al Tribunale di Pescara la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato il 25 giugno 1986 con A P. , dalla quale si era separato consensualmente l’ OMISSIS , nonché della cessazione dell'obbligo a suo carico di contribuire al mantenimento della donna, nella misura di lire 1.000.000 mensili, fermo l'obbligo del mantenimento dei due figli minori nella misura di lire 2.000.000 mensili per ciascuno, deducendo che la moglie gestiva un redditizio centro di estetica e che si giovava del contributo economico del nuovo convivente. La P. eccepì la interruzione della separazione per intervenuta riconciliazione e chiese l'aumento dell'assegno divorzile ad Euro 5000,00 mensili e dell'assegno di mantenimento per ciascun figlio ad Euro 2500,00. 2. - Con sentenza depositata il 17 aprile 2008, il Tribunale adito, rigettata la eccezione di interruzione della separazione, accolse la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, confermò il regime di affidamento del figlio sedicenne alla madre, lasciando quest'ultimo libero in ordine alle modalità di frequentazione del padre, senza disporre nulla quanto al primo figlio maggiorenne, convivente con la madre e non autosufficiente confermò l'assegnazione della casa coniugale alla P. fissò l'assegno divorzile nella misura di Euro 1000,00 mensili a decorrere dalla domanda, stante il documentato divario delle condizioni economiche tra il M. , avvocato, e la P. , imprenditrice di incerta fortuna, attesi i bilanci, talora negativi, del centro estetico, e in mancanza di prova di stabili contributi al suo sostentamento da parte del convivente determinò la misura dell'assegno di mantenimento per ciascun figlio in Euro 1500,00 mensili. 3. - Il M. propose appello avverso detta sentenza. La P. a sua volta propose gravame incidentale. Con sentenza depositata il 5 marzo 2009, la Corte d'appello di L'Aquila, in parziale accoglimento dell'appello principale, determinò l'assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 mensili e quello di mantenimento dei figli nella misura di Euro 1300,00 per il primo figlio, D. , attualmente maggiorenne, e di Euro 1100,00 per il figlio A. , dalla data della domanda, e, rispettivamente, nella misura di Euro 1500,00 e 1300,00 dalla data della sentenza, confermando, nel resto la decisione impugnata. La Corte di merito, per quanto ancora rileva nella presente sede, rigettò la eccezione della P. di interruzione della separazione nei primi cinque mesi del 2003 alla luce della relazione sentimentale certamente all'epoca intrattenuta dal M. con altra donna, come riconosciuto in udienza dalla difesa della convenuta e comprovato dalla documentazione dei viaggi compiuti tra i mesi di febbraio ed aprile 2003, nonché della coabitazione dei due, attestata dall'acquisto di mobilia consegnata alla donna presso il nuovo indirizzo del M. , nonché dell'esposto-denuncia presentato ai Carabinieri di Pescara in quello stesso periodo dalla P. , che lamentava il comportamento negligente ed omissivo tenuto dal marito in occasione di una visita al figlio minore, nel corso della quale lo avrebbe lasciato da solo all'interno di un grande magazzino per incontrare la sua convivente. Quanto alla misura dell'assegno divorzile, che costituiva oggetto sia dell'appello principale che di quello incidentale, la Corte di merito osservò che la P. aveva indubbiamente subito un deterioramento delle sue condizioni economiche a seguito del divorzio, avuto riguardo alla rilevante disparità tra i redditi dei coniugi, ed alla mancata prova che la convivenza more uxorio intrapresa dalla donna con altro compagno avesse determinato un mutamento in melius della sua situazione, e ciò pur nel dubbio sulla completa fedeltà dei dati formali acquisiti in ordine agli effettivi profitti del centro estetico della P. , in considerazione dell'acquisto da parte della stessa di un'automobile di lusso e dell'investimento di ingenti somme per le attrezzature del predetto centro nonché del tipo di prestazioni erogate. Quindi, sottolineò la durata del matrimonio, pari a sedici anni, e la circostanza che la donna era assegnataria della abitazione coniugale un elegante immobile di grandi dimensioni . Rilevò ancora la Corte, quanto alle condizioni del M. , che la costituzione di un nuovo nucleo familiare non aveva determinato una variazione in peius delle stesse, avuto riguardo alla sua solida posizione reddituale. Ritenne, pertanto, equo fissare l'importo dell'assegno divorzile nella misura di Euro 800,00 mensili con decorrenza dalla data della domanda. Quanto all'assegno di mantenimento per i figli, anch'esso oggetto del gravame principale e di quello incidentale, osservò la Corte che il trascorrere del tempo aveva comportato un progressivo aumento delle loro esigenze, stabilendo, pertanto, di graduare nel tempo detto contributo in considerazione delle crescenti necessità dei ragazzi. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la signora P. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso il M. . Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1.1. - Con la prima censura si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. Rileva la ricorrente di avere eccepito, nel costituirsi nel giudizio di primo grado relativo alla cessazione degli effetti civili del suo matrimonio, la inammissibilità della relativa domanda, proposta dal M. , per difetto del presupposto della ininterrotta separazione per tre anni a far tempo dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale, deducendo l'avvenuta riconciliazione ed il ripristino di una convivenza coniugale stabile, continuativa e completa ad ogni effetto tra lei ed il M. , che si era protratta per il periodo compreso tra il gennaio ed il giugno del 2003. La ricorrente fa presente di avere chiesto, in adempimento dell'onere correlato a tale eccezione, l'ammissione della prova per testi articolando una serie di capitoli, prova non ammessa in primo grado, né in sede di appello, e lamenta la illogicità e contraddittorietà del percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito per escluderne la necessità alla stregua della esistenza di alcuni presunti elementi indiziari in realtà privi di tale valore. In particolare, le dichiarazioni rese in giudizio dalla difesa della attuale ricorrente non conterrebbero alcun riconoscimento che nel dedotto periodo di ripristino della convivenza tra la stessa ed il coniuge costei fosse consapevole del perdurare della relazione tra il M. e l'altra donna, dovendo, al contrario, dette dichiarazioni essere interpretate nel diverso senso della acquisita conoscenza da parte della P. solo in data 5 giugno 2003 della riattivazione da quel momento della relazione extraconiugale. Né alcun valore indiziario potrebbe essere riconosciuto alla documentazione relativa ai viaggi asseritamente compiuti dal coniuge con la sua nuova compagna o alla fornitura di mobili alla stessa, contestata dalla difesa della P. già al momento della produzione in prime cure. Infine, nessuna efficacia di conferma alle precedenti congetture potrebbe annettersi alla circostanza, erroneamente valorizzata dal giudice di secondo grado, dell'esposto denuncia ai Carabinieri, in realtà presentato dalla P. solo il 23 marzo 2004, e, dunque, non già nel periodo in relazione al quale la stessa aveva dedotto il ripristino della convivenza con il coniuge, ma l'anno successivo. 1.2. - La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis cod.proc.civ., oggi abrogato, ma applicabile nella specie ratione temporis “Dica codesta Ecc.ma Corte se, in ipotesi conforme a quella di specie, ove la sentenza impugnata rigetti l'istanza di ammissione della prova per testi vertente su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio - quale deve riconnettersi alla riconciliazione dei coniugi per facta concludentia a seguito del ripristino della convivenza - sulla scorta di presunti elementi indiziari rivelatisi inesatti e comunque non ricadenti nell'arco temporale cui si assume essersi ripristinata la convivenza, integri o meno il denunciato vizio di erronea, contraddittoria ed inidonea motivazione. Accerti pertanto se la diversa regula iuris che il giudice del merito avrebbe dovuto adottare si sostanziava nel consentire l'ammissione della prova testimoniale onde fondare il proprio convincimento su più esatti elementi di valutazione”. 2.1. - La censura si appalesa priva di fondamento. 2.2. - Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360 cod.proc.civ., comma 1, numero 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Tali vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, mentre a questa Corte non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti v., ex plurimis, Cass., sentt. numero 18119 del 2008, numero 15489 del 2007 . 2.3. - Nella specie, la Corte di merito ha fornito adeguata e plausibile motivazione del proprio convincimento in ordine alla stabilità del rapporto del M. con la nuova compagna, valorizzando l'elemento dei viaggi, documentati, compiuti dai due nei mesi di febbraio ed aprile del 2003, nonché quello della loro coabitazione, elemento avvalorato dalla consegna alla donna, presso il nuovo domicilio del M. , dei mobili acquistati nella primavera dello stesso anno 2003. Il convincimento del giudice di secondo grado risulta viepiù corroborato dalla circostanza dell'esposto denuncia ai Carabinieri di Pescara, in cui la P. aveva riferito di essere consensualmente separata dal coniuge dall'11 giugno 2002. Al riguardo, non risulta, peraltro, rilevante in senso contrario la data di tale esposto, che non è ascrivibile al periodo indicato dalla attuale ricorrente come quello della temporanea riconciliazione tra i coniugi, bensì all'anno successivo, ove si consideri che la decisione del giudice di secondo grado è fondata, come testé riferito, essenzialmente su di una serie di altre circostanze. Alla stregua di queste, la Corte di merito ha, dunque, non illogicamente escluso che negli incontri del M. con la moglie potesse ravvisarsi un comportamento incompatibile con lo stato di separazione, e, per tale motivo, ha giudicato irrilevanti, a fronte delle menzionate acquisizioni processuali, le richieste istruttorie avanzate sul punto dalla P. . Al riguardo, si ribadisce l'orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale l'accertamento dell'avvenuta riconciliazione tra coniugi separati, per avere essi tenuto un comportamento non equivoco che risulti incompatibile con lo stato di separazione da compiersi attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza e alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva , implicando un'indagine di fatto, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae, quindi, a censura, in sede di legittimità, là dove difettino vizi logici o giuridici v. Cass., sentt. numero 26165 del 2006, numero 3744 del 2001 . 3.1. Le esposte considerazioni danno conto, altresì, della infondatezza del secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 157 cod.civ. e dell'articolo 3, primo comma, numero 2, lettera b , della legge 1 dicembre 1970, numero 898, degli articolo 115 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ. Secondo la ricorrente, avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la protrazione della relazione sentimentale tra il M. e la sua compagna durante il periodo in cui l'attuale ricorrente affermava essersi ripristinata la sua convivenza con il coniuge comprovasse il difetto dell'animus conciliandi da parte di quest'ultimo. Tale convincimento, retaggio di una tralaticia interpretazione giurisprudenziale, non sarebbe aderente al nuovo solco ermeneutico tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, prescindendo da irrilevanti riserve mentali, non potendo il giudice accedere alla sfera intima dei sentimenti, l'elemento oggettivo del ripristino della coabitazione tra i coniugi è potenzialmente idoneo a fondare il positivo convincimento del giudice in ordine all'avvenuta riconciliazione sicché spetta al coniuge interessato a negarla dimostrare che il nuovo assetto era tale da non integrare una ripresa della convivenza e quindi da non configurarsi come evento riconciliativo. Per tale ragione, l'attuale ricorrente avrebbe dovuto essere ammessa a provare la piena ripresa della convivenza nella casa familiare, salva la facoltà per il coniuge di dimostrare che tale ripresa era motivata da ragioni diverse, insuscettibili di esprimere valenza riconciliativa. 3.2. - La esplicazione della censura si completa con la formulazione del seguente quesito di diritto “Dica codesta Ecc.ma Corte se al cospetto dell'eccezione prevista dall'articolo 3, comma 1, numero 2, lettera b , formulata dal coniuge convenuto che nel giudizio di divorzio opponga l'intervenuta riconciliazione, al giudice del merito sia dato di negare l'accesso alla prova testimoniale in merito alla eccezione, nel presupposto che la protrazione, durante il periodo della dedotta riconciliazione, di una relazione sentimentale esprima ex se valenza antitetica dell'animus conciliandi, o se invece debba applicare la diversa regula iuris, prospettata nella presente censura, che si debba ossia preventivamente accertare il fatto oggettivo del ripristino della convivenza, salva la facoltà dell'attore di dimostrare che fatto-evento, sia giustificato da ragioni contingenti, insuscettibili di esprimere valenza riconciliativa”. 3.3. - In realtà, la ricorrente ripropone, sub specie di violazione di norme di legge, la censura relativa alla mancata ammissione della prova della avvenuta riconciliazione dei coniugi, che la Corte di merito ha, invece, per quanto sopra chiarito, ritenuto irrilevante avendo accertato, con apprezzamento insindacabile nella presente sede di legittimità siccome adeguatamente e non illogicamente motivato, che la condotta del M. non risultava incompatibile con lo stato di separazione, ma che, al contrario, essa era indicativa della volontà di costituire una nuova comunione con un'altra donna. 4.1. - Con la terza doglianza si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 della legge numero 898 del 1970, come modificato dall'articolo 10 della legge numero 74 del 1987, dell'articolo 2697 cod.civ. e dell'articolo 115 cod.proc.civ. La Corte territoriale, dopo aver correttamente delineato il quadro normativo - giurisprudenziale nel cui contesto va accertato il diritto all'assegno divorzile e determinata la misura dello stesso, avrebbe in concreto disatteso i relativi parametri di riferimento. In ossequio al principio secondo il quale il richiedente ha l'onere di fornire la dimostrazione della fascia socio-economica di appartenenza della coppia all'epoca della convivenza e del relativo stile di vita adottato manente matrimonio , nonché dell'attuale situazione economica, la P. aveva richiesto in entrambi i gradi del giudizio di merito di essere ammessa a fornire la relativa dimostrazione. A fronte di tale richiesta, la Corte di merito, senza giustificare il rigetto dell'ammissione del mezzo istruttorio, aveva utilizzato il criterio sussidiario concernente il reddito dell'onerato, avvalendosi di considerazioni perplesse, senza considerare la entità almeno dei redditi professionali del M. relativi all'anno di imposta 2006, e senza ordinare allo stesso, come richiesto dalla P. , la esibizione del modello unico relativo all'anno di imposta 2007 e le copie degli estratti conto bancari, italiani ed esteri. 4.2. - La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto “Dica la Corte Ecc.ma se il giudice del merito possa attenersi alla regola - che con il presente motivo si denuncia errata - di negare, senza esser tenuto ad alcuna motivazione, al coniuge richiedente l'assegno divorzile l'ingresso all'istruttoria finalizzata all'adempimento dell'onere probatorio su di esso incombente, teso a dimostrare il tenore di vita goduto manente matrimonio, oppure sia tenuto ad attenersi alla contrapposta regula iuris - ritenuta corretta nella presente censura - per cui il giudice possa esprimere il diniego solo in base ad argomentazioni che risultino immuni da vizi logici”. 5.1. - La doglianza è immeritevole di accoglimento. 5.2. - Alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, l'accertamento del diritto all'assegno divorzile, di carattere esclusivamente assistenziale, va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto, fissate al momento del divorzio. Tale accertamento va compiuto mediante una duplice indagine, attinente all'an ed al quantum, nel senso che il presupposto per la concessione dell'assegno è costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, non essendo necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto il quale può essere anche economicamente autosufficiente e rilevando, invece, l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche v., tra le altre, Cass., sentt. numero 4021 del 2006, numero 3101 del 2000 . 5.3. - Nella specie, la Corte territoriale, pur dando atto della possibilità che il reddito della P. fosse in qualche misura superiore a quello risultante dalle dichiarazioni fiscali, tenuto conto della sua attività di titolare di un centro estetico, nel quale aveva investito somme ingenti, e del tipo di prestazioni erogate, ha ritenuto che esso non fosse comunque tale da garantire alla donna il tenore di vita goduto durante la convivenza con il coniuge, sulle cui floride condizioni economiche non poteva avere inciso apprezzabilmente in peius la costituzione del nuovo nucleo familiare, essendo, tra l'altro, incontestato che anche la nuova compagna dell'uomo svolgeva attività lavorativa. La Corte ha quindi implicitamente rigettato le istanze istruttorie, avendo già acquisito gli elementi necessari ai fini del decidere. 6.1. - Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il giudice di secondo grado avrebbe commesso vistosi errori valutativi nel determinare le somme dovute dal M. per l'assegno divorzile e per il mantenimento dei due figli, liquidando importi incongruenti. In merito alla quantificazione del primo, la Corte di merito, nel ritenere che la relazione more uxorio della P. non sarebbe stata indicativa di un mutamento in melius delle sue condizioni economiche, non avendo il coniuge onerato fornito la prova del contributo al mantenimento apprestato dal convivente o del risparmio conseguente alla convivenza, non aveva considerato che il radicale difetto di prova riguardava la convivenza stessa, essendo emersa dagli atti la non attualità di essa. Ciò premesso, il vizio logico dal quale era affetto il sillogismo seguito per la quantificazione dell'assegno divorzile, come degli assegni di mantenimento per i figli, si sarebbe manifestato nella equivoca locuzione utilizzata per accertare le capacità - solo reddituali - dei M. , relativa al reddito sostanzialmente incerto sul quale poteva contare la P. a fronte di un reddito mensile del coniuge, aggirantesi intorno a somme di gran lunga superiori ai diecimila Euro . In tal modo, la Corte di merito avrebbe equiparato un reddito mensile superiore alla cifra indicata ad altro di livello enormemente più rilevante, quale quello effettivamente percepito dal M. , rendendo impossibile una verifica della motivazione della decisione relativa ai quantum degli assegni di cui lo stesso era onerato. 6.2. - La illustrazione della doglianza si completa con la formulazione del seguente quesito di diritto “Dica codesta Ecc.ma Corte se il giudice, che è tenuto a compiere, a mente dell'articolo 5, sesto comma, L. numero 898, modificata dalla L. numero 74 del 1987, risulti aver rettamente adempiuto - come si contesta col suesposto motivo - all'obbligo di congrua motivazione nell'eseguire il raffronto comparativo delle rispettive potenzialità dei coniugi, al fine di pervenire ad idonea quantificazione dell'assegno divorzile ed all'assegno mensile dovuto per il mantenimento della prole, ricorrendo ad un elemento indeterminato, quale deve considerarsi l'attribuire all'onerato un reddito mensile superiore ad un ipotetico livello, insuscettibile di esprimere le concrete ed effettive potenzialità reddituali e patrimoniali dell'obbligato o se al contrario, ferma restando la facoltà del motivato ricorso ad elementi presuntivi, debba adottare la più coerente regula iuris di fondare il proprio convincimento sui dati emergenti dalla acquisita e/o acquisibile documentazione che evidenzia comunque un 1ivelio maggiore”. 7.1. - La censura è destituita di fondamento. 7.2. - Anzitutto, quanto al preteso errore che sarebbe stato commesso dalla Corte di merito nel trascurare la circostanza della non attualità della convivenza della P. con il suo compagno nell'abitazione familiare, va rilevato che tale errore sarebbe comunque ininfluente, avendo il giudice di secondo grado escluso che, ai fini della quantificazione dell'assegno divorzile, potesse acquisire rilievo detta convivenza. 7.3. - In merito, poi, alla pretesa genericità del riferimento, operato dalla Corte di merito, alla entità del reddito professionale del M. , che si sarebbe sostanziata in un difetto di motivazione sulla statuizione relativa alla quantificazione degli assegni a carico dello stesso, il giudice di secondo grado ha fornito ampia ed articolata giustificazione di tale statuizione, procedendo, nella incertezza sui redditi della P. , ad una disamina delle condizioni dei coniugi, che ha tenuto conto, per un verso, dell'attività imprenditoriale della prima, in cui sono state investite ingenti somme, e dell'assegnazione alla stessa della casa familiare un elegante immobile di grandi dimensioni che, pur non potendosi considerare componente dell'assegno divorzile, in quanto finalizzata esclusivamente alla tutela della prole v., tra le altre, Cass., sentt. numero 10994 del 2007, numero 1545 del 2006 , secondo la Corte di merito ha avuto, nella specie, positivi riflessi di natura economica per l'altro, degli ingenti introiti del M. . La motivazione della sentenza impugnata, immune da vizi logici e giuridici, si sottrae, in definitiva, alla censura di difetto motivazionale. 8. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, che, in ossequio al criterio della soccombenza, devono essere poste a carico della ricorrente, vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.