Azienda minimal, tutti pronti a riattivare la produzione: nessuna manovra azzardata dell’operaio caduto dalla scala assai precaria

Evidente l’addebito a carico della proprietaria dell’azienda non aver messo a disposizione una scala con adeguate strutture di fissaggio. Assolutamente non plausibile la tesi del ‘colpo di testa’ del dipendente vista la realtà dell’impresa, tutti gli operai sono interscambiabili e pronti a intervenire per rimediare ai guasti del macchinario per la produzione.

Piccola azienda, come quasi in tutto il tessuto imprenditoriale italiano A testimoniarlo il ridotto numero di dipendenti e, in aggiunta, il fatto che due di essi siano figli della proprietaria. Quadro chiaro, che permette di ricostruire il clima aziendale tutti pronti a operare, laddove necessario, per garantire la continuità della produzione. Così, l’azione dell’operaio – salito su una scala poco sicura, proprio per sbloccare il macchinario – è da considerare normale, non certo da catalogare come un ‘colpo di testa’. Di conseguenza è la proprietaria dell’azienda a pagare per l’incidente subito, in quella occasione, dall’operaio. Cassazione, sentenza n. 36405, Quarta sezione Penale, depositata oggi Posizione precaria. Nessun dubbio sui contorni dell’episodio verificatosi in una piccola azienda un operaio interviene per ‘sbloccare’ il macchinario della produzione, ma utilizza, purtroppo, una scala non tenuta ferma e trattenuta adeguatamente alla base . Consequenziale alla posizione precaria è la caduta dell’uomo, che riporta diverse lesioni . Mossa azzardata, quella compiuta dall’operaio, almeno per i giudici di primo grado, che, difatti, ‘liberano’ da ogni responsabilità la proprietaria dell’azienda. Questa visione, però, viene completamente smentita dai giudici di secondo grado in Appello, difatti, l’imprenditrice viene ritenuta responsabile, in via esclusiva, ai fini civili , in qualità di rappresentante legale della ditta, per le lesioni subite dall’operaio. Ciò comporta, ovviamente, un adeguato risarcimento dei danni a favore dell’uomo, risarcimento quantificato in poco più di 7mila euro. Tutti per uno Ad avviso dell’imprenditrice, però, è stata sottovalutata la portata delle azioni compiute dall’operaio, concretizzatesi in una manovra avventata e senza le dovute precauzioni , soprattutto tenendo presente che a lui non erano affidate le mansioni di sblocco del macchinario che serviva alla produzione , mansioni riservate, invece, ai due figli della proprietaria. Questa prospettiva, però, viene ritenuta non credibile dai giudici della Cassazione, i quali, richiamando materiale probatorio acquisito nei precedenti gradi di giudizio, sostengono che la condotta dell’operaio non poteva qualificarsi come abnorme o imprevedibile . Per alcune semplici ragioni in presenza di guasti gli operai si attivavano per risolvere, nel più breve tempo possibile, il guasto, onde non bloccare la produzione , ed era prassi normale che, per simile intervento, essi non chiedevano alcuna autorizzazione . Senza dimenticare, poi, che la azienda era composta da pochi dipendenti e tutti svolgevano di fatto mansioni interscambiabili in relazione alle circostanze, per cui, contrariamente allo specifico ruolo formale che ognuno ricopriva e a cui era assegnato, ognuno interveniva quando la produzione si fermava per guasti . Assolutamente comprensibile, quindi, la scelta dell’operaio. Mentre è da censurare la carenza addebitabile all’imprenditrice la scala utilizzata dall’uomo non rispettava le norme antinfortunistiche, perché non aveva strutture di fissaggio per evitare cadute . Omissione, questa, che consente di confermare la responsabilità della proprietaria dell’azienda.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 giugno - 5 settembre 2013, n. 36405 Presidente Sirena – Relatore Uccella Ritenuto in fatto Con sentenza 25 ottobre 2011 la Corte di appello di Perugia in parziale riforma della sentenza del 6 giugno 2008 del Tribunale di Perugia in composizione monocratica, emessa nei confronti di P. D. e appellata dalla parte civile N.N.A., dichiarava la responsabilità esclusiva ex articolo 590 comma 1 n. 2 e 3 c.p. ai fini civili della Petrucci nella qualità dì rappresentante legale della Ditta Euromangini s.a.s. per le lesioni subite dal N. che aveva utilizzato una scala non tenuta ferma e trattenuta adeguatamente alla base e da cui era caduto. Nell’occasione il giudice dell’appello ha condannato la P. al risarcimento dei danni a favore della parte civile, liquidato in euro 7.067,99 oltre spese dì entrambi i gradi del giudizio. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la P. affidandosi a due motivi. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 comma 1 lett.b con particolare riferimento agli artt. 40 e 41 c.p.-, in estrema sintesi, premesso che era stata assolta in primo grado con formula piena per il reato ascrittole perché il fatto non sussiste, la ricorrente sottolinea la sua estraneità al verificarsi dell' incidente, che andrebbe, a suo avviso, ad ascriversi esclusivamente alla condotta del N., cui peraltro non erano affidate le mansioni di sblocco del macchinario manovra avventata e senza le dovute precauzioni. Il che sarebbe emerso dall' istruttoria di primo grado perché ella non aveva mai chiesto al N. né agli altri dipendenti di porre rimedio all’inceppamento del macchinario durante la fase della lavorazione. L’assunto sarebbe stato confermato dalie stesse dichiarazioni del N. nonché dalla deposizione del teste L., presente al momento dei fatti, che avrebbe dichiarato che C.I. e D. figli della P. erano essi deputati dalla manutenzione del macchinario che serviva alla produzione. 2. Con il secondo motivo mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ed ex articolo 606 comma 2 lett.c c.p.p., risultante dal testo del provvedimento impugnato e/o da atti del processo, nello specifico, deposizione teste N.N.A., deposizioni teste L.S. e C.D. la ricorrente, poi, denuncia sostanziale carenza motivazionale nella parte della sentenza in cui il giudice dell’appello non avrebbe ritenuto attendibili le testimonianze che avrebbero invece dimostrato l’autonoma iniziativa del N. senza precauzioni e senza la necessaria competenza tecnica. Ed, inoltre, pur volendosi ritenere accertata la responsabilità del datore di lavoro, la sentenza sarebbe affetta da manifesta illogicità e contraddittorietà nella sua motivazione perché in essa non si sarebbe data contezza dell’imprevedibile verificarsi sotto il profilo giuridico-fattuale in ordine alla condotta della parte offesa, quale fattore causale esclusivo. Essendo la condotta del dipendente del tutto anomala ed imprevedibile si configurerebbe una causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento. In buona sostanza, la ricorrente chiede l’annullamento della senza rinvio ex articolo 620 c.p.p. con consequenziali provvedimenti in ordine alle statuizioni civili. In merito a queste due censure, che possono essere esaminate congiuntamente per la loro connessione, il Collegio osserva. 3. In linea di principio va affermato che in tema di infortuni sul lavoro, anche se determinati da un errore del lavoratore, che abbia di fatto prestato il proprio consenso ad operare in condizioni di pericolo, non va esclusa la responsabilità del datore di lavoro, il quale abbia omesso di osservare le norme antinfortunistiche, atteso che queste ultime sono dettate a prevenire anche il comportamento imprudente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore, che non può altresì disporre del proprio diritto alla salute Cass. IV n. 12348, ud. 29 gennaio 2008, n. 239253 . Ciò posto, nel caso, in esame risulta accertato che la scala su cui il N. salì non rispettava le norme antinfortunistiche, perché non aveva strutture di fissaggio per evitare cadute, quali i ganci che la tenessero assicurata al suolo, ove era appoggiata o piedini” di gomma che evitassero che il dipendente scivolasse al suolo. Ed, inoltre, queste strutture erano quanto meno necessarie nella specie perché il pavimento era particolarmente scivoloso a causa della tipologia di produzione e delle materie utilizzate. Quindi, si versava in una aperta violazione della norme de quibus e in particolare dell’articolo 19 del d.P.R. n. 547/55, così come contestato, il quale prescrive come le scale debbano essere sempre assicurate e trattenute a terra da altri operai. Ne consegue che la censura va disattesa. Ma, anche il secondo motivo non può essere accolto. Di vero, non solo, ci sono le testimonianze raccolte, dalle quali è emerso che la condotta del N. non poteva qualificarsi abnorme od imprevedibile, avendo i testi riferito che la P. era a conoscenza che in presenza di guasti gli operai si attivavano per risolvere nel più breve tempo possibile il guasto onde non bloccare la produzione, ma che era prassi normale che per simile intervento essi non chiedevano alcuna autorizzazione Non corrisponde, quindi, al vero che il giudice a quo non abbia ritenuto attendibili le testimonianze che avrebbero dimostrato l’atono iniziativa del N. Infatti, il giudice dell’appello ha solo contestualizzato le dichiarazioni rese dal figlio della P., la cui azienda era composta da pochi dipendenti, tra cui i suoi figli, i quali tutti svolgevano di fatto mansioni interscambiabili in relazione alle circostanze, per cui contrariamente allo specifico ruolo formale che ognun ricopriva e a cui era assegnato, la prassi normale era che ognuno interveniva quando la produzione spesso si fermava per guasti, come per l’appunto avvenne il 24 ottobre 2006. Conclusivamente, il ricorso va respinto e la ricorrente come per legge va condannata alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.