Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha emanato la Circolare 18 luglio 2013 numero 3649/6099, avente ad oggetto la realizzazione del circuito regionale ex articolo 115 d.p.r. numero 230/2000.
Linee guida. Il presente documento non intende definire un modello rigido della attuazione della sorveglianza dinamica, replicabile pedissequamente in ogni istituto, ma vuole indicare le linee di riferimento minime e vincolanti entro le quali deve attuarsi questo metodo di lavoro. In tal modo il Dipartimento offre la soluzione a quelli che sono stati evidenziati come punti nevralgici, lasciando al contesto regionale e locale di adattare le linee guida ai singoli istituti. Con le circolari nnumero 445330, 206745 e 36997 - rispettivamente del 24 novembre 2011, 30 maggio 2012 e 29 gennaio 2013- è stato avviato un percorso di revisione del sistema organizzativo e gestionale dell'Amministrazione penitenziaria che, attraverso la realizzazione di circuiti penitenziari a norma dell'articolo 115 del regolamento di esecuzione D.P.R. numero 230/2000 , tende al recupero da parte di tutta l'organizzazione, centrale e territoriale, della razionalità complessiva del sistema in coerenza con il dettato normativo. Il richiamo delle circolari in questione al concetto di carcere aperto è un chiaro riferimento all'articolo 6 della Riforma Penitenziaria del 1975 che definisce le celle come luogo di pernotto, intendendo che la vita del detenuto debba normalmente svolgersi al di fuori di esse, ma è anche un'occasione per puntualizzare come il mandato principale assegnato all'Amministrazione sia quello di creare le condizioni per un «trattamento penitenziario conforme a umanità e dignità» ponendo, come punto focale della propria azione, la centralità della persona detenuta e la garanzia dei diritti fondamentali, affinché i principi dell'articolo 27 Cost. - relativi alla presunzione di non colpevolezza degli imputati e di finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato - possano trovare adeguata realizzazione. Concetti di sicurezza e trattamento l’uno condizione necessaria dell’altro. Verso questo obiettivo devono convergere gli interventi di tutti gli operatori penitenziali, secondo le rispettive competenze professionali, in un'ottica di integrazione e collaborazione. . Pertanto, i diversi operatori devono offrire ognuno il proprio apporto professionale per definire un sistema fondato su rapporti di stretta collaborazione, sullo scambio di informazioni relativamente a ogni tematica riguardante l'istituto e sull'assunzione comune della responsabilità di risultato. La complessità insita nell'operazione impone adattamenti progressivi. Nell'ambito di tale direttiva è incombenza dei Sigg. Provveditori operare, coordinando e graduando le iniziative, al fine della realizzazione del progetto che condurrà, anche attraverso le indicazioni fornite con la circolare in questione, a definire i dettagli su taluni punti critici, in primis l'attuazione della sorveglianza dinamica e l'impiego del personale di Polizia Penitenziaria. Sulla base di tali premesse - richiamandosi alla delibera 51 del Consiglio d'Europa - si è cercato di declinare il concetto della «sorveglianza dinamica» immaginando un sistema più efficace per assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali, fondato sulla semplificazione, la razionalizzazione, la qualificazione dei carichi di lavoro, la distinzione dei livelli di competenza, la condivisione dei flussi informativi tra le diverse figure professionali. Contenuti. Il modello di sorveglianza dinamica fonda i suoi presupposti su di un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve poggiare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o securitario adeguato. Conoscenza del detenuto. Le conoscenze sui detenuti, però, risulterebbero fortemente limitate ove il perimetro della loro vita rimanesse confinato nei pochi metri quadri della cella o del corridoio così come avviene in troppi istituti. Occorre, quindi, realizzare una diversa gestione e utilizzazione degli spazi all'interno degli istituti distinguendo tra la cella - destinata, di regola, al solo pernotto - e luoghi dove vanno concentrate le principali attività trattamentali scuola, formazione, lavoro, tempo libero e i servizi cortili passeggio, alimentazione, colloqui con gli operatori , così creando le condizioni perché il detenuto sia impegnato a trascorrere fuori dalla cella la maggior parte della giornata. Correlativo a questa diversa collocazione è l'intervento degli operatori appartenenti ad altre professionalità, o anche dei volontari, all'interno dei suddetti spazi. I vantaggi di un regime penitenziario così configurato, se appaiono di immediata evidenza per la popolazione detenuta, non sono da meno per la prevenzione degli eventi critici e per il miglioramento dei compiti affidati alla Polizia Penitenziaria. L'attuale modalità di operare nei corridoi delle sezioni vincola gli agenti a un contatto diretto con il detenuto, a un continuo lavoro di apertura e chiusura delle porte, a una serie di incombenze, disposte dal regolamento di servizio, D.P.R. 82/99, la cui omissione espone a responsabilità, talvolta improprie, anche ai sensi dell'articolo 387 c.p. Al contrario, la divisione degli ambienti deve portare il personale di Polizia Penitenziaria a svolgere servizio, salvo che nelle ore notturne, in posti fissi all'esterno delle sezioni, presidiando i punti a rischio dell'istituto, il muro di cinta e i varchi verso l'esterno, con sentinelle o presidi automontati e affidando le specifiche incombenze di Polizia da elevare a operazioni di governo del territorio , come le operazioni di immissione agli ambienti comuni, i controlli sull'ordinato svolgersi delle attività, le perquisizioni reali o personali o di conta a Unità Operative la cui consistenza numerica avrà come criterio di riferimento le caratteristiche dei detenuti. Vantaggi e benefici a più livelli. In definitiva, una diversa conformazione e utilizzo degli ambienti agevola le operazioni di controllo, consente l'incremento delle varie attività, aumenta i livelli di sicurezza, riduce i rischi attraverso la struttura a gruppo o a pattuglia, consente la distribuzione delle responsabilità su livelli differenziati e allo stesso tempo integrati e permette agli operatori di valutare il detenuto sulla base di elementi concreti - quali il senso di responsabilità, la coerenza rispetto agli impegni presi all'atto della immissione nel circuito aperto, l'interrelazione con i compagni e col personale - sì da avere dati più attendibili ed utilizzabili sia ai fini dell'osservazione e del trattamento sia ai fini della valutatone di pericolosità. Occorre imparare a «stare e lavorare insieme». L'integrazione degli interventi deve essere, a maggior ragione, assicurata allorquando si ricorre alla sorveglianza per affrontare problematiche che importano soluzioni pluri-professionali. Il documento in esame ha sottolineato che il miglioramento del regime penitenziario influenza in termini positivi qualsiasi azione di prevenzione del fenomeno dell'autolesionismo che voglia definirsi realmente efficace. Nello specifico si sottolinea che il ricorso al controllo a vista deve intendersi, allora, quale misura eccezionale, limitata nel tempo e adottata solo se prescritta - in quanto giustificata nella sua necessità - da personale medico che assumerà, nel contempo, l'onere di seguire costantemente il detenuto sino alla redazione di un programma terapeutico specifico nel quale siano precisate le azioni di intervento assegnate alle diverse aree, compresa la sorveglianza, con l'obiettivo non solo di prevenire azioni autolesionistiche, ma anche di stimolare la crescita del senso di responsabilità del soggetto a rischio. Organizzazione dell'area della sicurezza. L'organizzazione dell'area della sicurezza, in base alle premesse indicate, deve essere coerente con la tipologia dell'Istituto, con il circuito penitenziario in cui esso è collocato e con le risorse umane e strumentali disponibili. In ogni caso i carichi di lavoro - intesi come numero di turni lavorativi e compiti individuali - non devono superare la soglia della forza disponibile e delle capacità soggettive. Colpa del custode. Infine, è stata trattata la questione sollevata circa la responsabilità del personale derivante dall'articolo 387 c.p. «colpa del custode» in relazione ai compiti dettagliatamente descritti nel regolamento di servizio agli articolo 42 e segg. È stato evidenziato il timore di una incompatibilità del modello fondato sulla sorveglianza dinamica con la richiamata previsione normativa da qui la richiesta di abrogare l'articolo 387 c.p. e/o rivedere le disposizioni regolamentari. Per il Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria appare dubbio che tale reato - peraltro non limitato specificamente ai comportamenti della Polizia penitenziaria, posto che può essere commesso da «chiunque» - possa essere espunto dal nostro ordinamento oltre tutto perché il richiamo alla colpa, di cui all’articolo 43 c.p., comprende fattispecie di gravità tale, da poter difficilmente essere trascurate o rimanere impunite, e ciò indipendentemente dalle previsioni del regolamento di servizio. Le disposizioni contenute nella circolare sono esecutive. La sorveglianza dinamica è adottata, secondo le linee-guida che precedono e nell'immediato negli istituti e nelle sezioni definiti a custodia attenuata , nelle case di reclusione di media sicurezza identificate e verrà gradualmente estesa agli altri istituti, ad esclusione dei reparti di alta sicurezza.