Nessun rischio diretto per la persona, ma violenza diffusa nel Paese: possibile la protezione per lo straniero

Ritorna sul tavolo la domanda messa ‘nero su bianco’ da un cittadino nigeriano, scappato dal proprio Paese per i pericoli legati a una situazione socio-politico-religiosa davvero caotica. Illogico avere come punto di riferimento solo la dimostrazione concreta di un pericolo personale per lo straniero scappato in Italia. Necessario tener conto anche degli equilibri precari del Paese d’origine, e dei pericoli potenziali in caso di ritorno in patria.

Situazione caotica, e caratterizzata da violenze diffuse, nel Paese d’origine dello straniero scappato in Italia ciò basta per rendere potenzialmente legittima la richiesta di protezione internazionale messa ‘nero su bianco’ dal cittadino extracomunitario. Per questo, vanno analizzati e approfonditi, con attenzione, gli equilibri e i pericoli socio-politico-religiosi del Paese di provenienza, non potendo limitarsi a constatare la mancanza di un concreto e diretto pericolo per l’incolumità del cittadino straniero. Cassazione, ordinanza numero 15466, sez. VI Civile, depositata oggi Pericolo ad personam. Contrordine in Corte d’Appello risposta negativa alla «domanda di protezione internazionale proposta da un cittadino nigeriano». Decisiva, per i giudici, la valutazione della scarsa attendibilità della ricostruzione fatta dall’uomo, ricostruzione centrata sui pericoli per la propria fede religiosa ma caratterizzata da «numerose contraddizioni», da scarsa «credibilità» e da confusione. Per giunta, sempre secondo i giudici, non ci si può limitare a richiamare la propria provenienza «da un Paese pericoloso», occorre, piuttosto, che l’«incolumità personale» sia «individualmente, concretamente e gravemente minacciata». Caos e violenza. Di fronte alla decisione emessa in Appello, l’uomo non si arrende e sceglie di proporre ricorso in Cassazione. E, di fronte ai giudici, egli rivendica la veridicità della situazione da lui descritta, testimonianza di un Paese – la Nigeria – pericoloso soprattutto per le persone che si professano cristiane, ma, allo stesso tempo, caratterizzato da «una situazione di violenza indiscriminata, fuori del controllo delle autorità statuali». Queste obiezioni vengono ritenute legittime e fondate dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, rimettono la vicenda alle valutazioni della Corte d’Appello, laddove dovrà essere nuovamente presa in esame la «richiesta di protezione» avanzata dal cittadino nigeriano. Decisiva la considerazione che l’ipotesi della «minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona» di un cittadino può ritenersi provata anche quando «il grado di violenza indiscriminata» sia di un «livello così elevato» da far ritenere che il cittadino «rientrato nel Paese correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio» concreto. Ciò significa che «il richiedente asilo» non ha l’obbligo di ‘certificare’ «una condizione caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio, quando è possibile evincere dalla situazione generale del Paese che la violenza è generalizzata e non controllata, per inerzia o collusione attiva o passiva, dai poteri statuali». Tutto ciò, come detto, rende plausibile la «richiesta di protezione» presentata dall’uomo – su questo punto dovranno, ora, pronunciarsi i giudici della Corte d’Appello –, anche tenendo presente che la Nigeria presenta «una pluralità di zone o regioni ‘critiche’». In questa ottica, i giudici di secondo grado dovranno valutare la «situazione individuale» e la «situazione oggettiva», anche verificando «la capacità di fronteggiare la violenza diffusa, individuale e collettiva, da parte delle autorità federali e statuali».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 16 aprile – 7 luglio 2014, numero 15466 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Bologna, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposto dal cittadino nigeriano E.E., in riforma della decisione del giudice di primo grado di riconoscimento della protezione sussidiaria. A sostegno della decisione assunta ha affermato a le dichiarazioni del richiedente erano inattendibili. Egli aveva infatti riferito dell'uccisione del fratello minore e dei genitori dal 2008 al 2010 a Jos, del suo credo cristiano e della violenza nell'area in oggetto ma il racconto risultava caratterizzato da numerose contraddizioni ed in particolare dal tentativo di adattare le risposte alle domande formulate. L'area geografica di provenienza, inoltre, non corrispondeva a quella risultante dalla patente di guida la giustificazione fornita al riguardo era contraddittoria ed insoddisfacente. b I difetti di credibilità erano stati riscontrati anche dal Tribunale c A fronte di dichiarazioni contraddittorie, inidonee a fornire la prova della personalizzazione del rischio in capo al richiedente dovevano ritenersi insufficienti le produzioni documentali relative alla situazione generale ed era superfluo attivare il potere istruttorio officioso. d La protezione sussidiaria richiedeva un rischio diretto che non era stato dimostrato. Non poteva ritenersi sufficiente provenire da un paese pericoloso ma occorreva che l'incolumità personale fosse individualmente, concretamente e gravemente minacciata senza possibilità di efficace tutela interna. Tale aspetto era risultato, secondo la Corte d'Appello del tutto carente, dal momento che il richiedente non aveva dimostrato di provenire da una zona violenta dal momento che il documento allegato patente di guida conteneva indicazioni diverse. e Le fonti esaminate evidenziavano che non tutta la Nigeria era violenta ed in particolare nulla era indicato rispetto a Lagos, luogo di residenza anagrafica risultante dalla predetta patente. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidato a quattro motivi. Motivi della decisione Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli articolo 3 e 5 del d.lgs numero 251 del 2007 per non avere la Corte d'Appello applicato nella specie il principio dell'onere probatorio attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza numero 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti nell'articolo 3 comma 5 del d.lgs numero 251 del 2007. In particolare è stato rilevato che il ricorrente ha formulato tempestivamente la domanda di protezione internazionale compiendo ogni ragionevole sforzo per circostanziarla. Ha spiegato di essere cristiano, di aver frequentato la locale Chiesa Cristiana situata nel villaggio di Dutse Uku nell'area di Jos, teatro di numerose azioni di guerriglia e violenza di aver perso il fratello minore ed i genitori in due di questi scontri. Le dichiarazioni rese hanno trovato riscontro nella documentazione relativa alla situazione generale in Nigeria. Le contraddizioni riferite sono state frutto di meri errori materiali e non perfetta aderenza di quanto dichiarato con quanto tradotto e verbalizzato. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione degli articolo 4 e 10 del d.lgs numero 25 del 2008 per avere il cittadino straniero fin dall'audizione davanti la Commissione territoriale avuto difficoltà comprensione dell'interprete presente che era di nazionalità bengalese e non parlava l'inglese nigeriano pidgin o broken english . La circostanza era stata rappresentata davanti al giudice di primo grado. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell'articolo 14 lettera c del d.lgs numero 251 del 2007 per non avere la Corte d'Appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07, meglio conosciuta come E. Secondo l'interpretazione della Corte quando la situazione del paese sia fuori del controllo delle autorità statuali sotto il profilo del controllo della violenza non è necessaria l'individualizzazione della minaccia o del pericolo in quanto desumibili dalla situazione oggettiva. In Nigeria secondo il ricorrente la situazione è caratterizzata dall'esistenza generalizzata di aspri e violenti conflitti di carattere etnico-religioso in continua evoluzione e diffuso in tutto il territorio nazionale come risultante da numerosi siti e da notizie di stampa. Con il quarto motivo è stata dedotta l'omessa motivazione sulla domanda di asilo costituzionale formulata fin dal primo grado dal ricorrente. Si ritiene di dover affrontare congiuntamente il primo ed il terzo motivo in quanto logicamente connessi. Al riguardo deve evidenziarsi che la Corte di Giustizia, sentenza numero 172 del 2009 caso E. contro Paesi Bassi, nonché la più recente 30/1/2014 caso Diakitè numero 285 del 2012 con riferimento alla definizione di conflitto armato interno ha stabilito che l'ipotesi di protezione sussidiaria, contenuta nell'articolo 14 lettera c e riguardante la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale non è subordinata alla condizione che quest'ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale - l'esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia . Il principio esposto dalla Corte di giustizia ha trovato puntuale applicazione in situazione di pericolo oggettivo derivante da violenza indiscriminata perché non controllata dalle autorità statuali in Cass. 8281 del 2013. Non è necessario, alla luce dei principi esposti, cui i giudici italiani sono vincolati attraverso l'obbligo d'interpretazione conforme, che il richiedente asilo rappresenti una condizione caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio quando è possibile evincere dalla situazione generale del paese che la violenza è generalizzata e non controllata, per inerzia o collusione attiva o passiva, dai poteri statuali. Al fine di escludere la protezione sussidiaria nell'ipotesi sub c del citato articolo 14 sono, pertanto necessarie due condizioni una oggettiva riguardante l'area di appartenenza o l'intero paese, l'altra soggettiva riguardante la condizione personale. La prima deve essere caratterizzata dal riscontro rigoroso dell'effettività del controllo delle situazioni e degli episodi di violenza collettiva o privata quando caratterizzata da frequenza quotidiana o da cadenze temporalmente significative da parte delle autorità statuali la seconda che il rientro esponga il cittadino straniero al pericolo per la sua incolumità fisica o psichica pur se non ricollegabile in via diretta e causale alla condizione soggettiva narrata. Partendo da queste premesse deve osservarsi che l'esame della situazione oggettiva con riferimento all'esclusione di una condizione di pericolo dovuta a violenza diffusa e non controllata o controllabile dalle autorità statuali non è stato effettuato in modo sufficientemente adeguato nella sentenza impugnata. E' mancato, a fronte di una incontestata situazione di violenza indiscriminata in diverse aree e regioni della Nigeria, l'effettiva individuazione della zona di provenienza del ricorrente ed un esame rigoroso dell'intervento delle autorità statuali in Nigeria sulle situazioni di violenza diffusa. A questa ultima indagine officiosa il giudice del merito è tenuto, in particolare quando esclude la misura di protezione internazionale, ex articolo 8 d.lgs numero 25 del 2008. La misura di protezione internazionale è stata negata sul rilievo che non in tutto il paese d'origine del richiedente la situazione sarebbe caratterizzata da violenza indiscriminata. In particolare la carenza d'indagine e la conseguente violazione del citato articolo 8 si coglie dalla genericità delle informazioni relative alla condizione generale della Nigeria pag. 4 della sentenza impugnata e dalla mancanza di una seria confutazione dell'accertamento contrario compiuto dal giudice di primo grado. Peraltro la mancanza di una indicazione alternativa dell'effettiva area o regione di provenienza del richiedente, non individuata neanche nella città di Lagos dalla sentenza impugnata, priva di sostegno l'affermazione relativa alla necessità di verificare se il cittadino straniero provenga effettivamente da una zona rientrante nel parametro dell'articolo 14 lettera c del d.lgs numero 251 dei 2007, soprattutto con riferimento ad una nazione, come la Nigeria, in cui, quanto meno, deve riconoscersi che vi sono una pluralità di zone o regioni critiche . Al fine di rientrare nell'ambito di applicazione del citato articolo 14, lettera c non è, in conclusione, necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo per la propria incolumità, essendo sufficiente 1 tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa e indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto dalle autorità statuali. Le individuate contraddizioni soggettive non escludono questo nesso causale più ampio mentre la mancanza di un'indagine officiosa sull'effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità federali e statuali in Nigeria è frutto della violazione dell'articolo 8 e dell'articolo 14, lettera c d.lgs numero 251 del 2007. Il giudice di merito dovrà pertanto valutare la situazione individuale alla luce dei principi delle sentenze della Corte di Giustizia Cass.6503 del 2014 sopra citate e la situazione oggettiva alla luce dei criteri sopra precisati, determinando l'area di provenienza ed in mancanza, verificando la capacità di fronteggiare la violenza diffusa individuale e collettiva da parte delle autorità federali e statuali. Anche il quarto motivo merita accoglimento. Alla luce dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, l'asilo costituzionale può dirsi attuato mediante il sistema pluralistico delle misure di protezione internazionale presenti nel nostro ordinamento rifugio politico, protezione sussidiaria e protezione umanitaria. Afferma la Corte Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, numero 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui all'articolo 5, comma sesto, del d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all'articolo 10, terzo comma, Cost., in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all'esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione. Cas. Ord. 10686 del 2012 . Nella sentenza impugnata è mancato del tutto l'esame della sussistenza dei requisiti di quest'ultima misura, ancorché espressamente prevista dall'articolo 5, comma sesto, del d.lgs numero 286 del 1998 e 34 d.lgs 251 del 2007. Si tratta del riconoscimento da parte delle Commissioni territoriali o del giudice del merito dell'esistenza di situazioni vulnerabili non rientranti nelle misure tipiche o perché aventi il carattere della temporaneità o perché vi sia un impedimento al riconoscimento della protezione sussidiaria, o, infine, perché intrinsecamente diverse nel contenuto rispetto alla protezione internazionale ma caratterizzate da un'esigenza qualificabile come umanitaria problemi sanitari, madri di minori etc . Il permesso uanitatio è una misura atipica e residuale idonea ad integrare l'ampiezza del diritto d'asilo costituzionale così come definito dall'articolo 10 Cost. Alla domanda di riconoscimento dell'asilo costituzionale, alla luce della qualificazione del medesimo stabilita dalla giurisprudenza di legittimità, deve, pertanto, conseguire l'indagine sull'esistenza di una situazione vulnerabile idonea a integrare il permesso umanitario. Il secondo motivo deve invece ritenersi inammissibile non essendo stata adeguatamente indicata la differenza tra la lingua inglese parlata dal ricorrente e quella dell'interprete. In conclusione, deve essere rigettato il secondo motivo ed accolti gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello perché si attenga ai principi di diritto enunciati e provveda alla liquidazione delle spese del presente procedimento. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo, terzo, quarto motivo. Rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del procedimento di legittimità.