Cantiere navale: un anno di preavviso per recedere

Il giudice determina in un anno il termine del preavviso per recedere dall’associazione in partecipazione e, trattandosi della gestione di un cantiere, questo non appare certo abnorme.

E’ quanto emerger dalla sentenza n. 17468/13 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 17 luglio. Il caso. Una società a r.l. che si occupa di cantieri navali conveniva in giudizio una s.n.c. per ottenere la risoluzione del rapporto contrattuale pendente tra le parti e l’accertamento dell’inesistenza di altrui diritti sulla propria azienda e sull’area demaniale marittima concessale, adibita a scalo di alaggio e cantiere di riparazioni. Il Tribunale, qualificato il rapporto negoziale come associazione in partecipazione, lo dichiarava risolto per inadempimento della società convenuta, accertando l’inesistenza di alcun suo diritto sull’azienda e sull’area demaniale marittima. La Corte di appello adita, invece, dichiarando risolto il contratto per inadempimento della società a r.l., la condannava al pagamento di oltre 21mila euro. Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione. Un anno di preavviso di recesso. La S.C. respinge in toto il ricorso e precisa che, in tema di recesso da un rapporto associativo, la durata del preavviso, quando non fissata legislativamente, deve essere determinata dal giudice in relazione all’oggetto e alla natura del contratto . Nessuna analogia con i contratti di società personale. Nella specie, trattandosi di un rapporto di associazione in partecipazione che investiva la gestione di un cantiere, con l’impiego di mezzi ingenti anche da parte dell’associato, non appare abnorme – affermano gli Ermellini – il termine di un anno determinato dal giudice, con valutazione palesemente equitativa .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 maggio – 17 luglio 2013, n. 17468 Presidente Rordorf – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 10 luglio 1993 la CANTIERE NAVALE DI CAMOGLI s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Genova la S.A.V. di Davide Picasso & amp C. s.n.c. per ottenere la risoluzione del rapporto contrattuale pendente tra le parti e l'accertamento dell'inesistenza di altrui diritti sulla propria azienda e sull'area demaniale marittima concessale, adibita a scalo di alaggio e cantiere di riparazioni. Costituitasi ritualmente, la S.A.V. chiedeva il rigetto della domanda e in via riconvenzionale la condanna al risarcimento dei danni da perdita del possesso del cantiere con risoluzione del contratto per l'altrui inadempimento ed il risarcimento del danno. Con sentenza 2 novembre 1999 il Tribunale di Genova, qualificato il rapporto negoziale come associazione in partecipazione, lo dichiarava risolto per inadempimento della società convenuta, accertando l'inesistenza di alcun suo diritto sull'azienda e sull'area demaniale marittima. Condannava altresì la S.A.V. al pagamento della somma di lire 15 milioni, oltre alla rifusione delle spese di giudizio. Il successivo gravame era accolto dalla Corte d'appello di Genova che, con sentenza non definitiva 18 marzo 2003 dichiarava risolto il contratto per inadempimento dell'assodante Cantiere Navale di Camogli e con sentenza definitiva 31 marzo 2006 condannava quest'ultima al pagamento della somma di Euro 21.271,83, oltre rivalutazione monetaria ed interessi meglio precisati in motivazione nonché della somma di Euro 7746,85, con gli interessi legali dalla domanda e la rifusione delle spese di giudizio. Motivava - che il danno risarcibile derivava dalla risoluzione del contratto di associazione in partecipazione senza preavviso e riguardava anche il lucro cessante, pari alla quota di utile che si sarebbe potuta ricavare nel detto periodo di preavviso - che tale pregiudizio doveva essere liquidato sulla base degli accertamenti della consulenza tecnica d'ufficio e dava luogo ad un credito di valore, suscettibile di rivalutazione e produttivo di interessi - che era pure dovuto il rimborso delle spese effettuate dalla Sav per la riattivazione dello scalo divenuto inagibile a seguito di una frana, in forza di un contratto di appalto - che non era sufficiente a dimostrare l'estinzione del credito della Sav, per compensazione, il riconoscimento, in sede di interrogatorio formale reso dal legale rappresentante della Sav di un debito di lire 5.800.000 nei confronti della Imprese marittime s.r.l., precedente titolare del cantiere e della concessione amministrativa, e di altro debito di lire 15 milioni nei confronti della Cantiere navale di Camogli s.r.l. che ne aveva rilevato l'intero capitale sociale mancando un'indicazione del titolo di tali obbligazioni e della loro natura di saldo finale nei rapporti di dare e avere tra le parti - che il teste escusso in grado d'appello aveva confermato i lavori eseguiti dalla Sav per il riassetto edile e tecnico del cantiere. Avverso la sentenza, non notificata, la Cantiere navale di Camogli s.r.l. proponeva ricorso per cassazione affidato a sette motivi e notificato il 14 maggio 2007. Deduceva 1 la falsa applicazione dell'articolo 278 cod. proc. civ. e la carenza di motivazione per avere liquidato il danno da omesso preavviso, nonostante il difetto di prova della sua effettiva sussistenza, sulla base della sola sentenza non definitiva che aveva accertato la mancata concessione del preavviso 2 la violazione degli articoli 24, 2285 e 2526 cod. civ. e dei principi in materia di recesso da rapporto associativo, nonché la carenza di motivazione nel determinare il termine di un anno, eccessivo, ai fini del preavviso omesso 3 la carenza e contraddittorietà della motivazione della condanna della Navale Cantieri di Camogli s.r.l. al pagamento della somma di Euro 7746,85 a titolo di rimborso di spese per la riattivazione dello scalo, nonostante l'esclusione di una cessione di azienda dalla Imprese marittime s.r.l. alla Cantieri di Camogli s.r.l. 4 la carenza di motivazione e la violazione dell'articolo 1997 cod. civ. nel diniego di valore confessorio alla dichiarazione di debito resa in sede di interrogatorio formale dal legale rappresentante della Saab 5 la carenza di motivazione nell'accertamento delle credito del corrispettivo dei lavori di riattamento dello scalo 6 la contraddittorietà della motivazione nel ritenere dovuta alla Sav la metà della somma di lire 30 milioni versata dalla società San Giorgio alla cantiere navale di Camogli per l'allestimento di una goletta 7 la carenza di motivazione e la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. nell'omesso riconoscimento del credito di lire 15 milioni di cui pure avevano dato atto sia la sentenza non definitiva, che quella definitiva Resisteva con controricorso la SAV s.r.l Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa ex articolo 378 cod. proc. civile. All'udienza del 15 maggio 2013 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Il primo motivo è inammissibile per assoluta inadeguatezza del quesito di diritto, del tutto generico e disancorato dai fatti concreti di causa Se la pronunzia della risoluzione di un contratto per inadempimento della condanna generica della parte inadempiente al risarcimento del danno importi di per sé accertamento della concreta esistenza del danno stesso, ovvero se l'esistenza del danno deve essere accertata nel successivo giudizio di liquidazione . Al riguardo, premesso che il requisito di cui all'articolo 366 bis cod. proc. civ. si applica ai ricorsi proposti avverso provvedimenti pubblicati a far data dal 2 marzo 2006, senza che abbia alcun rilievo la data di notifica del provvedimento da impugnare Cassazione civile, sez. 3, 5 giugno 2007, n. 13067 , si osserva come il requisito sia tuttora applicabile, ratione temporis , per i ricorsi proposti prima della sua abrogazione per effetto della legge 18 giugno 2009, n. 69. Non solo perché alla stregua del principio generale di cui all'articolo 11, comma primo, disp. sulla legge in generale, in mancanza di espressa disposizione contraria, la norma non dispone che per l'avvenire e non ha effetto retroattivo avendo l'abrogazione solo l'effetto di porre un limite temporale finale alla sua vigenza ma anche in virtù della disposizione specifica di cui all'articolo 58, quinto comma, della citata legge 69/2009, secondo cui lo jus superveniens si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge 4 luglio 2009 con la conseguenza che per quelli antecedenti dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40 e cioè, dal 2 marzo 2006 la formulazione del quesito di diritto per ogni singola censura è ancora richiesta a pena di inammissibilità Cass., sez.3, 24 marzo 2010, n. 7119 Cass., sez. 2, 27 settembre 2010, n. 20.323 . Con il secondo motivo si censura la violazione di legge in tema di recesso da un rapporto associativo, nonché la carenza di motivazione nel determinare il termine eccessivo di un anno ai fini del preavviso omesso. Il motivo è infondato. La durata del preavviso, quando non fissata legislativamente, deve essere determinata dal giudice in relazione all'oggetto e alla natura del contratto. Nella specie, trattandosi di un rapporto di associazione in partecipazione che investiva la gestione di un cantiere - e quindi, l'impiego di mezzi ingenti anche da parte dell'associato - non appare abnorme il termine di un anno determinato dal giudice, con valutazione palesemente equitativa. Del tutto impropri si manifestano i richiami analogici ai contratti di società personale, o addirittura alla normativa delle associazioni riconosciute, privi come sono dell'allegazione delle specifiche previsioni del contratto di associazione in partecipazione stipulato tra le parti. Inammissibile per violazione dell'articolo 366 bis cod. proc. civ. appare il terzo motivo, con cui si denunzia la carenza e contraddittorietà della motivazione della condanna al rimborso delle spese per la riattivazione dello scalo. In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore del d.lg. 40/2006 e impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, l'illustrazione di ciascun motivo deve precisare, a pena d'inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. La relativa censura deve dunque contenere un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Cass., sez. III, 20 febbraio 2008, n. 4309 sintesi, che non può identificarsi con l'illustrazione del relativo motivo di ricorso, dovendo risolversi in un quid pluris - omesso dalla ricorrente - che consenta al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso Cass., sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897 . Eguale ragione di inammissibilità palesa il quarto motivo, relativo al diniego di alcun valore confessorio alla dichiarazione di debito. Il quesito è infatti del tutto astratto Se il riconoscimento di debito costituisca prova del debito contrastabile solo da prova contraria ovvero costituisca elemento di prova liberamente apprezzabile dal giudice anche a prescindere dal rilievo che nella parte espositiva si parla di confessione, e cioè di una prova legale e non di semplice ricognizione del debito. Anche il quinto motivo è inammissibile. Oltre a mancare del momento di sintesi richiesto dall'articolo 366 bis cod. proc. civile, la censura si risolve in un sindacato di merito che non può trovare ingresso in questa sede. Il sesto motivo, con cui si denunzia il vizio di motivazione e la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. nell'omesso riconoscimento del credito di lire 15 milioni, difetta del quesito di diritto e del momento di sintesi articolo 366 bis cod. proc. civ. . Eguale inammissibilità mostra l'ultima doglianza, assistita da un quesito manifestamente inidoneo, per la sua genericità Se il giudice deve pronunziare su tutte le domande delle parti ovvero può omettere di pronunziare su una o più domande . Il ricorso è dunque infondato e va respinto con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per esborsi.