Omonimia, errore del Comune: avviso di garanzia alla persona sbagliata. Riconosciuto il risarcimento

Danno evidente all’uomo che, per una clamorosa svista dell’ente pubblico, si è visto recapitare erroneamente un avviso di garanzia. Sufficiente la ‘certificazione’ della consulenza tecnica d’ufficio sull’aggravamento del pregresso stato psico-patologico dell’uomo. Risarcimento però contenuto dai 250mila euro in primo grado ai 16mila euro fissati in secondo grado.

Clamoroso errore del Comune, legato, oltre che a una evidente disattenzione, anche alla omonimia di due cittadini in merito ad alcune indagini, alla Procura della Repubblica del Tribunale vengono trasmessi, sbagliando, i dati anagrafici della persona errata, ciò perché ha identici nome e cognome della persona effettivamente coinvolta nell’inchiesta. Conseguenze? Facili da immaginare alla persona estranea alla vicenda viene notificato un avviso di garanzia. Ripercussioni personali? Altrettanto facili da immaginare e sintetizzate in un aggravamento del pregresso stato psico-patologico dell’uomo. Tutto ciò, come detto, per l’errore del Comune, condannato a provvedere ad adeguato risarcimento del danno a favore della persona destinataria, senza alcuna ragione, di un avviso di garanzia. Corte di Cassazione, ordinanza numero 11814, sez. VI Civile, depositata oggi . Danno. In prima battuta la defaillance del Comune è valutata in maniera assai severa difatti, i giudici riconoscono all’uomo – «iscritto» ingiustamente «nel registro degli indagati», con tanto di «avviso di garanzia» – un «risarcimento del danno» pari a 250mila euro. Molto più contenuto, invece, il quantum fissato in secondo grado «risarcimento» sì, ma di soli 16mila euro. Per i giudici d’Appello, difatti, non vi è alcun dubbio sul «comportamento colposo» del Comune, e sul consequenziale «danno» subito dall’uomo, «consistente nell’aggravamento del» suo «pregresso stato psico-patologico». Allo stesso tempo, però, vanno tenuti in debito conto elementi come il «breve lasso di tempo soli sedici giorni intercorso fra l’iscrizione nel registro degli indagati e la rettifica operata dalla Procura» e la «natura dei reati contestati lesioni personali e danneggiamento » ciò conduce, come detto, a ridurre il «risarcimento del danno». Risarcimento. Ma la ‘vittoria’ ottenuta in Corte d’Appello rappresenta l’apice per il Comune, che vede respinta, in Cassazione, la propria richiesta di mettere in discussione, in toto, il «risarcimento» riconosciuto a favore dell’uomo. Secondo i legali del Comune, in sostanza, manca la «prova» della «sussistenza del nesso di causalità fra il fatto» – ossia l’errata comunicazione alla Procura della Repubblica del Tribunale – e il «danno psico-fisico lamentato» dall’uomo. Ma tale obiezione è valutata come risibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, perché, viene spiegato, il «nesso di causalità fra il comportamento colposo» del Comune ed il «danno» subito dall’uomo è stato provato, legittimamente, attraverso l’«espletamento della consulenza tecnica d’ufficio». Tale approfondimento, difatti, ha certificato la «pregressa esistenza dello stato psico-patologico» dell’uomo e il suo «aggravamento», provocato dalla assurda vicenda vissuta. Tutto ciò rende inutili ulteriori «elementi documentali a conferma della diagnosi», spiegano i giudici, confermando il quantum del «risarcimento» a favore dell’uomo, così come stabilito in Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 25 febbraio – 27 maggio 2014, numero 11814 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano Fatto e diritto E' stata depositata la seguente relazione 1 La Corte d'Appello di Bari, con sentenza del 21.4.2011, ha parzialmente accolto l'appello proposto dal Comune di San Ferdinando di Puglia contro la sentenza di primo grado, che aveva condannato l'appellante a pagare a F.F. la somma di € 250.000, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno da questi subito per essere stato iscritto nel registro degli indagati ed aver ricevuto la notifica di un avviso di garanzia a causa del comportamento colposo dell'ente locale, che aveva trasmesso alla Procura della Repubblica del Tribunale di Foggia i suoi dati anagrafici, anziché quelli del suo omonimo effettivamente coinvolto nell'indagine penale. La corte territoriale, rilevato che i fatti posti a fondamento della domanda erano provati e che il ctu aveva accertato la sussistenza del nesso di causalità fra gli stessi ed il danno lamentato, consistente nell'aggravamento del pregresso stato psicopatologico del F., ha ritenuto fondati i motivi con i quali il Comune aveva lamentato l'eccessivo ammontare del danno liquidato. Pertanto, tenuto conto del breve lasso di tempo di soli 16 giorni intercorso fra l'iscrizione del leso nel registro degli indagati e la rettifica operata dalla Procura e della natura dei reati che gli erano stati contestati lesioni personali e danneggiamento per aver dato uno schiaffo ad un conoscente, procurandogli la rottura degli occhiali , ha liquidato il danno, in via equitativa, nella misura di € 16.000 oltre rivalutazione ed interessi dalla data della domanda. La sentenza è stata impugnata dal Comune di san Ferdinando di Puglia con ricorso per cassazione affidato a due motivi. F.F. non ha svolto attività difensiva. 2 Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione dell'articolo 2697 c.c. e vizio di motivazione e lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che non v'era alcuna prova della sussistenza del nesso di causalità fra il fatto contestato ed il danno psicofisico lamentato dal F., non potendo tale prova, in mancanza di qualsivoglia certificazione medica prodotta dal leso, essere tratta unicamente dalla disposta ctu. 3 Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver il giudice d'appello dapprima affermato che nella specie la ctu, che non poteva esonerare la parte dall'onere della prova dei fatti dedotti, era servita soltanto a fornire le cognizioni tecniche necessarie alla valutazione del danno reclamato, ed aver successivamente desunto proprio da tale ctu la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta del Comune e la malattia insorta. I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, appaiono infondati, se non inammissibili. Infatti la ricorrenza del nesso di causalità fra il comportamento colposo del Comune ed il danno lamentato dal F. ben poteva essere provato attraverso l'espletamento della ctu, atteso che tale mezzo di indagine è tipicamente volto a soccorrere il giudicante nell'accertamento di fatti che richiedano la conoscenza di specifici dati tecnici fra i quali indubbiamente rientrano gli accertamenti concernenti l'aggravamento di una pregressa malattia e le cause o le concause che lo abbiano provocato . L'adesione della corte territoriale alle conclusioni assunte dal ctu in ordine alla ricorrenza del nesso eziologico non contrasta pertanto con l'affermazione dell'utilità dell'indagine al fine dell'acquisizione delle cognizioni tecniche necessarie alla valutazione del danno. Il giudice del merito, peraltro, con accertamento che non è stato specificamente contestato dal ricorrente, non ha mancato di rilevare che non era stata sollevata alcuna censura in ordine all'affermata, pregressa esistenza dello stato psicopatologico del F. né in ordine al suo aggravamento ed ha dunque correttamente concluso che, poiché la malattia era stata riscontrata in via diretta dal consulente, non erano necessari elementi documentali a conferma della diagnosi. Il Comune, d'altro canto, non ha richiamato in ricorso i rilievi critici eventualmente svolti per contrastare le conclusioni del ctu, né si è doluto che la corte territoriale abbia ad esse aderito, ritenendole sorrette da un corretto metodo di indagine e da motivazioni condivisibili. Si propone pertanto che il ricorso sia rigettato con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli articolo 375 numero 1 e 5 e 380 bis c.p.c. Il ricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni. Il ricorso deve pertanto essere respinto. Non v'è luogo alla liquidazione delle spese in favore della parte intimata, che non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.