Revocabile la sentenza della Suprema Corte, con cui si è annullata senza rinvio una decisione di condanna, se essa si fonda su un errore materiale

Può la Corte di Cassazione annullare ex post una propria decisione, favorevole al reo, in presenza di un errore materiale, potendo così confermare irrevocabilmente la legittimità della decisione di condanna prima cassata? La risposta fornita nella decisione in commento è positiva

E, francamente, il tutto non può che scoraggiare e preoccupare poiché in tal modo si è operato un incredibile sovvertimento della funzione della procedura di correzione dell’errore materiale ex articolo 130 c.p.p. e della ragion d’essere stessa della Suprema Corte. I valori in gioco sono fondamentali, ma per comprendere il tutto è bene non prescindere dal caso e dalle sue peculiarità. Il caso. In un primo tempo la sezione V Penale aveva annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello per incompetenza per materia, in quanto per i reati per cui si procedeva riduzione in schiavitù ex articolo 600 c.p. la competenza, ratione temporis , doveva essere devoluta alla Corte d’assise. Qualche giorno dopo, il consigliere relatore chiedeva di attivare la procedura per errore materiale perché la decisione si era fondata su una errata percezione della data di commissione dei fatti gli stessi non risalivano, cioè, al 16 novembre 2010 data di pronuncia della sentenza di secondo grado ma, invero, all’ottobre 2008. Dato l’evidente errore, che aveva avuto un indubbio effetto sulla prima decisione, la Corte di cassazione ha ritenuto che lo stesso potesse essere emendato tramite la procedura ex articolo 130 c.p.p. e che l’eventuale annullamento della decisione precedente non potesse di per sé essere escluso dal mancato esperimento del ricorso straordinario ex articolo 625- bis c.p.p. ove, come nel caso di specie sic! , ciò si renda necessario per «consentire la correzione degli errori di fatto contenuti in decisioni adottate in violazioni dei diritti dell’imputato e che sarebbero altrimenti irrevocabili». Più precisamente, l’Alta corte, pur dando atto del fatto che in ogni caso la procedura ex articolo 625- bis c.p.p. non poteva comunque esperirsi, posto che non si è avuto un rigetto e/o una dichiarazione di inammissibilità di una sentenza di condanna, ciò non di meno ha ritenuto di poter opportunamente integrare la procedura di cui all’articolo 130 c.p.p. con i principi in tema di ricorso straordinario, poiché alla decisività dell’errore si è accompagnata la compressione del «diritto, costituzionalmente garantito, degli imputati di essere giudicati dal giudice naturale precostituito per legge» ed ha conseguentemente «esposto i ricorrenti ai rischi connessi alla celebrazione di un nuovo giudizio». Del resto - così ha argomentato conclusivamente la Sezione della Cassazione richiamandosi, non del tutto pertinentemente, ad alcuni principi espressi dalle Sezioni unite – una volta riscontrato l’errore «la corte deve adottare i provvedimenti necessari per correggere l’errore, provvedimenti che vanno individuati di volta in volta in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni processuali». Nel caso di specie, «l’unica correzione possibile consiste nella revoca della decisione» in precedenza assunta e nella successiva discussione nel merito del ricorso a suo tempo presentato e, conclusivamente, nella conferma della condanna di appello. Con questa sentenza si è fatto un uso improprio di principi ormai superati da tempo. E tutto per poter emendare un errore causato dal fatto di aver trattato «numerosi ricorsi in una sola udienza», errore che in ogni caso non precludeva affatto alcun nuovo giudizio nel merito. E’ noto che prima dell’introduzione dell’articolo 625- bis c.p.p. si era sentita la necessità di estendere oltre misura la portata dell’articolo 130 c.p.p., in quanto era capitato e capita tutt’ora che la Corte di cassazione fondasse la conferma della decisione di condanna sopra dati erronei e comunque su percezioni non corrette degli atti processuali. Del resto, anche i giudici supremi sono uomini ed anch’essi, come tutti i mortali, possono sbagliare o distrarsi. Da qui l’esigenza di introdurre il ricorso straordinario ex articolo 625- bis c.p.p., ricorso i cui presupposti sono stati sempre strettamente intesi e che è allo stato l’unico rimedio proposto dall’ordinamento per sindacare una decisione della Corte suprema, altrimenti intangibile. E’ infatti da escludere l’applicabilità di tale istituto al di fuori dei casi ivi contemplati, poiché detto ricorso «ha carattere tassativo e non è suscettibile di interpretazione analogica», sicché esso è proponibile solo dal condannato e dal Procuratore generale ed ha esclusivamente per oggetto « il sindacato delle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna » vedi Cass. Penumero Sez. III sentenza numero 43697/2011 . Vi sono, invero, delle assonanze tra l’errore di fatto ex articolo 625- bis c.p.p. e quello materiale ex articolo 130 c.p.p., posto che per entrambi, «qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio» come tale posto al di fuori dei due rimedi Cass. Penumero Sez. unite sentenza numero 37505/2011 . Ma è pur vero che tali istituti sono connotati da finalità tra loro inconciliabili. Diversamente dall’articolo 625- bis c.p.p., l’articolo 130 c.p.p. non permette alcun annullamento e, a maggior ragione, alcuna revoca d’ufficio della decisione ‘sbagliata’ letteralmente, infatti, tale ultima norma permette semplicemente la correzione a condizione che l’eliminazione degli errori e delle omissioni «non comporta una modificazione essenziale dell’atto». Ciò spiega perché tale procedura possa essere disposta anche d’ufficio e perché la correzione si limita ad essere annotata sull’originale dell’atto, il quale, per ciò stesso, non perde la sua giuridica efficacia, la quale, anzi, è data per presupposta e permanente pur dopo il riconoscimento dell’errore. Di tale fondamentale aspetto, la Corte suprema si è in precedenza sempre fatta garante. Si è, infatti, chiaramente affermato che «le condizioni stabilite dall'articolo 130 c.p.p. per l'applicazione dell'istituto della correzione dell'errore materiale - e cioè che l'errore o l'omissione non devono determinare la nullità del provvedimento e nemmeno, una volta rimossi, una modificazione essenziale del suo contenuto - hanno una valenza generale e rappresentano il confine invalicabile per qualsiasi intervento correttivo ne consegue che anche per i provvedimenti della cassazione - che peraltro, proprio perché inoppugnabili, non possono contenere errori od omissioni capaci di determinarne la nullità - non è consentita una correzione che determini la modificazione essenziale del provvedimento, o che si risolva addirittura nella sostituzione della decisione già assunta» Cass. Penumero Sez. unite sentenza del 18 maggio 1994, Armati . Ed ancora si è detto che «non è consentito ricorrere alla procedura per la correzione degli errori materiali al fine di emendare gli errori di fatto in cui sia incorso il giudice in tal modo, infatti, verrebbe dato ingresso ad un mezzo volto non già ad un'emenda del testo della sentenza, ma ad una inammissibile modifica della decisione, in violazione del principio di definitività delle sentenze della Corte di cassazione nonché dei canoni imposti dall'articolo 130 c.p.p.» Cass. Penumero Sez. unite sentenza numero 19/1996 . Tali principi sono stati ribaditi e confermati pur dopo l’introduzione del ricorso straordinario, che peraltro forse è bene ricordarlo è stato concepito solo «a favore del condannato». Anche qui, più che eloquente, è la massima espressa dalle Sezioni unite penali con la decisione numero 16101 del 27 marzo 2012 secondo cui «non è consentito il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, prevista dall'articolo 130 c.p.p. per porre rimedio ad errori di fatto contenuti in provvedimenti della Corte di cassazione, emendabili soltanto a norma dell'articolo 625- bis dello stesso codice che disciplina l'unico rimedio esperibile per l'eliminazione di quest'ultimo tipo di errori». Come notato, la decisione de qua si pone in profondo ed insanabile contrasto con i principi sino ad oggi applicati in materia. Ma non è questo, come già accennato, il punto più preoccupante dopo tutto non è la prima né sarà l’ultima volta che si potrà riscontrare un contrasto giurisprudenziale, tanto più che ai giorni nostri la coerenza normativa è sempre più un dover essere e non un essere del sistema giuridico. Preoccupa e non poco, invece, l’assunto secondo cui un annullamento d’ufficio di una sentenza pro reo , a cui sia conseguita la conferma della sentenza di condanna, costituisca nel caso specifico un efficace rimedio che si è dovuto adottare per tutelare i diritti fondamentali dell’imputato. Il salto logico e la strumentalizzazione dei principi sono evidenti e non possono non essere denunciati. Da sempre si è enunciato dalla Suprema Corte l’esigenza di garantire il favor rei , per cui in effetti allorché la Corte si accorge dell’innocenza o comunque della non colpevolezza dell’imputato ben può impedire che si compia un’ingiustizia e, dunque, l’applicazione di una pena immeritata. Ciò, al di là di ogni retorica di stile, è pienamente conforme ai principi costituzionali ed è in perfetta assonanza con l’articolo 27 Cost Ma quid iuris nel caso in cui la Cassazione sbagli o, meglio, ritenga insindacabilmente di aver sbagliato una propria decisione, specie se favorevole al reo? Qui, dato il principio che vieta al giudice di procedere d’ufficio, tutto dovrebbe risiedere nell’istanza di parte e nei mezzi che l’ordimento mette a disposizione per l’emenda. Se, quindi, si viola il principio di tassatività delle impugnazioni e soprattutto quello della domanda, il giudice di legittimità diventa giudice supremo di se stesso o, per meglio dire, sovrano ed arbitro arbitrario delle proprie decisioni. Ben si potrà dire che in fondo un pericolo di distorsione dei poteri non c’è e che, essendoci un Collegio di altri magistrati, eventuali strumentalizzazioni non sono seriamente ipotizzabili, tanto più che dopo tutto gli imputati, nel caso de quo , erano comunque colpevoli di reati odiosi ed infami. E’ però evidente che con un tal modo di ragionare si annullerebbe il senso del processo di parti, che costituisce la natura prima del processo accusatorio, e si legittimerebbe il passaggio in giudicato di una condanna a mezzo di una decisione ingiusta o, se si preferisce, illegittima della Suprema Corte. Nello Stato liberale e costituzionale, non importa tanto che si giunga ad una condanna ma il modo in cui si giunge a condannare. Non si può, quindi, banalizzare o rendere, nei fatti, evanescente questo principio, né si può accettare che si dica che lo sviamento della procedura, a cui è seguita immediatamente la conferma della condanna, è stato fatto per tutelare i diritti fondamentali dell’accusato. Diversamente, al di là di ogni affermazione di circostanza, dovrebbe prendersi atto della definitiva disgregazione del nuovo Codice di procedura penale e del suo spirito innovatore. Ma forse tutto ciò è già avvenuto da tempo e ci manca solo il triste ed amaro coraggio di ammetterlo a viva voce.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 aprile – 29 maggio 2012, numero 20724 Presidente Ferrua – Relatore Marasca In fatto ed in diritto 1 Il fatto e le decisioni di merito 1.1. Z.Z. , Z.G. , rispettivamente padre e figlio, e C.Y. , moglie del secondo, venivano accusati di avere utilizzato nella loro azienda produttrice di maglieria tre lavoratori cinesi, L.D. , C.X.S. e C.H. , poi costituitisi parti civili nel processo contro di loro, ridotti in condizioni di servitù e Z.G. e C.Y. anche di tentata estorsione in danno di Zo.Qi. , zia di C.H. , per avere richiesto a quest'ultima con minacce la somma di diciassettemila Euro per liberare la nipote. 1.2. Per tali fatti gli imputati venivano condannati alle pene ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili costituite, per i reati di cui agli articolo 600 e 56-629 cod. penumero dal tribunale di Modena con sentenza del 21 ottobre 2009, decisione confermata dalla corte di appello di Bologna il 10 gennaio 2011. 1.3. L'affermazione di responsabilità era fondata essenzialmente sulle dichiarazioni della testimone Zo.Qu. , parte lesa del delitto di tentata estorsione, e su quelle delle parti lese del delitto di cui all'articolo 600 cod. penumero , oltre che sulle testimonianze degli agenti intervenuti, che avevano riferito sull'esito degli accertamenti eseguiti. 1.4. Per quanto riguarda la parte lesa L.D. il tribunale aveva acquisito agli atti del dibattimento ai sensi dell'articolo 500, comma 4 cod. proc. penumero il verbale di sommarie informazioni rese dalla stessa nella fase delle indagini preliminari sussistendo elementi concreti che consentivano di ritenere che la testimone fosse stata sottoposta a minacce. 2. Il ricorso per cassazione. 2.1. Con il ricorso per cassazione i tre imputati deducevano a la violazione dell'articolo 606 lettera e cod. proc. penumero per manifesta illogicità della motivazione in relazione alla eccepita mancata corrispondenza tra la condotta posta a fondamento della sentenza di condanna di primo grado, che aveva parlato di approfittamento di una situazione di inferiorità o di necessità delle persone offese, e le condotte di violenza e minaccia contestate agli imputati b la violazione dell'articolo 606 lettera e cod. proc. penumero per contraddittorietà della motivazione con riferimento al ritenuto condizionamento emotivo della testimone L.D. , non essendo ravvisabili concreti elementi di minacce esplicite o implicite intervenute in danno della testimone. 3 La questione della competenza per materia. 3.1. Il ricorso era chiamato per la decisione alla udienza del giorno 11 gennaio 2012 e la corte di legittimità, prima di esaminare il merito della vicenda e valutare la fondatezza o meno dei motivi di ricorso, riteneva necessario verificare la questione della competenza per materia, anche se il problema non aveva costituito oggetto dei motivi di ricorso, perché, come è noto, la incompetenza per materia è rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo. 3.2. Questa Corte, in modo giuridicamente corretto, esaminava la successione delle leggi nel tempo che avevano assegnato la competenza per materia in ordine al reato di cui all'articolo 600 cod. penumero dapprima alla corte di assise, poi al tribunale ed, infine, di nuovo alla corte di assise. Più specificamente la corte di legittimità rilevava che ai sensi dell'articolo 5, lett. b cod. proc. penumero era stata stabilita per l'indicato reato la competenza per materia della corte di assise. 3.3. Senonché l'articolo 6 della legge 11 agosto 2003, numero 228 aveva soppresso le parole 600, 601 e 602 cod. penumero previste dal citato articolo 5, lett. b cod. proc. penumero , determinando in tal modo la competenza per materia del tribunale per gli indicati reati. Tuttavia l'articolo 16 della legge citata stabiliva che per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge continuava ad essere competente la corte di assise. In ogni caso i reati di cui all'articolo 600 cod. penumero aggravati da circostanze comuni o da quella speciale da tale articolo prevista e comportanti, quindi, una pena edittale superiore nel massimo ad anni ventiquattro restavano di competenza della corte di assise. 3.4. Successivamente, però, il legislatore mutava orientamento e con il decreto legge 12 febbraio 2010 numero 10 apportava modifiche all'articolo 5 comma 1 cod. proc. penumero introducendo il comma d bis con il quale veniva ripristinata la competenza per materia della corte di assise in ordine ai reati di cui agli articolo 600, 601 e 602 cod. penumero a partire dalla entrata in vigore della legge stessa. 3.5. Sulla base di tale corretta ricostruzione delle disposizioni di legge in materia e di un errore fattuale, come meglio si preciserà, concernente la data del commesso reato questa corte, con sentenza emessa in data 11 gennaio 2012, rilevato che i fatti contestati come violazione dell'articolo 600 cod. penumero si erano verificati il OMISSIS , riteneva applicabile nel caso di specie la disposizione del comma d bis dell'articolo 5 cod. proc. penumero , introdotto dal d.l. 12 febbraio 2010 numero 10, convertito nella legge 6 aprile 2010, numero 52, con conseguente competenza per il reato sub a della corte di assise. Cosicché, essendo stato il processo celebrato in primo grado dinanzi al tribunale ed in secondo grado dinanzi alla corte di appello ed essendo la incompetenza per materia rilevabile, come già notato, anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, questa corte con la citata sentenza annullava senza rinvio le due sentenze di merito per incompetenza per materia stante la competenza per materia della corte di assise e disponeva trasmettersi gli atti alla procura della repubblica di Modena per il corso ulteriore. 4. L'errore fattuale. 4.1. Con nota del 18 gennaio 2012 il consigliere relatore chiedeva al Presidente della 5^ sezione penale di avviare la procedura per la correzione di errore materiale perché la sentenza di incompetenza era fondata sull'erroneo presupposto di fatto che i fatti di cui al presente processo si fossero verificati o meglio fossero stati accertati il OMISSIS con conseguente applicabilità, come si è dinanzi rilevato, in tema di competenza per materia del d.l. 12 febbraio 2010 numero 10 la data suindicata era, invece, quella della pronuncia della sentenza di secondo grado, essendosi i fatti verificati il OMISSIS . 4.2. Il Presidente della 5^ sezione penale, con nota del 23 gennaio 2012 disponeva procedersi alla correzione della sentenza emessa da questa corte in data 11 gennaio 2012 ed alla discussione e decisione dei ricorsi proposti dagli imputati avverso la sentenza della corte di appello di Bologna il 16 ottobre 2010 e fissava per gli incombenti l'udienza del 16 aprile 2012. 4.3. Con memoria difensiva depositata il 19 marzo 2012 il difensore dei ricorrenti rilevava che l'unico errore riscontrabile nella sentenza della corte di cassazione era quello relativo alla data di commissione del reato, ma che esso non poteva essere valutato come mero errore materiale emendabile con la procedura prevista dall'articolo 130 cod. proc. penumero . 5. La correzione dell'errore. 5.1. Che la decisione della corte di cassazione in data 11 gennaio 2012 sia fondata su una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco vedi Sez. 3, 21 giugno 2007, numero 35509, CED 237514 errore di fatto che purtroppo può verificarsi quando si trattino numerosi ricorsi in una sola udienza è circostanza fuori discussione perché ammessa dallo stesso difensore dei ricorrenti con la memoria suindicata. Ed, infatti, tenuto conto della successione delle leggi in materia di competenza per materia concernenti il delitto di cui all'articolo 600 cod. penumero , rilevante appariva la data del commesso reato individuato erroneamente dalla corte nel OMISSIS trattavasi, invece, della data di pronuncia della sentenza di secondo grado, essendosi il fatto verificato il OMISSIS . In base alla ricostruzione della successione di leggi dinanzi operata i fatti di cui all'articolo 600 cod. penumero commessi il OMISSIS appartenevano alla competenza per materia della corte di assise, mentre quelli commessi il OMISSIS rientravano nella competenza per materia del tribunale, con conseguente correttezza delle due sentenze di merito in punto competenza per materia ed erroneità della decisione della corte di cassazione. 5.2. Deve essere a questo punto verificata a percorribilità della procedura prevista dall'articolo 130 cod. proc. penumero per eliminare l'errore in discussione, procedura criticata dal difensore dei ricorrenti con la richiamata memoria, 5.2.1. In tale scritto, che contiene alcune, anche se non rilevanti inesattezze perché non è vero, contrariamente a quanto sostenuto, che il difensore fosse presente alla udienza in data 11 gennaio 2011 e che avesse formulato le proprie conclusioni nel merito, si è sostenuto che l'errore in discussione non fosse correggibile non trattandosi di errore materiale eliminabile ai sensi dell'articolo 130 cod. proc. penumero . In base a tale tesi, dovendosi i giudici di merito uniformare al dictum dalla corte di cassazione e non potendo modificare la statuizione in materia di competenza, i ricorrenti dovrebbero essere sottratti al giudice naturale ed essere sottoposti ad un nuovo giudizio, con grave possibile pregiudizio per gli stessi. 5.2.2. Orbene la Corte Costituzionale sentenza numero 395 del 2000 ha stabilito che l'errore percettivo in cui sia incorso il giudice di legittimità e dal quale sia derivata la indebita compromissione di un diritto deve avere necessariamente un rimedio, che spetta alla stessa Corte di cassazione individuare all'interno del sistema. Cosicché è legittima la estensione operativa dell'articolo 130 cod. proc. penumero fino a comprendervi l'errore che la Corte abbia compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio, i quali, nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, devono essere esaminati dalla corte medesima con propria ed autonoma indagine di fatto così Sez. 1, 10 giugno 2002 numero 27269, CED 222232 . Ed ancora la corte di cassazione ha stabilito che nel caso in cui il ricorso straordinario ex articolo 625 bis cod. proc. penumero sia per qualche ragione inammissibile, deve, comunque, ritenersi applicabile la procedura di cui all'articolo 130 dello stesso codice sulla base di una interpretazione estensiva del predetto istituto, in modo da consentire la correzione degli errori di fatto contenuti in decisioni adottate in violazione dei diritti dell'imputato e che sarebbero altrimenti irrevocabili così Sez. 6, 6 dicembre 2001-1 febbraio 2002, numero 3923, CED 220995 . 5.3. In base agli indirizzi giurisprudenziali indicati è, quindi, consentito nel caso di specie il ricorso all'istituto della correzione degli errori materiali, con la estensione operativa derivante dai principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia di ricorso straordinario ex articolo 625 bis cod. proc. penumero . In effetti non è applicabile nel caso di specie quest'ultimo istituto perché quella in discussione non è una sentenza di condanna, nel senso che non è stato disposto un rigetto e/o una inammissibilità del ricorso che abbiano reso definitiva una sentenza di condanna S.U. 27 marzo 2002, De Lorenzo, numero 16104 . Tuttavia è applicabile la procedura prevista dall'articolo 130 cod. proc. penumero , opportunamente integrata dai principi stabiliti in tema di ricorso straordinario, perché l'errore di percezione, che è stato decisivo sulla necessità della decisività dell'errore vedi Sez. 4, 17 gennaio 2008, numero 6770, CED 239037 nel determinare la decisione adottata dalla corte di legittimità in data 11 gennaio 2012, ha compromesso il diritto, costituzionalmente garantito, degli imputati ad essere giudicati dal giudice naturale precostituito per legge ed ha esposto i ricorrenti ai rischi connessi alla celebrazione di un nuovo giudizio. 5.4. Stabilita la correttezza della procedura adottata ricorrendo nel caso di specie i presupposti per procedere alla correzione della sentenza della corte di cassazione emessa in data 11 gennaio 2012 perché effettivamente l'errore di percezione è stato decisivo, tenuto conto di quanto detto in precedenza, per la decisione adottata, che ha compromesso il diritto dell'imputato ad essere giudicato dal suo giudice naturale in tempi ragionevoli, la corte deve adottare provvedimenti necessari per correggere l'errore, provvedimenti che vanno individuati di volta in volta in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni processuali S.U. 27 marzo 2002, numero 2616 . Nel caso di specie l'unica correzione possibile consiste nella revoca della decisione della corte di cassazione in data 11 gennaio 2012 e nella discussione nel merito del ricorso. 6. La decisione dei motivi di ricorso. 6.1. Prima di esaminare il merito dei motivi di ricorso va detto che la convocazione per la odierna udienza del difensore dei ricorrenti appare del tutto regolare perché nell'avviso è stato precisato che si sarebbe proceduto alla correzione dell'errore commesso, errore immediatamente individuato dal difensore nella erronea indicazione della data del commesso reato, come è lecito desumere dalla memoria difensiva già più volte richiamata, ai sensi degli articolo 130 e 127 cod. proc. penumero , e successivamente alla discussione nel merito dei motivi di ricorso. 6.2. I motivi posti a sostegno dei ricorsi sono infondati. 6.2.1. Bisogna preliminarmente osservare che i due motivi di ricorso non sono altro che la riproposizione dei motivi di appello, disattesi dalla corte di merito, motivi che a loro volta costituivano la riproposizione delle tesi difensive sottoposte al vaglio del primo giudice e da questi motivatamente rigettate in effetti i ricorrenti hanno tenuto in scarsa considerazione gli argomenti messi in evidenza dai giudici del merito. Le due sentenze di merito non solo sono pervenute alla medesima decisione, ma nel rigettare le tesi difensive e nell'indicare gli elementi che legittimavano l'affermazione di responsabilità degli imputati hanno utilizzato un identico schema logico-giuridico. Cosicché la motivazione delle due sentenze di merito si integra. 6.2.2. Ebbene dalla lettura di questi due documenti emerge un quadro connotato da elementi di sicura gravità, dal momento che gli imputati avevano, tramite i loro complici residenti in Cina, indotto cittadini cinesi che versavano in stato di necessità perché privi di lavoro e di mezzi di sostentamento, profittando, quindi, di tale situazione, ad emigrare in Italia per poi, una volta giunti in Italia, assoggettarli, ridurli in condizione di servitù e, con violenza e minacce, costringerli a prestazioni lavorative disumane per diciotto ore al giorno con retribuzione per le donne di Euro 25,00 e per gli uomini di Euro 75,00 al mese, fornendo loro cibo di scarsa qualità ed in minima quantità. I giudici di merito, inoltre, nelle motivazioni delle due sentenze hanno descritto le minacce e le vessazioni continue alle quali i lavoratori erano sottoposti trattenimento del passaporto e del permesso di soggiorno, minacce di danni ai toro parenti in Cina, stanza per dormire senza finestre e con la porta di ingresso chiusa a chiave ecc. ecc. - siffatte situazioni, che testimoniano una condizione di compieta soggezione delle vittime, delle quali veniva sfruttato il lavoro, sono state desunte dalle testimonianze delle parti lese del delitto di cui all'articolo 600 cod. penumero e da quella della tentata estorsione e non sono state nemmeno contestate specificamente dagli imputati ricorrenti. I ricorrenti, poi, nulla hanno dedotto in ordine al tentativo di estorsione contestato. 6.2.3. I ricorrenti in effetti con il primo motivo di impugnazione, oltre a generiche doglianze su una mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità, che, come si è già posto in evidenza, è insussistente, si sono limitati a rilevare un difetto di correlazione tra l'accusa e quanto ritenuto nella sentenza di primo grado perché nel capo di imputazione era stata contestata la riduzione in condizione di servitù attuata con minacce e violenze, mentre nella sentenza di primo grado si era sostenuto che gli imputati avevano approfittato dello stato di necessità delle vittime, fatto che non essendo stato mai contestato aveva impedito una puntuale difesa. Ma sul punto la corte di merito ha correttamente spiegato che le cose non stavano affatto così come sostenuto dai ricorrenti perché il giudice di primo grado, ricostruendo la vicenda, aveva ricordato che per convincere i cittadini cinesi ad emigrare gli imputati avevano certamente profittato dello stato di indigenza nel quale versavano, ma aveva, poi, precisato che lo stato di soggezione delle vittime era stato ottenuto proprio con le minacce e le violenze puntualmente descritte nel capo di imputazione. La lettura della motivazione della decisione di primo grado appare del tutto corretta, cosicché è del tutto evidente come non sia ravvisabile alcun difetto di correlazione tra quanto indicato nel capo di imputazione e quanto ritenuto in sentenza. Il motivo deve, pertanto, essere rigettato. 6.3. È infondato anche il secondo motivo di impugnazione con il quale i ricorrenti hanno sostenuto che non ricorrevano concreti elementi per ritenere che la teste L.D. stesse subendo un pesante condizionamento e che, pertanto, non potesse trovare applicazione il comma 4 dell'articolo 500 cod. proc. penumero con acquisizione agli atti del dibattimento delle dichiarazioni rese dalla L.D. nella fase delle indagini preliminari. Entrambi i giudici di merito hanno messo in evidenza che le modalità della testimonianza ed il singolare contegno tenuto dalla testimone L.D. , che tra l'altro non solo non rispondeva alle domande, ma, confusa e timorosa, non guardava nemmeno negli occhi il suo interlocutore Pubblico Ministero, tanto da essere ripresa dal Presidente, rendevano certi che la teste fosse stata intimidita. Tanto più che la teste, costituitasi parte civile, costituzione, peraltro, mai revocata, nella fase delle indagini preliminari aveva descritto le condizioni di vita e di lavoro sue e dei suoi sfortunati compagni con molta precisione e puntualità, descrizione sostanzialmente coincidente con quella degli altri testimoni, senza alcuna reticenza condotta questa del tutto contrastante con il silenzio e lo smarrimento manifestato nella fase dibattimentale. Orbene gli elementi indicati e posti in evidenza dai giudici del merito con motivazione immune da manifeste illogicità rientrano tra gli elementi valutabili come indicativi di inquinamento probatorio e sono, pertanto, idonei a giustificare l'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese e contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero Sez. 3, 4 novembre 2009, numero 49579, CED 245864 . È appena il caso di ricordare che gli elementi concreti per ritenere che il testimone sia sottoposto a minaccia o violenza non coincidono con gli elementi di prova necessari per una pronuncia di condanna Sez. 1, 9 maggio 2006, numero 29421, CED 235103 , essendo sufficiente che rendano plausibilmente logica la compromissione della genuinità della deposizione dibattimentale Sez. 2, 16 settembre 2008, numero 38894, CED 241447 . Naturalmente l'apprezzamento della situazione che determina l'inquinamento probatorio che legittima l'acquisizione delle dichiarazioni rese in precedenza dal teste compete al giudice del merito, che è soltanto tenuto a manifestare il suo convincimento con motivazione esente da vizi logici Sez. 4, 19 maggio 2009, numero 38230, CED 245036 , vizi non riscontrabili, come già detto, nelle motivazioni dei provvedimenti dei due giudici di merito. 7. Conclusioni. 7.1. Per tutte le ragioni indicate bisogna dare atto dell'errore materiale contenuto nel dispositivo e nella motivazione della sentenza numero 2114/12 emessa dalla corte di cassazione, sezione 5^ penale, in data 11 gennaio 2012, e disporre la revoca della stessa. 7.2. I ricorsi degli imputati debbono poi essere rigettati nel merito. 7.3. Quanto alle spese processuali del presente grado di legittimità, va detto che la condanna alle spese di ciascun ricorrente deve essere limitata a quelle relative alla odierna udienza. Ciò perché la decisione in data 11 gennaio 2012 fu a loro favorevole e fu determinata da un errore non imputabile ai ricorrenti. Per quanto concerne la odierna udienza, invece, i ricorsi sono stati rigettati nel merito e i ricorrenti si sono opposti alla correzione materiale del precedente dispositivo. P.Q.M. Dato atto dell'errore materiale contenuto nel dispositivo e nella motivazione della sentenza numero 2114 emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione 5^ penale, in data 11 gennaio 2012, revoca la stessa Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese del grado limitatamente alla odierna udienza.