Lapide sparita dopo la costruzione di una cappella: il progetto incastra il sindaco

Cappella cimiteriale costruita dove c’era già una tomba? Il sindaco, che ha votato per la concessione dell’area e che ha redatto il progetto, è da ritenersi responsabile del reato di sottrazione di cadavere.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10231, depositata il 5 marzo 2013. Il caso. La Giunta Comunale approvava la concessione di un’area cimiteriale per la costruzione di una cappella. Fin qui tutto ok, se non fosse che una donna, recatasi al cimitero presso la tomba della madre, trovava al suo posto un piccolo cantiere proprio quello aperto per la costruzione della cappella. Dopo la condanna in primo grado del Sindaco - che in tale veste aveva votato la delibera di Giunta - nonché progettista e direttore dei lavori della erigenda cappella, la Corte di appello dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso perché il reato di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere articolo 411 c.p. era da ritenersi prescritto. Prima degli scavi la tomba c’era. I giudici di Cassazione, aditi dallo stesso imputato, confermano la sua responsabilità penale, in quanto, oltre ad essere certa la presenza della tomba prima degli scavi - e questo è un fatto confermato da un agente della polizia locale – era stato già evidenziato dai giudici di merito che l’imputato era sì sindaco del Comune, partecipando quindi alla seduta della Giunta, ma era anche progettista e direttore dei lavori della erigenda cappella per cui, nel corso dei sopralluoghi, prima della redazione del progetto, «aveva necessariamente rilevato la presenza della tomba». Il voto favorevole alla concessione rende il sindaco colpevole. «Egli quindi» – conclude la S.C. - «votando l’approvazione della concessione e redigendo il progetto che presupponeva la eliminazione di quanto in quell’area esistente, concorreva nel reato con chi aveva effettuato materialmente i lavori di scavo, con rimozione della lapide e dei resti mortali».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 gennaio – 5 marzo 2013, numero 10231 Presidente Fiale – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13.10.2010 la Corte di Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lanciano, sez. dist. di Atessa, in composizione monocratica, emessa in data 3.10.2008, con la quale P.A. , previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante, era stato condannato per il reato di cui aH'art.411 c.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato appellante in ordine al reato ascritto perché estinto per prescrizione, confermando le statuizione civili. Premetteva la Corte territoriale che, secondo la condivisibile ricostruzione dei fatti effettuata dal primo giudice, la p.o. S.C. , recatasi, come era solita fare periodicamente, presso la tomba della madre nel cimitero di omissis , verso la fine di omissis , non aveva più trovato la lapide, essendo in atto un piccolo cantiere. Nel corso delle indagini, a seguito di denuncia della predetta S. , era emerso che la Giunta Comunale in data 28.3.2000 aveva rilasciato a tale S.R. la concessione di un'area cimiteriale, per la costruzione di una cappella, proprio nel luogo in cui si trovava la tomba della madre della S. . Tanto premesso in fatto, rilevava la Corte territoriale che i motivi di appello erano destituiti di fondamento, emergendo dagli atti che l'imputato era, all'epoca, sindaco del Comune, ed in tale veste aveva votato la delibera di Giunta, nonché progettista e direttore dei lavori della erigenda cappella. Il reato, però, doveva essere dichiarato estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili. 2. Ricorre per cassazione P.A. , a mezzo del difensore. Dopo una premessa ricostruttiva dei fatti, denuncia la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata che si è adagiata su quella della sentenza di primo grado. Come era stato evidenziato nei motivi di appello, dall'istruttoria dibattimentale non era emerso alcun elemento indiziario in ordine alla partecipazione del ricorrente, direttamente o per interposta persona, alla rimozione della cassa contenente i resti mortali e poi alla distruzione degli stessi. Altri, neppure indagati, avevano eseguito lo scavo senza, peraltro, rinvenire alcuna tomba. Il P. si era limitato a partecipare alla seduta di Giunta Comunale che aveva approvato la concessione dell'area cimiteriale dove, però, come accertato preventivamente dal tecnico comunale, C.D. , a seguito di sopralluogo, non vi erano tombe, risultando l'area medesima completamente libera. I Giudici di merito hanno ignorato la deposizione del C. . Denuncia, altresì, la manifesta illogicità della motivazione, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che la deposizione della p.o. è smentita dai Carabinieri che eseguirono i primi accertamenti, i quali appresero dalla ditta, che stava eseguendo gli scavi, che nella zona non era stata rinvenuta alcuna tomba. Denuncia, infine, la violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato ed in particolare dell'elemento soggettivo, non risultando da alcun elemento che il P. fosse a conoscenza dell'esistenza di una tomba nell'area in cui doveva essere realizzata la cappella secondo il segretario comunale, sentito come teste, il Comune di omissis non ha la mappa delle sepolture . Considerato in diritto 1. Il ricorso è Infondato e va, pertanto, rigettato. 2. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza numero 35490 del 28.5.2009, hanno riaffermato il principio che In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129 comma secondo cod.proc.penumero , soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'Imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione “ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento . Le sezioni unite hanno ribadito, altresì, che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità, né vizi di motivazione, né nullità di ordine generale cfr. sent. numero 35490/2009 cit. . 3. È, altresì, pacifico che, nell'ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Allorché, quindi, le due sentenze concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo cfr. ex multis Cass. sez. 1 numero 8868 del 26.6.2000 - Sangiorgi cfr. anche Cass. sez. unumero numero 6682 del 4.2.1992 Cass. sez. 2 numero 11220 del 13.1.1997 Cass. sez. 6 numero 23248 del 7.2.2003 Cass. sez. 6 numero 11878 del 20.1.2003 . 4. Tanto premesso, dalle sentenze dei Giudici di merito ed in particolare da quella del Tribunale, emerge, piuttosto, la colpevolezza del ricorrente in ordine al reato ascritto. L'esistenza della tomba proprio nel luogo in cui poi vennero effettuati gli scavi con conseguente eliminazione dei resti mortali risultava non solo dalla deposizione della parte offesa, ma, soprattutto, dalle dichiarazioni del vigile urbano Ca. il quale aveva riferito che la costruzione della nuova cappella era avvenuta proprio nel punto in cui si trovava la lapide, aggiungendo che la situazione dei luoghi gli era ben nota in quanto la p.o., già da qualche anno, aveva chiesto la concessione dell'area, su cui insisteva la tomba della madre, che era stata però assegnata ad altro soggetto. Dallo stesso ricorso emerge, poi, che i Carabinieri che, secondo l'assunto difensivo, avrebbero smentito la p.o., si erano limitati a riferire quanto da loro appreso, nel corso delle indagini, da parte del responsabile della ditta esecutrice dei lavori di scavo, evidentemente interessato ad allontanare da sé ogni coinvolgimento nei fatti. Quanto all'elemento soggettivo del reato, il Tribunale aveva già evidenziato che l'imputato, oltre ad essere sindaco del Comune e ad aver partecipato alla seduta di Giunta che aveva dato in concessione l'area cimiteriale, era anche progettista e direttore dei lavori della erigenda cappella per cui, nel corso dei sopralluoghi prima della redazione del progetto, aveva necessariamente rilevato la presenza della tomba. Egli quindi, votando l'approvazione della concessione e redigendo il progetto che presupponeva la eliminazione di quanto in quell'area esistente, concorreva nel reato con chi aveva effettuato materialmente i lavori di scavo, con rimozione della lapide e dei resti mortali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.