Rimessa in discussione la condanna nei confronti di un uomo e una donna che hanno allestito un banchetto in strada per la realizzazione del cosiddetto ‘gioco delle tre campanelle’. Questa attività non è sufficiente da sola a parlare di truffa, neanche se accompagnata dal richiamo di una falsa vincita, poiché il giocatore rimane comunque libero di decidere se scommettere o meno.
Se è il ‘pollo’ a scegliere autonomamente di scommettere e di perdere col vecchio ‘gioco delle tre campanelle’, allora è impossibile parlare di truffa Cassazione, sentenza numero 48159/19, sez. II Penale, depositata oggi . Gioco. Scenario della vicenda è la zona di Bologna. Lì due persone – un uomo e una donna – allestiscono in strada un piccolo banchetto dove si ‘esibiscono’ nel cosiddetto ‘gioco delle tre campanelle’. Abbocca un passante, che decide di fermarsi e di provare la fortuna, rimettendoci diverse puntate in denaro. Per i due organizzatori del gioco, però, il denaro incassato costa un processo su di loro grava l’accusa di avere truffato l’improvvisato e ingenuo scommettitore. In appello viene pronunciata sentenza di condanna. Prontamente contestata, ovviamente, dalle due persone sotto accusa, che col ricorso in Cassazione provano a demolire la ricostruzione a loro sfavorevole, spiegando che «il ‘gioco delle tre campanelle’ è attività lecita, mancando artifici, raggiri e manovre truffaldine». Secondo questa linea, quindi, non vi è nessun reato, poiché l’uomo e la donna si sono limitati a utilizzare una «falsa vincita» per «indurre il passante a prendere parte a un gioco con un carattere del tutto aleatorio». Raggiro. La visione difensiva è ritenuta corretta dalla Cassazione, che richiama un precedente risalente addirittura al settembre del 1985 già all’epoca, difatti, si sancì che «il giuoco delle tre campanelle – e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte – non concretano di per sé il reato di truffa», poiché «la condotta della persona che dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì una realtà ed una regolare continuità di movimenti che, per l’effetto dell’estrema abilità di chi dirige il gioco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel ‘caso’». Ritornando all’attualità della vicenda in esame, i giudici del ‘Palazzaccio’ aggiungono che è mancata la prova di una «ulteriore attività fraudolenta» ai danni della presunta persona offesa che, peraltro, pare «si sia decisa autonomamente a scommettere». Allargando l’orizzonte, poi, i magistrati osservano che la presunta «induzione della persona offesa a giocare con il miraggio di una facile vincita» non costituisce da sola «né artificio né raggiro», anche perché l’ipotetico «inganno» riguarda «una caratteristica del gioco, cioè la sproporzione a favore del ‘banco’, in conseguenza dell’uso da parte dei tenutari del gioco di abilità o destrezza che possono essere rese inefficaci solo dall’eventuale superiorità della prontezza di riflessi e dello spirito di osservazione del giocatore» che comunque «rimane libero di partecipare o meno al gioco». Peraltro, in questa vicenda, non ci sono neanche elementi probatori riguardanti «alcuna situazione che abbia potuto portare la persona offesa a ritenere di potere fare affidamento su una abilità o capacità di controllo superiore o pari a quella dei tenutari del gioco». Difficile, quindi, sostenere la tesi di una «truffa» ai danni del giocatore.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 luglio – 27 novembre 2019, numero 48159 Presidente Cervadoro – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza 19 ottobre 2016 del Tribunale di Bologna, ha riqualificato il delitto ascritto agli odierni ricorrenti in termini di truffa in concorso e ha determinato la pena ritenuta di giustizia. A fondamento della decisione, le dichiarazioni della parte offesa, ritenute solo in parte attendibili, e una ricostruzione degli accadimenti su base deduttiva. 2.1. Propongono ricorso per cassazione gli imputati articolando i seguenti motivi. Ricorso NA 2.1.1. - 2.1.2. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in ordine alla affermata responsabilità penale a titolo di truffa in quanto la vicenda per come ricostruita, sarebbe consistita nell'indurre la parte offesa a giocare al cd. gioco dei tre campanelli tramite una falsa vincita e profittare del carattere del tutto aleatorio del gioco stesso per farlo sperdere e non potrebbe essere qualificata in termini di truffa. In tale gioco difetterebbero infatti artifici e raggiri trattandosi di attività di per sé lecita e difettando la prova di artifizi e raggiri o manovre truffaldine. 2.1.3. Vizi di motivazione in ordine al contributo causale ascrivibile alla NA. in quanto dalle dichiarazioni della parte offesa pag. 11 del verbale di udienza risulterebbe che la ricorrente né ha gestito il gioco né ha preso il denaro della parte offesa. 2.2 Ricorso PA 2.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione affermando il ricorrente non sussistere gli elementi costitutivi della truffa in coerenza con quanto affermato dalla ricorrente NA. nel primo motivo ricorso. 2.2.2. Violazione di legge in relazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche prendendo la Corte territoriale in considerazione i precedenti penali dell'imputato ma non , le sue problematiche di salute, le sue precarie condizioni socio economiche, il ruolo marginale avuto nella vicenda. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati. 2. Va osservato come la giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, Sentenza numero 11666 del 23/09/1985 Rv. 171261 – 01a abbia osservato che il giuoco dei tre campanelli - e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte - di per sé non concretano il reato di truffa posto che la condotta di chi dirige il giuoco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì una realtà ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l'effetto della estrema abilità di chi dirige il giuoco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel caso . Naturalmente, a diversa soluzione si deve giungere nel caso in cui all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il giuoco si aggiunga una fraudolenta attività del medesimo. 2.1. Nel caso di specie, tuttavia, la ricostruzione della Corte di appello non permette di identificare la presenza di tale ulteriore attività posto che risulterebbe essere stata la parte offesa a determinarsi a giocare cfr. pag. 6 del provvedimento impugnato in cui deve darsi atto che il riferimento all'imputato che si determinò a giocare risulta frutto di un palese refuso . 2.2. La presenza di una induzione della persona offesa a giocare con il miraggio di una facile vincita risulta elemento dedotto sulla base di un giudizio meramente ipotetico e non costituisce inoltre - di per sé - né artifizio né raggiro perché tale l'affermato inganno riguardava una caratteristica del gioco la sproporzione a favore del banco in conseguenza dell'uso da parte dei tenutari del gioco di abilità o destrezza che potrebbero e possono essere rese inefficaci solo dall'eventuale superiorità della prontezza di riflessi e dello spirito di osservazione di chi vi partecipa che rientra nell'ambito dei fatti notori cfr. Sez. 3, sent. numero 1566 del 13/11/1985 - dep. 20/02/1986 - Rv. 171944 - 01 e perché -sulla base di tali presupposti - la parte offesa rimaneva libera di partecipare o meno al gioco medesimo. 2.3. Ancora, del tutto improprio è il richiamo alla pronuncia delle sezioni unite Sez. U, Sentenza numero 14 del 18/06/1991 Rv. 187863 - 01 posto che tale decisione riteneva rilevante -ai fini della ipotizzabilità degli elementi costitutivi della truffa - il fatto che il soggetto raggirato fosse indotto a credere di avere spirito di osservazione e abilità tale da poter controllare i propri avversari . Non risulta invece indicata dai giudici del merito alcuna situazione che abbia potuto portare la persona offesa a ritenere di potere fare affidamento su una abilità o capacità di controllo superiore o pari a quella dei tenutari del gioco. 2.4. Tra l'altro - ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie nei limiti della doverosa osservanza del divieto di reformatio in peius - dovrebbe tenersi anche conto del fatto che - stando alla ricostruzione del giudice di primo grado - nemmeno vi sarebbe stato lo svolgimento di alcun gioco in quanto il danaro sarebbe stato preso dalle mani della persona offesa senza che costui avesse materialmente puntato nemmeno parte di tale somma. Non può certo dimenticarsi - sul punto - che l'approfittamento di circostanze create ad arte per giungere alla sottrazione della cosa mobile altrui costituisce presupposto di altra fattispecie criminosa rispetto alla truffa. 2.5. Le sopra esposte considerazioni impongono l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Bologna per nuovo giudizio. 2.6. Rimangono assorbiti i rimanenti motivi in quanto logicamente conseguenti alla P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.